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Concetti Chiave

  • "Il fanciullino" di Pascoli esplora l'idea che il poeta deve mantenere una connessione con il suo "fanciullino" interiore per percepire il mondo in modo intuitivo e irrazionale, usando l'analogia per rivelare verità nascoste.
  • "Myricae" rappresenta un'opera poetica simbolista che si anima di umiltà, esplorando temi bucolici e mortuari, e sperimenta forme metriche diverse, riflettendo la fragilità e la bellezza del mondo rurale.
  • Nei "Canti di Castelvecchio", Pascoli intreccia il ciclo delle stagioni con il suo vissuto familiare, utilizzando una struttura metrica complessa e introducendo elementi folkloristici della Garfagnana.
  • I "Poemetti" di Pascoli, divisi in "Primi" e "Nuovi", narrano la vita rurale in modo più organico, con un linguaggio aulico che conferisce un carattere epico alla quotidianità, esaltando un ideale di vita basato sul lavoro dei campi.
  • "Poemi Conviviali" recupera la tradizione della poesia conviviale, confrontandosi con miti antichi per riflettere sulla condizione umana, usando un registro stilistico elevato e colto, ricco di citazioni classiche.

Indice

  1. L'anteprima e l'importanza del testo
  2. Il fanciullino e la visione poetica
  3. La poesia e la natura
  4. Myricae: genesi e simbolismo
  5. Struttura e stile di Myricae
  6. Canti di Castelvecchio e il ciclo stagionale
  7. Primi e Nuovi Poemetti: il romanzo georgico
  8. Poemi conviviali: ritorno alle origini

L'anteprima e l'importanza del testo

Un’anteprima di questo uscì nel 1897 con il titolo di “Pensieri sull’arte poetica” sulla rivista fiorentina “il Marzocco”, e conteneva solo otto dei futuri venti capitoli ma si comprende l’intenzione del proseguimento in quanto l’ultimo passaggio viene chiuso da “continua…”, anche se si deve aspettare fino al 1903 per il testo integrale, pubblicato ad apertura del volume di prose “Miei pensieri di varia umanità”. Successivamente venne connesso, sempre in posizione d’apertura, a “Pensieri e discorsi”, il che fa capire l’importanza che Pascoli attribuiva a questo scritto, in cui aveva esposto tutte le sue idee di poesia.

Il fanciullino e la visione poetica

Lui riflette a partire dalla figura del fanciullo eterno, inteso non solo come età della vita ma anche come tipo di conoscenza [modo di essere e di entrare in contatto con le cose], lui era infatti convinto che da bambini esistesse in noi il fanciullino, che riassumeva la nostra essenza ed eravamo una cosa sola con lui, con il passare degli anni però si forma un io adulto diverso da quello infantile. Questa maturazione non comporta la scomparsa del fanciullino, che resta sempre in noi e designa la sfera irrazionale, dominata dalle fantasie e dalle emozioni, per questo i poeti sono più propensi a lasciarsi guidare da lui: non a caso, Omero, poeta per antonomasia ma “vecchio e cieco” continua a scrivere in quanto “condotto per mano da un fanciullino”, che diventa la sua anima poetica. La visione poetica del mondo proposta da Pascoli è quindi diversa dalla conoscenza razionale ed empirica, è infatti intuitiva e irrazionale e avviene per via immediata e intuitiva: il poeta veggente, come Omero, ha dalla sua una facoltà divinatoria che gli mostra con assoluta chiarezza e da subito ciò di cui gli altri nemmeno si accorgono. Il fanciullo è infatti capace di scoprire tra le cose una “rete di somiglianze e relazioni” e l’oggetto che attira la sua attenzione non è mai isolato ma sempre parte del tutto e quindi la verità non riguarda solo lui ma tutti gli esseri viventi [per esprimere questa verità, il poeta ricorre all’analogia, figura che serve a mettere in relazione due realtà diverse per metterne in risalto gli aspetti comuni]. Secondo lui, il poeta deve assumere lo stesso atteggiamento del fanciullo nel guardare le cose, perché quest’ultimo non presume di sapere e dunque non fa affidamento su di sé ma sulle cose stesse che elegge a sue maestre “sfogliando il libro della natura”. Conoscere per lui è riconoscere e la poesia ha il sapore dell’illuminazione che investe anche il lettore, al quale pare vedere o assistere per la prima volta al prodigio di una rivelazione.

