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I QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE
Con la prima edizione del romanzo ci troviamo nel 1915, in un contesto in cui le
macchine belliche incombono minacciose all’orizzonte: Pirandello, tuttavia, non
condivide affatto la mitologia tecnologica dei propri contemporanei e della guerra. Di
fatto, i “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” sono incentrati sulla polemica,
ossessivamente insistito, fra civiltà tecnologica e umanistica, cinema e teatro, opera
d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e irripetibile unità dell'opera artistica. In
un'umanità impegnata nelle sue più ordinarie occupazioni, Serafino è L’IO narrante ed
al tempo stesso personaggio della storia narrata, il quale ritaglia per sé il solo ruolo di
spettatore, di testimone. Dunque, denotiamo un distacco esistenziale per cui Serafino
si configura come un personaggio voce della coscienza, il quale attua un'analisi
corrosiva , una demistificazione della realtà, in quanto unica potenzialità di
opposizione programmatica rimasta all'artista. Per tale motivo vi è un'evidente
emarginazione dal flusso vitale in cui lo stesso è comunque tentato di immergersi,
tramite l'amore per Luisetta. Tuttavia l’offerta d'amore tardiva di quest'ultima sarà
rifiutata in nome del totale silenzio raggiunto, dell'impassibilità. In tale contesto è
possibile evidenziare una totale perdita dell'identità, giacché Serafino si immedesima
nel congegno della macchina da presa, riducendosi a mera mano la quale gira una
manovella: con tale spersonalizzazione si evidenzia la crisi dell'intellettuale dell'epoca
nel suo scontro con l’emergente mondo industriale, in cui la nuova arte del cinema
viene ridotta a mera industria cinematografica. Lo stesso Serafino afferma, in uno dei
suoi quaderni, come si possano spendere migliaia di lire per la realizzazione di una
scena che sullo schermo non durerà più di due minuti, laddove macchinisti ed attori si
daranno l'aria di ingannare la macchina, volta a far sembrare realtà tutte le proprie
finzioni. È proprio in tale contesto che si designa come nella casa cinematografica
Kosmograph ci si accingesse a girare un film in cui sarebbe stata uccisa una tigre,
tantoché Serafino osserva sapientemente come, in mezzo ad una finzione generale,
solamente la morte della stessa sarebbe stata reale: la tigre è uccisa unicamente per
gioco, allorché -quasi paradossalmente- Serafino sebbene “l'amava e l'ammirava”
avrebbe continuato a girare impassibile la manovella nel momento dell'uccisione. Il
romanzo terminerà proprio con tale scena, recitata dall'attore Aldo Nuti, amante della
“donna fatale” V. Nestoroff nonché rivale del compagno della stessa (Carlo Ferro, il
quale nonostante il proprio evidente temperamento impetuoso, temeva per la propria
vita, rifiutando pertanto di sparare alla tigre in quanto essa avrebbe potuto sbranarlo).
Tale destino sarà riservato ad Aldo Nuti, allorché Serafino trarrà le proprie
considerazioni: per il suddetto la macchina da presa aveva in sé la vita di un uomo, ma
in fin dei conti era ciò che si sarebbe potuti aspettare da un periodo dominato dalle
macchine, considerate dallo stesso come una produzione stupida e pazza al contempo.
Alla fine, dunque, Serafino rimarrà in silenzio, “solo, muto e impassibile”, allorché non
gli interesserà nemmeno della ricchezza guadagnata: sono ben evidenti la reificazione,
la spersonalizzazione, in quanto conseguenze inevitabili della Rivoluzione industriale,
in cui la mercificazione dell'arte è ben rappresentata dalla “perdita dell'aureola” nella
società moderna, una società la quale obbedisce alle sole regole del mercato e del
profitto. È così che Serafino trova un compenso all'alienazione indotta dalle macchine
nella scrittura, analogamente a Mattia Pascal: di fatto, egli scrive poiché la propria
vicenda è straordinaria e assurda al contempo, ma non ne comprende il significato,
tantoché non scrive perché lui stesso riesca, attraverso la scrittura, a comprenderlo
bensì perché il lettore possa vederlo leggendo il romanzo. La storia narrata da Serafino
non è la propria, ma quella altrui, registrata nel proprio diario: si tratta dell’amico
Simone Pau che lo aiuterà a trovare una sistemazione non appena giungerà a Roma
con una valigetta, quale unico bagaglio del proprio passato. Vi è poi l'omonimo