Concetti Chiave
- La novella "Il treno ha fischiato" di Luigi Pirandello narra la storia di Belluca, un contabile mite e sottomesso che improvvisamente si ribella al suo capo, credendosi trasportato in mondi lontani da un fischio di treno.
- Belluca viene erroneamente ritenuto pazzo e ricoverato in un ospedale psichiatrico, ma la sua reazione è una fuga dalla vita opprimente e monotona che conduce, caratterizzata da responsabilità familiari schiaccianti.
- La novella è strutturata con una narrazione a ritroso attraverso flashback, utilizzando il punto di vista di un vicino di casa e dei medici, creando un'atmosfera simile a quella di un romanzo poliziesco.
- Il significato centrale dell'opera risiede nel confronto tra Belluca, che utilizza l'immaginazione per evadere dalla realtà, e i suoi colleghi, che rimangono prigionieri della monotonia quotidiana.
- Pirandello critica la società, mostrando come la vera follia risieda in chi accetta passivamente la routine, mentre Belluca cerca di dare un significato alla sua esistenza attraverso la fantasia.

Indice
Parte del Testo de Il treno ha fischiato
Farneticava.
Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano tutti i
compagni d'ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall'ospizio, ov'erano stati a visitarlo.
Pareva provassero un gusto particolare a darne l'annunzio coi termini scientifici, appresi or
ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano per via:
‐ Frenesia, frenesia.
‐ Encefalite.
‐ Infiammazione della membrana.
‐ Febbre cerebrale.
E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere
compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata
invernale.
‐ Morrà? Impazzirà?
‐ Mah!
‐ Morire, pare di no...
‐ Ma che dice? che dice?
‐ Sempre la stessa cosa. Farnetica...
‐ Povero Belluca!
E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui quell'infelice
viveva da tant'anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ciò che Belluca
diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia, poteva anche essere la spiegazione più
semplice di quel suo naturalissimo caso.
Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, s'era fieramente ribellato al suo capo‐ufficio, e
che poi, all'aspra riprensione di questo, per poco non gli s'era scagliato addosso, dava un serio
argomento alla supposizione che si trattasse d'una vera e propria alienazione mentale.
Perché uomo più mansueto e sottomesso, più metodico e paziente di Belluca non si sarebbe
potuto immaginare.
Circoscritto... sì, chi l'aveva definito così? Uno dei suoi compagni d'ufficio. Circoscritto,
povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista, senz'altra
memoria che non fosse di partite aperte, di partite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e
prelevamenti e impostazioni; note, libri‐mastri, partitarii, stracciafogli e via dicendo. Casellario
ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d'un passo, sempre per la
stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi.
Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato senza pietà, così per
ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po', a fargli almeno almeno drizzare
un po' le orecchie abbattute, se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche
calcio. Niente! S'era prese le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza
neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com'era da
anni e anni alle continue solenni bastonature della sorte.
Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto d'una
improvvisa alienazione mentale.
Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il diritto di
fargliela, il capo‐ufficio. Già s'era presentato, la mattina, con un'aria insolita, nuova; e ‐ cosa
veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo d'una montagna ‐ era venuto con più di
mezz'ora di ritardo.
Pareva che il viso, tutt'a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero
tutt'a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d'improvviso all'intorno lo spettacolo
della vita. Pareva che gli orecchi tutt'a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima
volta voci, suoni non avvertiti mai.
Così ilare, d'una ilarità vaga e piena di stordimento, s'era presentato all'ufficio. E, tutto il
giorno, non aveva combinato niente.
La sera, il capo‐ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte:
‐ E come mai? Che hai combinato tutt'oggi?
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un'aria d'impudenza, aprendo le mani.
‐ Che significa? ‐ aveva allora esclamato il capo‐ufficio, accostandoglisi e prendendolo per una
spalla e scrollandolo. ‐ Ohé, Belluca!
‐ Niente, ‐ aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d'impudenza e d'imbecillità su
le labbra. ‐ Il treno, signor Cavaliere.
‐ Il treno? Che treno?
‐ Ha fischiato.
‐ Ma che diavolo dici?
‐ Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L'ho sentito fischiare...
‐ Il treno?
‐ Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia... oppure oppure... nelle foreste del
Congo... Si fa in un attimo, signor Cavaliere!
Gli altri impiegati, alle grida del capo‐ufficio imbestialito, erano entrati nella stanza e,
sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi.
Allora il capo‐ufficio ‐ che quella sera doveva essere di malumore ‐ urtato da quelle risate, era
montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di tanti suoi scherzi crudeli.
Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti, s'era ribellata,
aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora
non più, ora ch'egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più esser trattato a
quel modo.
Lo avevano a viva forza preso, imbracato e trascinato all'ospizio dei matti.
Seguitava ancora, qua, a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio assai
lamentoso, come lontano, nella notte; accorato. E, subito dopo, soggiungeva:
‐ Si parte, si parte... Signori, per dove? per dove?
E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi. Quegli occhi, di solito cupi, senza lustro,
aggrottati, ora gli ridevano lucidissimi, come quelli d'un bambino o d'un uomo felice; e frasi senza
costrutto gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite, espressioni poetiche, immaginose, bislacche, che
tanto più stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio,
fiorissero in bocca a lui, cioè a uno che finora non s'era mai occupato d'altro che di cifre e registri e
cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava di
azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul
fondo dei mari, con la coda facevan la virgola. Cose, ripeto, inaudite.[***]
Quando andai a trovarlo all'ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, sì,
ancora esaltato un po', ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici e
degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito.
‐ Magari! ‐ diceva. ‐ Magari!
Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni ‐ ma proprio dimenticato ‐ che il
mondo esisteva.
Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei
conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla
stanga d'una nòria o d'un molino, sissignori, s'era dimenticato da anni e anni ‐ ma proprio
dimenticato ‐ che il mondo esisteva.
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l'eccessiva
stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel silenzio
profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno.
Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero sturati.
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria di tutte quelle
sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel
vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt'intorno.
S'era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col
pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte.
C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo,
tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante
città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla
terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui!. E
seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr'egli qua, come una bestia bendata, girava la
stanga del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo s'era chiuso per lui, nel tormento della sua
casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria... Ma ora, ecco, gli rientrava, come per
travaso violento, nello spirito. L'attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva
come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l'immaginazione d'improvviso risvegliata
poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari... Questo
stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C'erano, mentr'egli qua viveva questa vita
«impossibile», tanti e tanti milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente.
Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano
al cielo notturno le azzurre fronti... Sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva così... c'erano gli oceani...
le foreste...
E, dunque, lui ‐ ora che il mondo gli era rientrato nello spirito ‐ poteva in qualche modo
consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendere con l'immaginazione una
boccata d'aria nel mondo.
Gli bastava!
Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S'era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d'un
tratto: un cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro della troppa troppa
aria, lo sentiva.
Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo‐ufficio, e avrebbe
ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo‐ufficio ormai non doveva pretender
troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l'altra
da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia... oppure oppure... nelle foreste del Congo:
‐ Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato...
Pirandello – Il treno ha fischiato – Riassunto
La novella Il treno ha fischiato racconta la storia di un contabile, Belluca. Egli ha un carattere molto mite, puntuale e dedito al lavoro, sottomesso da tutti. Per descriverlo, lo scrittore adopera la metafora del somaro perché tante volte egli veniva rimproverato e fatto sgobbare dai colleghi di lavoro senza pietà e per scherzo, con lo scopo di vedere la sua reazione; mai egli non si era mai ribellato ed aveva sempre accettato le ingiustizie, anche le più crudeli, senza dire una parola. Un giorno inizia a comportarsi in un modo non corrispondente al suo carattere di sempre, tale da non sembrare più nemmeno lui: arriva in ritardo in ufficio e non svolge regolarmente il suo lavoro. Quando il capo ufficio entra nella stanza per controllare il lavoro svolto, si accorge che egli non aveva lavorato e sorpreso, e gliene chiede il motivo. Il contabile reagisce scagliandosi con violenza contro il suo capo, ripetendo più volte, che un treno ha fischiato nella notte, portandolo in luoghi lontani come la Siberia e il Congo. A questo punto viene creduto pazzo e ricoverato in un ospedale psichiatrico.
Giunto in ospedale, continua a parlare a tutti del treno; i suoi occhi hanno una luce particolare, simili a quelli di un bambino felice, e dalla sua bocca escono frasi senza senso. La cosa suscita incredulità e stupore perché fino ad ora si era sempre occupato di numeri e di registri e mai dalla sua bocca erano uscite espressioni poetiche che rimandavano a paesaggi bellissimi quanto ignoti. All’improvviso, un vicino di casa che lo conosce inizia a gridare che Belluca non è impazzito ma che è necessario conoscere la vita che egli è costretto a condurre, prima di esprimere un giudizio su di lui ed accusarlo di pazzia.