La poesia e la natura

La natura, in questo clima, diventa un’orchestra di suoni, in cui solo il fanciullino è in grado di interpretare tutte le voci di essa che poi tradotte, diventano onomatopee. Nelle sue opere Pascoli utilizza questa figura retorica per decrittare il messaggio implicito nelle manifestazioni sonore, rendere comprensibili le verità che esse oscuramente affermano, in questo caso il critico Gianfranco Contini ha parlato di “linguaggio pre-grammaticale”, sottolineando la loro posizione al confine tra il puro suono asemantico e la parola munita di senso [in “Italy” rende il garrito festoso delle rondini, che a primavera tornano a casa come la piccola Molly, attraverso il verso “sweet” che in inglese significa dolce ma qui vuol dire casa]. Senza il fanciullino, non solo non vedremmo tante cose ma non potremmo neanche pensarle, perché egli è l’Adamo che mette il nome a tutto, e dare un nome non significa solo descrivere le cose ma comprenderne l’intima natura. La vera fonte di ispirazione per Pascoli sono le piccole cose, tratta il piccolo come se fosse grande trasferendo al primo gli attributi del secondo al fine di nobilitare la materia più umile, questo fenomeno viene chiamato “sublime del basso”, che consiste nell’ottenere un’impressione di immensità senza dover ricorrere alle visioni terribili. Quindi, accontentarsi e gioire del poco diventa la miglior medicina contro i dolore e l’invidia, condividendo l’ideale di Virgilio e Orazio “dell’amore verso la mediocrità”, Pascoli distingue inoltre tra poesia pura e poesia applicata, allo stesso modo in cui distingue tra poeta e agitatore politico: il poeta non si preoccupa di formare le coscienze, così non infarcisce i suoi versi di frasi da politico o di problematiche sociali.

Myricae: genesi e simbolismo

È il primo libro poetico di Pascoli, ed ebbe una gestazione lunghissima: i testi più antichi risalgono infatti agli anni Settanta dell’Ottocento, il titolo venne deciso invece nel 1890 in testa a nove liriche pubblicate sulla rivista fiorentina “Vita Nuova” e la prima stampa in volume avvenne nel 1891 per l’editore livornese Giusti. Si trattava di un piccolo libro di 56 pagine offerto all’amico Raffaele Marcovigi come regalo di nozze, nella seconda edizione i testi aumentarono da 22 a 72, poi 116, 152 ed infine 156 liriche disposte all’interno di 15 sezioni di consistenza variabile e spesso intercalata da altri testi. Il titolo deriva dal plurale della parola latina tamerice o tamarisco, piccolo arbusto abbastanza comune in tutta l’area mediterranea di scarsa attrattiva estetica ma di utile impiego: i suoi fuscelli, detti stirpe, venivano utilizzate per realizzare ramazze o accendere il fuoco. Le tamerici sono il simbolo di un mondo umile, legato alla terra ma la decisione di ricorrere ad un titolo latino viene spiegato ad apertura del libro, nella citazione tratta dalle “Bucoliche” virgiliane: arbusta iuvant humilesque myricae, ossia sono graditi gli arbusti e le umili tamerici. Myricae è quindi la parola utilizzata da Virgilio per indicare i suoi carmi bucolici, poesia che si eleva da terra [umile deriva infatti da “humus”]. L’anniversario di Myricae risale al 10 Agosto 1890, in ricordo della morte del padre anche se il tema della tragedia subentrò solo nell’edizione del 1892, nella prefazione vengono inoltre anticipate alcune terzine di “Giorno dei morti” in cui Pascoli prende spunto dalla triste ricorrenza per rammendare i suoi cari: padre ucciso nel 1867, la madre morta di crepacuore l’anno dopo, la sorella Margherita nel 1868 e i fratelli Luigi e Giacomo nel 1871 e 1876.

