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VERGA

Rispetto ad altre correnti letterarie il Verismo si muove in maniera più cauta nella

rappresentazione popolare, se si prende ad esempio in considerazione quello può essere

considerato il suo capostipite, Verga, si può notare che in lui la rappresentazione

popolare si prefigura come un semplice particolare di una visione più vasta. A

differenza infatti della maggior parte degli scrittori che lo precedono, che vedono il

popolo come fulcro di valori positivi a cui contrapporre la corruzione della società o

l’ingiustizia del destino, in Verga il popolo non rappresenta un fattore particolarmente

significativo e di conseguenza non gli viene assegnato un posto privilegiato. Questo

accade perché non è la sofferenza dei ceti subalterni ad interessare lo scrittore ma

[…]la ciclica inesorabile riconferma di una legge comune a tutti i ceti, a tutti gli

uomini, a tutte le creature viventi […]

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e questo non avere un punto di vista ideologico da difendere gli permette di essere

distaccato e impersonale nella scrittura. Verga interviene infatti solo quando giudica

folle e disperato un vano tentativo di sottrazione al posto che ci è stato assegnato ed è

proprio il suo rifiuto di una qualsiasi speranza populistica a far si che la sua sia stata la

rappresentazione più convincente del mondo popolare italiano dell’Ottocento. Verga

eliminando proteste e speranze dalle proprie ideologie assume conoscenza e

consapevolezza di ciò che avviene e che potrà verificarsi, rifiutando un’ideologia

progressista rende solo più concreto il suo lavoro. Fu l’unico in Italia a fare ciò, infatti

quasi nessun altro dei veristi a lui contemporanei riuscirà a credere realmente a una

legge universale che non colpisce solo un preciso ceto o classe sociale, e questo accade

perché tali scrittori saranno portati a far comparire un punto di vista positivo nella

rappresentazione del popolo.

Nonostante Verga sia consapevole che la realtà sociale popolare del meridione verta

in condizioni disastrose, rimane neutrale rispetto ai miti che vanno diffondendosi in

quell’epoca come quello del progresso e del popolo, visto come ultimo conservatore dei

valori sociali e preso ad esempio dalla ormai corrotta borghesia industriale. Per lui il

.

A. ASOR ROSA, Scrittori e popolo, Samonà e Savelli, Roma, 1965, p 59

43 43

vedere una realtà italiana agli albori dell’industrializzazione che si sviluppa con

sostanziale differenza tra nord e sud e le disastrosi condizioni delle classi lavoratrici e

proletarie, gli delinea una realtà certa impossibile da migliorare. Questa condizione non

porta lo scrittore ne a maturare sentimenti di pietismo verso il popolo e ne a sviluppare

una sua conseguente mitizzazione.

Libertà

4.1 La massa in “ ”

Pubblicata sulla “Domenica letteraria” del 12 marzo 1882, “Libertà” è una novella

rusticana che nasce da un fatto di cronaca realmente accaduto nell’agosto del 1860 a

Bronte, un paesino siciliano. La novella, dal titolo amaramente ironico, è dedicata alla

sommossa contadina, che ha avuto luogo dal 2 al 5 Agosto, e alla successiva repressione

ad opera delle truppe garibaldine a discapito della popolazione brontese.

La rivolta avviene proprio in quel periodo, perché fa seguito ai decreti emanati da

Garibaldi che prometteva lo smantellamento dei latifondi e la spartizione delle terre. I

contadini assetati di giustizia, dopo secoli di stato servile, pensavano che fosse giunto il

momento delle divisioni delle terre, credendo di poter far affidamento su un intervento

garibaldino a loro favore. Ma si sbagliano e la loro aspirazione di giustizia sociale sfocia

in un orrendo massacro a cui seguì un giudizio piuttosto sommario.

La novella si divide in due momenti narrativi distinti: la sommossa e la repressione.

