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Lo studio della disabilità deve essere interpretato come il risultato di una
complessa rete di relazioni ed interazioni tra le varie figure che ruotano
attorno al bambino in particolar modo la famiglia e l’insegnante
o l’educatore in vista della costruzione di un vero e proprio
specializzato
“progetto di vita”, progetto in cui vengono potenziate competenze e
autonomie funzionali al raggiungimento di un maggiore livello di benessere
sociale e culturale.
<<La domanda da porsi è questa:
che cosa può fare un disabile per la collettività in cui vive?
È una domanda rivoluzionaria,
un cambio drastico di cultura e immagine.>> 3
3 C. Cannavò, E li chiamano disabili, Rizzoli, 2007
6
L’autismo è, dunque, una disabilità “permanente” che accompagna il
soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale
possono assumere connotazioni diverse e variabili nel tempo.
Credo seriamente che l’impegno pedagogico speciale debba essere assunto
da persone abili, volenterose, convinte di volersi impegnare concretamente
nelle varie situazioni educative spesso difficili e spesso problematiche. Non
sono molti coloro che con competenza osservano, studiano, operano
concretamente e decidono di offrire a tutto il mondo scientifico il frutto
delle proprie riflessioni sulle esperienze effettuate.
La vita educativa degli operatori che si occupano di persone con disabilità
richiede caratteristiche personali non comuni: cordialità per la maggior
capacità comunicativa che essa comporta; relazionalità, in mancanza della
quale non è possibile ottenere alcun risultato; pazienza, indispensabile per
prendersi cura di persone con problemi più o meno gravi e più o meno
evidenti; costanza, per essere in grado di sopportare meglio le inevitabili
crisi di un lavoro pratico operativo che non sempre è ripagato da risultati
evidenti; amore per queste persone, perché senza amore non si può fare
nulla in campo educativo.
Quest’ultima caratteristica, soprattutto se si opera nel campo della
Pedagogia Speciale assume somma rilevanza anche se bisogna tener sempre
presente che da solo l’amore non è sufficiente per affrontare i grandi
problemi che la persona con disabilità spesso presenta.
L’amore, per questo, deve essere coniugato con la competenza.
Quando questo binomio è presente, allora, si realizzano grandi cose per la
persona con deficit: una preparazione alla vita ottimale, una maturazione
delle proprie abilità residue, una formazione capace di proiettare nel mondo
del lavoro, un progresso evidente sul piano delle competenze sociali.
Tutto ciò non avviene solamente se si opera con le disabilità lievi, ma anche
7
con quelle complesse: l’amore unito alla competenza permette anche a
molti di coloro che purtroppo presentano gravi limitazioni sul piano fisico,
mentale e sensoriale di poter avere uno sviluppo completo e significativo, di
poter vivere inseriti in contesti di cura educativa ricchi di prospettive sociali
aperte al territorio, mai emarginanti.
Permette inoltre di offrire anche alle famiglie un sollievo reale, non
ma all’interno di un percorso in
solamente pratico operativo temporaneo,
una logica di prospettiva futura, un cammino sereno fino al “dopo di noi”,
problema che condiziona la vita delle famiglie e, di conseguenza, dei
soggetti disabili.
Mi ritorna in mente un aforisma sull’insegnamento di Leo Buscaglia…
“Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, noi stessi diventiamo
qualcosa di nuovo”.
È proprio vero.. Credo che ogni attimo passato accanto ad un bambino, con
disabilità e non, sia fonte di un nostro cambiamento, di una nostra continua
crescita interiore e sono fermamente convinta che bisognerebbe iniziare ad
osservare il mondo con gli occhi di un bambino poiché egli vede il bello in
ciò che per noi, molto spesso, è “futile”.
Ciò accade perché i bambini vivono in un mondo profondo dal quale molto
spesso, per varie ragioni, gli adulti fuoriescono per vivere limitatamente la
superficialità di ogni cosa circostante.
8
Capitolo primo
Il fenomeno dell’autismo nel corso della storia
1. Origini del fenomeno
L'autismo, chiamato originariamente Sindrome di Kanner, è considerato
dalla Comunità Scientifica Internazionale la più grave tra le patologie
psichiatriche dell’infanzia.
Attualmente risultano ancora sconosciute le cause di tale manifestazione anche
se è valutato un disturbo che interessa principalmente la funzione cerebrale.
Effettivamente non si tratta soltanto di un disturbo infantile, in quanto la
patologia caratterizza tutto il cammino di vita del soggetto e le esperienze
compiute da esso verranno condizionate da quel momento in poi.
A differenza di quanto si potrebbe affermare, il disturbo autistico non è un
fenomeno moderno in quanto, già nella Francia del Settecento, si assiste ad un
caso che fece largamente discutere.
Infatti nel 1797, nel bosco di Laucan, nel Tarn, venne trovato un bambino
definito “selvaggio” per il suo aspetto primitivo, per la mancanza di reazioni ai
rumori che venivano emessi intorno a lui e per la completa mancanza di
linguaggio.
Sebbene in questo periodo storico il disturbo autistico non fosse stato ancora
definito e riconosciuto come patologia, alcuni sintomi riportati dal giovane
selvaggio fecero pensare proprio a questa sindrome (Frith, 1998).