Struttura e stile di Myricae

Il nido è il luogo simbolico dove si intersecano le due grandi direttrici di Myricae, ossia quella bucolica e quella mortuaria, esso è infatti il luogo degli affetti e di protezione da un mondo minaccioso e la sua collocazione è strettamente rurale ma non c’è nido che tenga alla malvagità degli uomini diventando perennemente insediato da nemici. Pascoli si rivela inoltre un abile sperimentatore di forme metriche, adopera infatti versi di varia lunghezza, dal trisillabo all’endecasillabo, mentre dal punto di vista delle forme poetiche varia dal sonetto al madrigale, dall’ottava alla terzina, dalla saffica alla quartina alla ballata, ma il verso in assoluto più pascoliano è il novenario, poi combinato con altri di varia lunghezza. Una caratteristica strutturale di Myricae è la presenza di sezioni metricamente omogenee:

- I sonetti in “Primavera” e “Ricordi”;

- I madrigali in “Pene del poeta”, “Ultima passeggiata” e “Finestra illuminata”;

- Le strofe saffiche in “Pensieri” e “Alberi e fiori”;

- Le ottave in “Creature”;

- Le quartine di decasillabi e i novenari alternati in “Elegie”;

La sua poesia ha una chiara matrice simbolista, lui vuole infatti cogliere nella natura e nelle occupazioni umane il senso metafisico del mondo e della vita, e questo spiega anche il carattere frammentario di molti testi risolti intorno al principio rimbaudiano dell’illuminazione folgorante della verità nascosta che improvvisamente si svela. Ciò comporta anche la frantumazione paratattica del verso, ossia l’abbandono della complessa sintassi basata su principali, coordinate e subordinate che aveva caratterizzato la tradizione italiana, a favore di una struttura sintattica in cui prevale la coordinazione.

Canti di Castelvecchio e il ciclo stagionale

I canti vennero riuniti per la prima volta in un unico volume nel 1903, e ne seguirono altre 5, di cui due postume, nell’ultima in particolare vennero inserite le liriche inedite “Il compagno del taglialegna” e “La capinera” per volontà della sorella Maria. Questi volumi sono strettamente connessi a Myricae: Pascoli utilizza la stessa epigrafe virgiliana che aveva accompagnato la stampa della sua opera prima e nella prefazione, il poeta fa intendere che se la precedente raccolta rappresentava ai suoi occhi la fioritura primaverile della sua umile musa agreste, i canti erano allora le sue myricae autunnali: la trama sottile che lega in un percorso coerente i 59 testi della raccolta è quella del ciclo stagionale, da un autunno all’altro; Anche qui il motivo del romanzo familiare entra ossessivamente in scena, intrecciandosi con il ciclo naturale dell’anno agricolo, già dalla prefazione in cui esordisce “e sulla tomba di mia madre rimangano questi altri canti!” [Simile alla prefazioni di Myricae “rimangano, rimangano questi canti su la tomba di mio padre!”]. Si distingue però da Myricae già per il titolo, la parola canti fa pensare infatti a componimenti dalla solida architettura, distesi e compiuti. Qui il virtuosismo metrico di Pascoli si misura con strutture più complesse, il novenario per esempio viene concatenato anche con ottonari, settenari e quinari, compaiono inoltre per la prima volta distici a rima baciata di endecasillabi. I canti presentano poi rispetto a Myricae qualche tratto peculiare anche a livello tematico e lessicale, la ricostruzione del nido familiare in Garfagnana produce in lui un bisogno di integrazione culturale con i costumi, con la mentalità e con il linguaggio dei suoi nuovi compaesani. In Myricae, Pascoli non aveva mai sentito il bisogno di descrivere in dettaglio la cultura della terra di San Mauro perché lì era nato e cresciuto, invece dopo essersi trapiantato in un habitat diverso da quello delle sue origini. Ecco perciò affiorare una componente folklorica prima assente, legata ai mestieri e alle abitudini della gente garfagnina, intessuta di proverbi e credenze popolari, altra caratteristica è infatti l’introduzione sistematica di voci garfagnine, colte dalla parlata dei contadini e dei taglialegna dell’alta valle del Serchio, primo fra tutti Zi Meo. Siamo dunque in pieno linguaggio post grammaticale, fatto di termine tecnici ascrivibili all’ambito delle arti e dei mestieri, e di riflessioni vernacolari.

