Fabrizio Del Dongo
Genius
4 min. di lettura
Vota

Indice

  1. Brevi cenni biografici
  2. L’opera “Pastoral”
  3. Le altre opere
  4. Ambiguità di Ruzante

Brevi cenni biografici

Angelo Beolco è uno scrittore di origini padovane, vissuto nella prima metà del XVI secolo. Egli è conosciuto con il nome di “Ruzante” dal nome del personaggio, un contadino veneto, che, in qualità di attore, era solito impersonare. Infatti, oltre che autore di teatro era anche attore. Da giovane fu molto legato al nobile Alvise Corvaro di cui amministrava i beni, un dettaglio che gli permise di conoscere molto bene il mondo contadino con cui era costantemente a contatto. Come autore, esordì molto presto, a 21 anni, scrivendo la commedia in versi Pastoral, recitata la prima volta in occasione del matrimonio di Federico Gonzaga. La compagnia teatrale era composta da giovani appartenente all’aristocrazia di Padova.

L’opera “Pastoral”

Nella Pastoral vengono messi in contrapposizione il mondo dei pastori di stampo arcadico con quello rustico e spesso rozzo del contadini padovani. In pratica non si trattava tanto di una contrapposizione fra due classi sociali, ma del contrasto fra due tradizioni letterarie: la tradizione arcadica che attraverso Jacopo Sannazaro si rifaceva alla poesia bucolica classica e quella della satira che fa ironia e prende il giro il mondo dei villani. Il pubblico cittadino rideva volentieri, quando si trattava di beffeggiare i contadini e questo aspetto in Veneto, poteva contare su di un ricco repertorio. Ciò che costituisce un tratto originale è il fatto che il personaggio di Ruzzante era per l’autore il simbolo della naturalezza, sia sul piano umano che sul piano linguistico. Infatti alla lingua fiorentina, considerata artificiosa e innaturale, veniva contrapposto un linguaggio colorito, un po’ rozzo e pieno di battute e modi di dire popolari.

Le altre opere

Un’altra opera, è Dialoghi in lingua rusticana, di cui fa parte il Parlamento de Ruzante che iera vegnù de campo e Bìlora. La prima opera è centrata sul personaggio di Ruzante che, rientrato a Venezia, dopo essere fuggito dal campo di battaglia, racconta a Compare Menato tutto ciò che ha visto. Mentre i due uomini stanno parlando, passa Gnua, la donna di Ruzante a cui l’uomo fa delle profferte amorose. Ma la donna risponde con indifferenza, sottolineando che di lui non sa quel che farsene ora che è tornato dalla guerra più povero di prima. Nella scena successiva, di cui esiste soltanto la didascalia, arriva il nuovo amante di Gnua, definito il bravaccio che prende a botte Ruzante, sotto lo sguardo impassibile di Gnua. Successivamente Ruzante, parlando con Menato sostiene di essere stato aggredito non da una sola persona, ma da cento uomini. Il compare ovviamente nega e pensa che si sia trattato di una stregoneria della Gnua che gli ha fatto una “fattura malefica”, facendogli vedere intorno non uno, ma cento aggressori. Questa volta il mondo contadino è visto sotto un’ottica diversa: è un insieme di miseria, di istinti, di fame, di disperazione e di sesso. In questo modo, Ruzante ha rotto la tradizione comica, dando alla rappresentazione della realtà un aspetto tragico. In un altro dialogo Bìlora, il villano viene umiliato e offesa e assassina un vecchio benestante perché gli ha portato via la moglie. A questo proposito, Benedetto Croce ha accostato la figura di Bìlia a quella di Jeli il pastore di Verga.

Ambiguità di Ruzante

Nell’insieme il Ruzante mantiene una certa ambiguità, non solo per la presa di posizione nei confronti delle classi più deboli, ma anche nei confronti della utilizzata. Egli non trascrive semplicemente il linguaggio parlato; egli crea un proprio linguaggio in cui è presente una ricerca per esprimere il piacere intellettuale con riferimenti alla commedia latina e alle polemiche linguistiche dell’epoca.

Domande e risposte

Hai bisogno di aiuto?
Chiedi alla community