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Umanistici, a.a. 2014-2015, p.13
Ibidem.68 27operazioni […] aderenti alla realtà della vita e perciò carichi69di significato.
Dunque, mentre queste operazioni sono giustificate dalla loro necessarietà enaturalità, «tutte le altre […] è assai difficile non gli si scoprano, presto o tardi,70illusioni o vanità, frutto come sono di quel tal superfluo,» e ovviamente, adessere annoverate tra queste “illusioni” e “vanità”, vi sono tutte le operazionicompiute alla Kosmograph.
L’altra figura, oltre al protagonista Gubbio, ad essere annientata da questomondo fatto di macchine, è quella del violinista, che Serafino conosce attraversoSimone Pau presso l'ospizio di mendicità. L’uomo fa la sua prima apparizioneall’interno del romanzo portando sotto al braccio ciò che Pau definisce il suo“Dio”, cioè il suo violino. La sua storia è
l’emblema per eccellenza della vittoria della macchina sulla vita dell’uomo, sui suoi sentimenti, la sua dignità e la sua passione artistica: il violinista, infatti, era possessore di una tipografia lasciatagli dal padre in eredità, che aveva deciso di abbandonare per seguire la sua passione. Tuttavia, a causa anche della sua dipendenza dall’alcol, egli non riesce ad ottenere fortuna come violinista e deve accontentarsi di suonare nelle osterie. Deciso a ritornare sui suoi passi, si presenta presso un’officina tipografica per cercare lavoro. Qui, gli viene dato un compito ingrato, che lo prostra psicologicamente. È introdotto in un reparto speciale silenzioso; e là il proto gli mostra una macchina nuova: un pachiderma piatto, nero, basso; una bestiaccia mostruosa che mangia piombo e cacalibri. È una monotype perfezionata […] Ti dico una vera bestia, un pachiderma […] ‘Fa tutto da sé’, dice il proto al mioamico.“Tu non hai altro che a darle da mangiare di tanto in tanto isuoi pani di piombo, e starla a guardare’. […] Stare a guardiadi quella bestiaccia nera, che fa tutto da sé, e che non vuol dalui altro servizio, che d’aver messo in bocca, di tanto in tanto,71il suo cibo, quei pani di piombo!Ibidem.69 Q. p.1670 Q. p.2471 28Questa immagine enfatizza la sudditanza dell’uomo alla macchina, definita un“pachiderma”, dall’aspetto minaccioso e quasi soffocante poiché sembradistruggere ogni cosa intorno a sé, giganteggiare nonostante l’esiguadimensione. L’uomo del violino decide di abbandonare questo umiliante lavoroe spera di poter coronare il suo sogno artistico. Dunque, letto un avviso su ungiornale da parte di un cinematografo, che ricercava appunto un violino per lasua orchestra, si reca nel luogo felice. Tuttavia, al cinematografo lo attende unasorpresa ancora peggiore della monotype perfezionata
dell'officina tipograficaEbbene: si trova davanti un'altra macchina, un pianoforte automatico, un cosiddetto piano-melodico. Gli dicono: 'Tu col tuo violino devi accompagnare quello strumento lì'. Capisci? Un violino, nelle mani d'uomo, accompagnare un rotolo di carta traforata introdotto nella pancia di quell'altra macchina lì. L'anima, che muove e guida le mani di quest'uomo, [...] 72 costretta a seguire il registro di quello strumento automatico! La macchina vince sull'anima e sull'arte e da quel momento il violinista smette di suonare e si rifugia nell'unica consolazione possibile, quella dell'alcol. L'episodio del violinista e, il fatto che sia l'officina tipografica che il cinematografo decidano di usufruire di due macchinari piuttosto che del lavoro umano, concorre a sottolineare quanto le macchine siano utili anche dal punto di vista della velocità. Ma la velocità, che aprimo acchito può apparire conveniente sotto diversi punti di vista, compromette la visione concreta della realtà, rendendo tutto evanescente ed effimero. Questo concetto è riportato nella contrapposizione automobile/carrozzella, all'interno del primo capitolo del Quaderno Terzo Le tre signore dell'automobile ridono, si voltano, alzano le braccia a salutare con molta vivacità, [...] e la povera carrozzella, avvolta in una nuvola alida, nauseante, di fumo e di polvere, per quanto il cavalluccio sfiancato si sforzi di tirarla col suo trotterello stracco, s'égitua a dare indietro, indietro, con le case, gli alberi, i rari passanti, finché non scompare in fondo al lungo viale fuor di porta. Scompare? No: che! È scomparsa l'automobile, la carrozzella, invece, eccola qua, che va avanti Q. p.25.72 29 ancora, pian piano, col trotterello stracco, uguale, del suo cavalluccio sfiancato. E tutto il viale par che rivenga avanti, pian piano.con essa. Avete inventato le macchine? E ora godetevi questa e consimili sensazioni di leggiadra vertigine. Le due descrizioni mirano a creare un contrasto, che potrebbe essere considerato duplice: da un lato, infatti, si hanno le ragazze dell'automobile, spensierate e sorridenti, contornate da veli variopinti che conferiscono alla scena un'aura di frivolezza e leggerezza; dall'altro, invece, troviamo la carrozzella, che cammina attraverso una nuvola grigia, polverosa, trainata dal passo stanco di un cavallo. Sembrerebbe, da un punto di vista simbolico, lo scontro tra l'entusiastica visione futuristica delle macchine, che andava per la maggiore al tempo in cui Pirandello scriveva, e la concezione controcorrente dello scrittore siciliano. Tuttavia, nonostante le descrizioni dei due gruppi, a scomparire in maniera fulminea è solo ed esclusivamente l'automobile, che a causa di questa velocità osserva il mondo circostante con ritmo vertiginoso, furioso eper questo lontano dalla realtà e soprattutto, dalla natura. Natura che invece, può essere tranquillamente osservata e goduta grazie alla lentezza del cavallo stanco e della carrozzella, ultimo appiglio a quel mondo romantico ed idilliaco che la macchina vorrebbe soppiantare e che l'uomo sembra aver dimenticato in favore della tecnologia e della fugacità.