Il termine “autismo” è stato coniato per la prima volta nel 1911 da un
importante psichiatra svizzero, Eugene Bleuler, per indicare la mancanza di
contatto con la realtà presente nei malati mentali adulti.
9
L’autore sosteneva che il disturbo non fosse una malattia specifica, bensì un
4
sintomo secondario alle schizofrenie.
come sostiene Uta Frith ‹‹originariamente
Infatti il vocabolo si riferiva a un
disturbo fondamentale della schizofrenia, cioè un restringimento delle relazioni
con le persone e con il mondo esterno, un restringimento talmente estremo da
5
escludere qualsiasi cosa eccetto il proprio sé››.
che vengono considerati i pionieri dell’autismo infantile sono
In realtà coloro
Leo Kanner, psichiatra della Johns Hopkins, e il pediatra Hans Asperger, che,
rispettivamente nel 1943 e nel 1944, pubblicarono alcuni studi relativi al
disturbo. il termine “autismo” per indicare una
Leo Kanner adoperò ufficialmente
specifica Sindrome da lui osservata in undici bambini, fenomeno che viene
6
definito dallo stesso autismo precoce infantile .
Riporto tre definizione dello stesso Kanner poiché ritengo che in esse siano
presenti le caratteristiche essenziali della patologia che permettono anche a
coloro che non si sono mai imbattuti in un caso di autismo di capire meglio il
fenomeno.
“… Non rispondeva quando veniva chiamato e non guardava sua madre quando lei gli
7
parlava…”
“… quando veniva portato in una stanza non si curava per niente delle persone e si
8
interessava immediatamente agli oggetti…”
4 Cfr. A. Brauner, F. Brauner, Vivere con un bambino autistico, Giunti,1980
5 L’autismo Spiegazione di un enigma,
U. Frith, Laterza, Roma-Bari, 1998, pp. 10-11
6 – –
Theodore B. Cohen Hossein M. Etezady Bernard L. Pacella (a cura di), Il bambino
vulnerabile vol. III, Armando, Roma, 2006, p.19
7 – L’autismo e la lettura della mente, Casa
Simon Baron Cohen, Editrice Astrolabio, Ubaldini
Editore, Roma, 1997, p. 76
8 Ibidem 10
“… Su una spiaggia affollata andava dritto verso la sua meta e non aveva alcuna importanza
se, per far questo, doveva passare sopra giornali, mani, piedi e corpi con grande imbarazzo
dei loro proprietari. Sua madre faceva notare che non era che lui deviasse intenzionalmente
che neppure faceva il minimo tentativo di
dal suo percorso per calpestare le persone, ma
gli importasse di queste distinzioni.” 9
evitarle. Era come se non
2. Kanner e Asperger: due modelli a confronto.
Dopo attente e approfondite osservazioni, lo psichiatra affermò che alcuni
bambini apparivano funzionalmente muti o con linguaggio ecolalico
(l’ecolalia è un disturbo del linguaggio che consiste nel ripetere
involontariamente, come un'eco, singole parole o intere frasi pronunciate da
altre persone), altri mostravano invece una caratteristica inversione
pronominale, utilizzando l'io per riferirsi all'altro e il tu per riferirsi a sé
stessi.
Tra di essi inoltre vi era una grande percentuale di bambini che
manifestavano una paura ossessiva per l’avvenimento di qualche
cambiamento nell'ambiente in cui erano inseriti, mentre altri ancora
presentavano specifiche abilità isolate molto sviluppate sempre però
accanto ad un ritardo generale.
Kanner approfondisce il tema dell’autismo su vari fronti, facendo delle
riflessioni anche sui genitori dei bambini e descrivendoli come individui
freddi, poco interessati alle persone ed eccessivamente intellettuali come se
la causa della comparsa del sintomo potesse dipendere da tali atteggiamenti.
Tale concezione oggi appare ampiamente superata, sebbene nell’articolo del
9 Ibidem 11
1943 lo psichiatra concluda che la causa del disturbo possa probabilmente
essere di natura congenita.
Kanner parlava di “caratteristiche cardinali” in quanto era convinto che solo
due elementi distintivi fossero sufficienti e avessero un significato
fondamentale e indispensabile per diagnosticare il fenomeno dell’ Autismo.
Tali caratteristiche non si riferiscono direttamente al comportamento, ma ai
problemi psicologici a un livello abbastanza profondo da spiegare una vasta
gamma di comportamenti.
La caratteristica principale che ha dato il nome al disturbo è il cosiddetto
isolamento autistico.
Quello che si intende ineccepibilmente con questa caratteristica non può
essere identificato con un comportamento specifico ma può solo essere
dedotto dal comportamento.
Asperger parlava di bambini autistici che non erano mai sulla stessa
lunghezza d’onda dei compagni normali, in una qualche attività di gruppo.
Questa differenza impalpabile dei bambini autistici, che pervade ogni sorta
di comportamento, è lampante per un clinico esperto.
La seconda caratteristica cardinale è stata denominata insistenza ossessiva
per la frequente ripetitività.
Anche in questo caso Kanner identificò una qualità dedotta a livello
profondo.
Questo concetto indica parecchi fattori in una volta sola: ripetitivit&a