Primi e Nuovi Poemetti: il romanzo georgico

La prima edizione, affidata all’editore Paggi di Firenze, reca la data 1897, seguita poi dalla seconda del 1900 a Palermo, poi però con l’ampliarsi del disegno della raccolta, Pascoli decide di sdoppiarla: “Primi poemetti” del 1904 e “Nuovi poemetti” del 1909, dato che entrambe formavano un dittico, venne stampata l’epigrafe “paulo maiora” ossia “cose un po’ più grandi”, lasciando intendere che la materia in essi affrontata è lievemente più alta. Anche questa epigrafe deriva dalle Bucoliche di Virgilio, indicando una sostanziale unità tra i poemetti e le altre due raccolte, garantita dal ritorno delle medesime tematiche e dei medesimi scenari: il mondo della campagna, il motivo funebre, il sogno di un’umanità più buona. Quello che cambia è il modo più organico e sistematico di trattare la materia, il tono più solenne e il taglio meno lirico-simbolico e più narrativo-descrittivo dei componimenti, e gli indizi di questa nobilitazione appaiono subito con l’uso costante delle terzine dantesche, un linguaggio aulico e topoi classici per descrivere un universo di cose prive di prestigio e lo sviluppo poematico conferito ai componimenti. Il nucleo principale è quello che Bàrberi Squarotti ha definito “romanzo georgico”: le georgiche sono un poema didascalico di Virgilio, nei poemetti si narra infatti di una famiglia di contadini della Garfagnana osservata nella sua vita quotidiana. Il romanzo georgico esordisce nei “Primi poemetti” con “La sementa”, dedicata alla semina del grano e “L’accestire”, riferita al suo spuntare, crescere e mettere le foglie alla base dello stelo; nei “Nuovi poemetti” continua invece con “La fiorita”, che annuncia la primavera e “La mietitura”, che ci porta in estate, chiudendo il ciclo del grano e delle stagioni. In questo ciclo naturale si inserisce anche, dopo il periodo di fidanzamento, il matrimonio della figlia maggiore Rosa con l’agricoltore Rigo, un poesia dopo l’altra veniamo così introdotti in una civiltà laboriosa e radicata nelle leggi della natura, fornendo un compiuto ragguaglio della vita rurale. Il mondo descritto è armonico, idillico e arcaico in cui ognuno ha il suo ruolo prestabilito, un mondo guidato da proverbi e dal suono delle campane; alla luce dell’intento celebrativo si comprende il registro sublime adottato con il suo sfoggio di epiteti omerici, virgiliani, la cui patina classica e letteraria finisce per conferire ai personaggi e alle azioni un profilo epico. Pascoli esalta dunque un ideale di vita che si fonda sul lavoro dei campi, portavoce di questa ideologia è il capofamiglia, in particolare quando egli espone il suo modello di vita al genero, accanto a questo il poeta affronta anche una serie di riflessioni, due per libro:

- La sezione “Il bordone - L’aquilone” sviluppa il tema della morte non più nella prospettiva personale del romanzo orfano, ma come destino comune di tutto il creato, essa è infatti l’unica certezza di un’esistenza avvolta nel mistero. Questo senso di mistero viene ripetutamente evocato nella sezione “I due fanciulli – I due orfani”, tutte le grandi domande dell’uomo sono destinate a non avere risposta, egli è come l’albero che vuole muoversi mentre le radici lo tengono avvinghiato, l’unica risposta plausibile allo smarrimento in cui tutti sono ugualmente immersi è la solidarietà.

- La sezione “Il naufrago – Il prigioniero” promuove una filosofia della bontà e della sopportazione di fronte ai naufragi della vita soprattutto il “La pecorella smarrita” in cui un pastore buono lascia le altre pecore, allegorie dei pianeti, per occuparsi dell’unica smarrita, ovvero la terra [Leopardi in canto del pastore errante richiama pecore]. La sezione “Le due aquile – i due alberi” in cui affiora l’alternativa all’egoismo, ossia la carità fraterna di chi è bisognoso.

