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Bizet a modificare il finale tragico, i librettisti si
impegnarono almeno a ridurre l’impatto cruento del testo,
compiendo tagli sulla redazione iniziale: il motivo per il
quale José ha lasciato sua terra ed è venuto a Siviglia non
è più un omicidio, si dice soltanto che è conseguenza di
un episodio di gioco d’azzardo; anche l’uccisione del
tenente, presente nella novella, viene omessa. 60
Dopo il generale insuccesso della prima produzione,
l’opera trionfò a Vienna e in tutt’Europa. Fu lodata per le
sue innovazioni, la chiarezza strutturale e la complessità
dei personaggi, guadagnandosi estimatori del calibro di
Richard Wagner, Johannes Brahms, Pëtr Il'ič Čajkovskij e
Friedrich Nietzsche, e presto divenne un classico.
Dal 1880 a oggi una delle opere più rappresentate, la
seconda al mondo nella lista di Operabase.
Da Lacarmén a Carmen
Su richiesta di Martone, Moscato rielabora la storia di
Carmen e José basandosi più sul testo di Mérimée che su
quello operistico: elimina il personaggio di Micaela, con il
mondo morale da lei rappresentato, e mantiene come
struttura fondante il flash-back che caratterizzava la
novella.
L’idea di una vicenda tutta rievocata aveva
particolarmente interessato Martone. A partire dai suoi
spunti, da quello che ormai è il mito di Carmen, da una
città come Napoli che sempre lo ispira, Moscato scrive
dunque una pièce intitolata Lacarmén. Propenso più alla
61
poesia che alla prosa, l’autore adotta una forma che si
potrebbe definire prosimetrica, con abbondanza di rime. Il
testo, molto vasto, è stato poi tagliato e rimaneggiato da
Martone per ottenere uno spettacolo ritmato, che sia
raffinato ed esuberante a un tempo. Lacarmén,
rimaneggiata dal regista e divenuta spettacolo, torna a
intitolarsi Carmen.
Prima che lo spettacolo inizi il pubblico viene avvolto dal
suono delle onde, e capisce subito dove si trova: Napoli,
città profondamente legata al suo mare (che a Siviglia
invece non c’è). A differenza della novella che si svolge in
una pluralità di luoghi, e dell’opera che presenta la doppia
ambientazione città/montagna, il dramma di Moscato si
svolge interamente in città.
La vicenda non è ricollocata solo nello spazio, ma anche
nel tempo: non siamo nei primi decenni dell’800, bensì
nel ventesimo secolo. Addirittura, interpretando la
suggestione di Martone sulla centralità del flash-back, il
drammaturgo dà a Lacarmén una doppia ambientazione
temporale: la Napoli degli anni ’40, della giovinezza dei
protagonisti, e quella degli anni ’80, con i personaggi
molto cambiati, immersi nei ricordi. Si tratta di due
momenti storici difficili per la città, due preziose fonti di
62
ispirazione per i conflitti che li hanno animati ma anche
per l’arte che hanno prodotto: nel dopoguerra operava
Viviani, l’autore a cui guarda tutta la Nuova
Drammaturgia napoletana, di cui Moscato fa parte; è
invece negli anni ’80 che quest’ultimo inizia il suo
percorso artistico, nutrendosi dei profondi cambiamenti in
atto sia nella società che nell’arte. Volendo creare un
profondo dialogo tra queste due epoche, Moscato aveva
previsto che tutti i ruoli, non solo quelli dei protagonisti,
fossero sdoppiati tra attori giovani e maturi; ma Martone,
eliminando quest’aspetto, ha voluto valorizzare la
recitazione di Iaia Forte e Roberto De Francesco. Il
regista ha reso così meno chiara la diacronia prevista dal
drammaturgo, creando anzi un impasto temporale, poiché
la scenografia e i costumi lasciano pensare in parte a
un’epoca in parte all’altra.
I nomi dei protagonisti sono rimodellati da Moscato
secondo la fonetica napoletana, divenendo Carmén e
Cosè. La prima è una zingara che lavora in una
manifattura tabacchi, il secondo un brigadiere originario
del nord Italia. Il personaggio di Lucas/Escamillo viene
ribattezzato ‘o Torero, nome d’arte di quello che non è più
un matador (se non di femmine), ma un cantante; gli
63
zingari e Lilas Pastia mantengono invece i nomi originari,
ma si connotano rispettivamente come un multietnico
sottoproletariato cittadino e come un ironico narratore; il
tenente Zuniga mantiene il nome e il carattere che aveva
nell’opera bizettiana, il destino di morte che aveva nella
novella.
Dopo l’ouverture musicale, ottenuta dalla rielaborazione
di quella bizettiana, la scena si apre su una storia già
conclusa da rievocare e narrare, come in Mérimée. Cosè è
in cella dove ce lo aspettiamo ma, prima e sostanziale
novità, sul palco del “presente” c’è anche Carmen. La
donna, che compare brancolando in occhiali da cieca, non
è stata uccisa ma ha subito il taglio degli occhi. Dunque è
in grado di prendere la parola e dare una sua
interpretazione dei fatti.
Da qui la narrazione è grosso modo fedele agli originali.