Io, invece, ecco qua, posso consolarmi della lentezza ammirando a uno a uno, riposatamente, questi grandi platani verdi del viale, non strappati dalla vostra furia, ma ben piantati qua, che volgono a un soffio d'aria nell'oro del sole tra i bigi rami un fresco d'ombra violacea: giganti della strada, in fila, tanti, aprono e reggono con poderose braccia le immense corone palpitanti al cielo.
Come sostiene Mazzacurati, "tutto gioca intorno ad un principio di opposizione invalicabile: l'avvicendarsi del dominio industriale ai regni della natura non dà luogo a trasformazioni ma a cancellazioni."
Non è un confronto o una modifica dialettica. Q. p. 52. Ivi p.53. 30 Sempre in Mazzacurati, nella sezione dedicata proprio al romanzo e intitolata Il doppio mondo di Serafino Gubbio, troviamo un capitolo che definisce i Quaderni il romanzo dell'anamorfosi. Forse più che di metamorfosi, occorrerà allora definire i Quaderni di Serafino Gubbio come un romanzo di anamorfosi: perché il meccanismo dominante (l'illusione cinematografica) non produce tanto trasformazioni quanto sostituzione della realtà naturale con una realtà artificiale, di secondo grado, che si nutre della prima e la assorbe entro i circuiti totalitari dello spettacolo-merce. L'anamorfosi avviene negli appositi reparti della Kosmograph, in cui la vita reale viene sostituita da quella meccanica. Gli stessi attori restano attoniti dalla loro immagine ripresa e registrata, poiché tale immagine non ha una reale consistenza, ha perso il suo valore.
d'individuo esistente per restare intrappolata in quel meccanismo. Questa fagocitazione attuata dalle macchine, è cifra caratteristica della descrizione che di esse fa il protagonista Gubbio. Ne abbiamo un esempio ancora una volta nel III capitolo del Quaderno Terzo, in cui Serafino racconta cosa si verifica nel cosiddetto Reparto Artistico o del Negativo, all'interno del quale egli ha il privilegio di entrare in funzione di operatore e dove "tutte le meraviglie della complicazione industriale e così detta artistica mi sono familiari."
Quanto di vita le macchine han mangiato con la voracità delle bestie afflitte da un verme solitario, si rovescia qua, nelle ampie stanze sotterranee [...] che alluciano sinistramente d'una lieve tinta sanguigna le enormi bacinelle preparate per il bagno.
Questa prima parte di descrizione del reparto sembra riecheggiare il rituale che veniva predisposto ad inizio romanzo presso l'ospizio di mendicità,
in cui bisognava purificarsi dei propri peccati e dell'attaccamento ai beni materiali (G. Mazzacurati, Il doppio mondo di Serafino Gubbio in Pirandello nel romanzo europeo, Bologna, il Mulino, 1995, p. 75). Qui, invece, le bacinelle predisposte per il bagno sono circondate da un alone rossastro, una tinta color sangue, che pare voglia alludere e ricordare una vera e propria scena del crimine, un vero e proprio delitto che sta per compiersi. Ed effettivamente un delitto avviene poiché "La vita ingojata dalle macchine è lì, in quei vermi solitari, dico nelle pellicole già avvolte nei tela" (ibidem, p. 76). Bisogna fissare questa vita, che non è più vita, perché un'altra macchina possa ridarle il movimento qui in tanti attimi sospeso. Siamo come in un ventre, nel quale si stia sviluppando e formando una mostruosa gestazione meccanica (ibidem, p. 78). Poiché tutto questo...Il meccanismo avrà come finalità quella di mettere in scena un film, riunificato in tutte le sue parti, il reparto adibito a farlo viene accostato ad un ventre materno, pronto a dare alla luce la sua creatura, una creatura tutt'altro che viva e vibrante, ma immobilizzata e sospesa per sempre in quell'attimo. In questa disgregazione della vita umana, a dissolversi sono anche coloro i quali partecipano a questo meccanismo, poiché non considerati in vesti di uomini e dunque privati della loro anima.
Basta ch'io entri qui, in quest'oscurità appestata dal fiato delle macchine, dalle esalazioni delle sostanze chimiche, perché tutto il mio superfluo svapori. Mani, non vedo altro che mani, in queste camere oscure; mani affaccendate u le bacinelle; [...]