Poemi conviviali: ritorno alle origini

I primi sedici vennero raccolti in un volume per la prima volta nel 1904 da Zanichelli, anche se il progetto di questo libro era già nei suoi programmi da anni: i primi testi erano apparsi fin dal 1895 sulla rivista romana “Convito”, che aveva promosso il culto aristocratico della tradizione e della bellezza. Per diverso tempo si è anche creduto che il titolo fosse un omaggio a questa rivista, e infatti Pascoli dedica nella prefazione la raccolta all’amico De Bosis, fondatore della rivista, tuttavia l’idea dei poemi affiora ancora prima della nascita del giornale. Nella Grecia arcaica e nela Roma delle origini era consuetudine comporre liriche per allietare ai banchetti, e lui si riallaccia a questa tradizione richiamandola nel titolo che traduce alla lettera la denominazione latina di carmina convivalia, non per nulla il poema “Solon” tratta della poesia che allietala tavola imbandita. Inoltre, l’autore afferma che il banchetto è la cornice ideale per la poesia e anche l’occasione e il luogo in cui essa storicamente ebbe origine: alle mense dei re gli aedi cantavano le gesta leggendarie degli eroi, riannodare le fila della poesia conviviale significa allora tornare ai primordi della poesia, confrontandosi con la sua essenza originaria. Con questo spirito di recupero originario, Pascoli riprende i miti e le leggende del mondo antico greco – romano, dal ciclo troiano fino alla nascita di Gesù, che segna l’inizio di una nuova era, quella cristiana. Questa rivisitazione dell’antico non è però mossa dal vagheggiamento di un tempo e di uno spazio ideali, lui intende piuttosto istituire un confronto serrato con il mondo antico per stabilire che cosa vive ancora di esso e che cosa è invece morto, ne risulta quindi un’immagine ricca di pessimismo e solo la poesia può riconciliare l’uomo con il suo destino consolandolo dell’esser nato, in quanto essa da sfogo al dolore rendendone dolce la memoria. Attinge la materia da Omero, da Esiodo, da Platone, dal latino Apuleio, dal greco Pausania, dai misteri orfici e dei lirici greci, trattando quindi una poesia di segno colto e classicheggiante, intessuta di citazionismo. L’innalzamento del registro stilistico è del tutto evidente e segnalato dallo stesso Pascoli nel motto d’apertura della raccolta, estratto dai soliti esametri virgiliani “non omnes arbusta iuvant”.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'importanza del testo "Pensieri sull’arte poetica" di Pascoli?
  2. Il testo "Pensieri sull’arte poetica" è fondamentale perché Pascoli vi espone tutte le sue idee di poesia. Pubblicato integralmente nel 1903, rappresenta un punto di riferimento per comprendere la sua visione poetica e la sua importanza è sottolineata dalla sua posizione d'apertura in diverse raccolte.

  3. Chi è il "fanciullino" secondo Pascoli e quale ruolo ha nella poesia?
  4. Il "fanciullino" è una figura che rappresenta la parte irrazionale e intuitiva dell'essere umano, che rimane presente anche nell'età adulta. Per Pascoli, i poeti sono guidati da questo fanciullino, che permette loro di vedere il mondo in modo intuitivo e di scoprire relazioni nascoste tra le cose.

  5. Come Pascoli utilizza la natura nella sua poesia?
  6. Pascoli vede la natura come un'orchestra di suoni che solo il "fanciullino" può interpretare. Utilizza onomatopee per tradurre i suoni naturali in parole, creando un "linguaggio pre-grammaticale" che esprime verità nascoste. La natura diventa così una fonte di ispirazione e comprensione profonda.

  7. Qual è il simbolismo dietro il titolo "Myricae"?
  8. "Myricae" deriva dal latino e si riferisce a piccoli arbusti umili ma utili, simbolo di un mondo legato alla terra. Il titolo, ispirato dalle "Bucoliche" di Virgilio, rappresenta la poesia che si eleva dalla terra, nobilitando le cose umili e quotidiane.

  9. In che modo i "Poemi conviviali" rappresentano un ritorno alle origini per Pascoli?
  10. Nei "Poemi conviviali", Pascoli si riallaccia alla tradizione della poesia conviviale dell'antica Grecia e Roma, utilizzando miti e leggende per esplorare la continuità e la discontinuità tra il mondo antico e quello moderno. Questo confronto con l'antico mira a riconciliare l'uomo con il suo destino attraverso la poesia.

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