Carmen si fa notare da Cosè lanciandogli un fiore. In
seguito litiga con la collega, la sfregia, viene prima
accusata e poi difesa dal brigadiere sedotto, infine fugge
all’arresto. Cosè sconta un mese di prigionia. Carmen e i
contrabbandieri suoi compagni dovrebbero organizzare
una rapina, ma lei rifiuta di partecipare dichiarandosi
64
innamorata. Cosè intanto è stato rilasciato, ma Zuniga gli
assegna il compito umile di fare la guardia alla casa di un
colonnello. Carmen e i suoi compagni vi si recano per
partecipare a una festa, deridendo all’entrata e all’uscita il
povero soldato. Questi inizia a manifestare la propria
gelosia nei confronti di Carmen.
I due iniziano una relazione, che però si incrina
irrimediabilmente quando lei si rende conto che Cosè
rimane legato ai doveri militari, preferendo presentarsi
all’appello piuttosto che passare la serata con lei e i
contrabbandieri alla taverna. Cosè le canta una romanza in
francese, ma non riesce a placarla e viene messo alla
porta. Una gelosia violenta è ora la dominante nel
comportamento dell’uomo. Uccide Zuniga e sfida ‘o
Torero, giovane cantante di cui intanto Carmen si è
invaghita. Perde il duello e viene ferito alla gamba, ma
non si rassegna ad aver perso la donna. Durante una festa
infatti acceca Carmen, la quale si è rifiutata di emigrare
con lui, e infine uccide ‘o Torero con un colpo di pistola.
In questa sua Carmen intessuta di musica, Moscato
riprende l’andamento narrativo dell’opera bizettiana e
alcune parole-chiave delle sue arie; la rivisita insomma,
ma con rimandi costanti. 65
Il finale invece si discosta profondamente dagli archetipi;
in esso sta tutto il senso che Martone e Moscato
attribuiscono alla loro Carmen. Riporto le battute finali
dello spettacolo, con cui la protagonista racconta la sua
sorte:
Carmén? E di che Carmén vi devo parlare? Della
zingarella di un tempo, scombinata, anarchica,
malvestita sigaraia a cottimo d’a fabbrica ‘e tabacco, di
cui vi parla stu signore che sta n’galera… o di questa
Carmen qui? Di quella che vedete qui presente e che -
ahimè! – non può più vedere voi… e che ha smesso, nel
frattempo, pezzenteria e ignoranza, divenendo (pe
dispietto!) n’aggiornata e nobilissima Madama dei
Bordelli? “Aggiornata” sì! Che d’è, non ho forse detto
giusto? Una donna di classe deve planare basso. E allora
dico “aggiornata”! non colta né istruita, anche se, da tale
mito, ci sto a men di mezzo dito! Sarà forse che è
proibito? Non ci fate caso! Io sono un misto di volgarità
e rime. […] Che vi devo dire? I’nun so’morta. Musica,
22
maestro.
22 Parte del copione tratta dalla locandina di Carmen. 66
Carmen e Edipo re
La variazione più importante della Carmen di Moscato
rispetto all’originale è il finale, in cui la protagonista non
viene uccisa ma accecata. Una fine significativa: se
Carmen rappresenta Napoli, Napoli non può né deve
morire. Può invece cambiare e diventare filosofa, come
orgogliosamente si definisce la protagonista. Il motivo
dell’accecamento è carico di significati simbolici nella
cultura occidentale antica e moderna, sempre legato a un
superamento della normale sensibilità e all’accesso a
qualcosa di superiore.
Ricordiamo la locandina dello spettacolo, che cita un film
di Buñuel dove il taglio dell’occhio corrisponde non a una
perdita, ma a un aumento delle potenzialità della visione;
un processo che tra l’altro cammina di pari passo con il
superamento delle resistenze psichiche e sociali all’amore,
con il rifiuto globale delle convenzioni da parte delle
avanguardie.
Un archetipo di questo binomio cecità-conoscenza è
certamente Edipo, la cui saga è stata molto approfondita e
67
rappresentata da Martone: Oedipus rex di Stravinskij
(1988), Sette contro Tebe di Eschilo (1996), Edipo re di
Sofocle (2000), Edipo a Colono di Sofocle (2004),
Antigone di Fedele (2007), La serata a Colono di Morante
(2013) sono tutti titoli di rappresentazioni da lui dirette.
Edipo, come Carmen, è un personaggio che perde la vista
alla fine di un percorso di conoscenza, iniziandone allo
stesso tempo un altro, più profondo: è la Carmen che si
aggira sul palco in occhiali da non vedente a proclamarsi
filosofa. La cecità è anche il prezzo da pagare per le morti
e le disgrazie di cui entrambi sono stati causa, Edipo di
peste e guerra, Carmen di amanti “poveri muort’accise”.
Il peccato di Carmen sta nella rivendicazione della propria
libertà a tutti i costi, paragonabile con l’esagerato
desiderio di conoscenza di Edipo, che in fondo con questa
coincide. Entrambi sono insieme innocenti e colpevoli e
portano lo spettatore a interrogarsi sul grado di questa
colpevolezza, anche se la predestinazione divina che
guida Edipo è sostituita da un generico destino evocato
dal rituale della lettura dei tarocchi. Curiosa però la
catarsi finale: la volgarità di Carmen non scompare, forse
addirittura si approfondisce ma, trovando un equilibrio, si
avvicina sempre più a una forma di poesia. 68
Anche Cosè, però, assume qualche connotato edipico con
la sua figura nettamente opposta a quella di Carmen.
L’evidente zoppia che mostra, da una ferita riportata
durante l