Infatti, egli vive in una situazione familiare disastrosa. La sua numerosa famiglia si compone di dodici persone: la moglie, la suocera e la sorella della suocera, tutte e tre cieche; hanno bisogno continuamente di essere servite e non fanno altro che strillare, dalla mattina alla sera. Oltre alle tre donne, in casa vivono due figlie, vedove con quattro figli la prima e tre la seconda. Con lo scarso guadagno da impiegato, Belluca non è in grado di sfamare tutte queste bocche, per cui si è dovuto procurare un secondo lavoro che svolge la sera, fino a tardi che o sfinisce e lo porta all’esaurimento.
Quando Belluca riceve la visita del suo amico, che lo informa che tutti lo credono affetto da follia, lui stesso gli racconta di quella sera quando, essendo talmente stanco, da non riuscire a dormire, sente da lontano un fischio di un treno e, quindi, la sua mente lo riporta indietro nel tempo quando anche lui conduceva una vita “normale” a cui da tempo non pensava più; e quello che gli è successo è stato un ritorno al passato che lo ha fatto evadere della vita misera che conduce.
Dimesso dall’ospedale, ritorna alla solita vita da contabile, si scusa con il capoufficio il quale, però, gli concede, ogni tanto di pensare al treno che ha fischiato e di evadere, con l’immaginazione, verso paesi lontani.
per ulteriori approfondimenti su Il treno ha fischiato vedi anche qua
Il significato de Il treno ha fischiato
La ricerca di quanto è realmente successo avviene attraverso una serie di flashback successivi; infatti la vicenda è narrata a ritroso, cioè dalla fine al principio, per mezzo del punto di vista di un vicino di casa (che coincide con il narratore) e di alcuni medici dell’ospedale, con una tecnica che si avvicina molto a quella del romanzo poliziesco.
- La novella inizia dalla fine riportando i commenti dei colleghi che sono stati a fare visita a Belluca ricoverato in un ospedale psichiatrico.
- Successivamente viene narrato l’episodio della sera precedente quando l’impiegato ha avuto un comportamento strano e si è lasciato andare ad una violenta lite con il capoufficio.
- Quindi si ha l’intervento diretto del vicino di casa - voce narrante - che descrive la situazione familiare di Belluca, molto opprimente e descritta in modo grottesco.
- Infine, la narrazione di Belluca stesso: racconta di avere sentito il fischio inaspettato di un treno due sere prima che gli ha fatto riscoprire un mondo fino ad allora dimenticato.
ci vuole dimostrare che il vero folle non è Belluca, ma i suoi colleghi perché accettano di lasciarsi imprigionare nel grigiore della quotidiana vita di ufficio (la forma o la maschera). Invece Belluca cerca di uscirne ogni tanto con la fantasia e trovare così un elemento che lo possa stimolare e dare un minimo senso alla sua esistenza.
Domande da interrogazione
- Qual è la trama principale della novella "Il treno ha fischiato" di Luigi Pirandello?
- Qual è il significato del fischio del treno per Belluca?
- Come viene descritta la vita familiare di Belluca nella novella?
- Qual è la reazione dei colleghi di Belluca al suo cambiamento di comportamento?
- Qual è il messaggio che Pirandello vuole trasmettere attraverso la novella?
La novella racconta la storia di Belluca, un contabile mite e sottomesso, che improvvisamente si ribella al suo capo dopo aver sentito il fischio di un treno, simbolo di evasione dalla sua vita opprimente. Questo comportamento viene interpretato come segno di follia, ma in realtà rappresenta un risveglio alla consapevolezza di un mondo più ampio.
Il fischio del treno rappresenta per Belluca un risveglio alla consapevolezza di un mondo esterno alla sua vita monotona e opprimente. È un simbolo di libertà e di evasione mentale che gli permette di immaginare una vita diversa e più appagante.
La vita familiare di Belluca è descritta come disastrosa e opprimente. Vive con dodici persone, tra cui la moglie, la suocera e la sorella della suocera, tutte cieche e bisognose di assistenza continua, oltre a due figlie vedove con numerosi figli. Questa situazione lo costringe a lavorare incessantemente, portandolo all'esaurimento.
I colleghi di Belluca interpretano il suo cambiamento di comportamento come un segno di follia. Sono increduli e stupiti dal suo improvviso risveglio e dalla sua ribellione, non comprendendo il significato profondo del suo gesto.
Pirandello vuole dimostrare che il vero folle non è Belluca, ma i suoi colleghi che accettano passivamente la monotonia della vita d'ufficio. Belluca, invece, cerca di evadere con la fantasia, trovando un elemento che dia senso alla sua esistenza.