Nella prima parte troviamo la rappresentazione della violenza della folla, presentata

senza intromissioni da parte dell’autore, c’è solo la moltitudine del popolo a parlare con

la sua forza bruta che da sfogo ai suoi istinti più bassi. La folla ci viene presto presentata

«come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava […]» , subito Verga

44

utilizza una similitudine che rende immediata la visione di ciò che sta accadendo. Il

mare infatti è uno dei simboli che meglio rappresentano la folla, che nel suo desiderio di

onnipotenza tende ad assomigliargli nella sua estensione sconfinata e nella sua capacità

di travolgere ogni ostacolo. L’urto della folla ricorda la forza delle onde e come il mare

si alimenta di tante piccole gocce, così la calca si fa forte dell’aggregazione dei singoli

individui, che isolati non avrebbero valenza e invade tutti gli spazi disponibili al pari del

mare che «[…] giunge ovunque, bagna ogni terra» .

45

G. VERGA, Opere, Libertà, a cura di G. Tellini, vol. XIV, Milano, Mursia, 1988, p.679

44 E. CANETTI, Massa e potere, [1960], Milano, Rizzoli ed., 1972, p.85

45 44

Il grido che muove la fiumana umana è: «viva la libertà» , ma per i rivoltosi di Bronte

46

il concetto di libertà non coincide con la libertà risorgimentale di Patria, ma è

direttamente collegato al problema della miseria, della terra e dell’oppressione sociale:

il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove mi

conducete? – In galera? – O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra!

Se avevano detto che c’era la libertà!.

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È per sfuggire a quell’oppressione sociale e allo sfruttamento secolare, che l’ira del

popolo si scaglia contro i “galantuomini” e i “cappelli”, simboli di elevatezza sociale e di

supremazia. Tocca morire al barone, al prete, allo sbirro, al guardaboschi, i morti

seguono una macabra gerarchia sociale discendente che non risparmia nessuno e coloro

che hanno commesso soprusi sono destinati a soccombere. Neppure i bambini sono

risparmiati, perché un giorno saranno galantuomini pure loro e ciò non è accettabile,

bisogna eliminare tutti, «tutti i cappelli!» . La rivolta continua, va avanti, e la marea

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inizia ad affievolirsi, è adesso un torrente, è la piena di un fiume, la moltitudine inizia

ora ad avere un movimento lento orientato verso una direzione precisa appena prima

della scarica:

[…] il fiume è simbolo di massa in modo completamente diverso dal fuoco, dal

mare, dalla foresta o dal grano. È simbolo di una condizione ancora controllata,

prima dello scoppio e prima della scarica. È il simbolo della massa lenta.

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Ma quando la mattanza si esaurisce, i paesani si ritrovano di domenica senza prete che

dica la messa e senza padroni da cui prendere gli ordini della settimana, ci sono campi

dinanzi a loro, ma non possono dividerli perché mancano il perito e il notaio.

«Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti! », giunti a questo punto Verga è

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come se volesse evidenziare che i contadini ottengono la libertà, ma che non riescono a

gestirla perché la loro classe sociale è portata a soccombere e ad essere sottomessa a

qualcuno. Quella che si era originata come una specie di rivoluzione sociale, in realtà si

tramuta in una vendetta fine a se stessa, gli oppressi di Verga non sono in grado di

liberarsi dagli oppressori, non possono farlo perché hanno bisogno di essere sottomessi

a qualcuno, è la loro condizione che lo impone, sono loro stessi a imporselo. Non

G. VERGA, Opere, Libertà, cit., p.679

46 Ivi, p.683

47 Ivi, p.680

48 E. CANETTI, op. cit., p.88

49 G. VERGA, Opere, Libertà, cit., p.681

50 45

riescono a rendersi protagonisti di una trasformazione sociale e di conseguenza restano

dei “vinti”, ed è solo a questo punto, come sostiene Mazzacurati, che scatta la pietà in

Verga, cioè solo quando i contadini vengono sconfitti e condannati alla loro immobile

disperazione.

Ben presto infatti:

Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima. I galantuomini

non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non

poteva vivere senza i galantuomini. Fecero la pace. ,

51

e come un ciclo continuo, l’ordine si ristabilisce da solo, quasi in automatico.

In seguito, dopo che Bixio dichiara Bronte “colpevole di lesa umanità” e proclama lo

stato d’assedio, il comandante procede agli arresti e proprio da “dei galantuomini cogli

occhiali” vennero interrogati gli accusati, quelli il cui processo durò circa 3 anni. Cinque

persone vennero invece fucilate all’indomani della repressione per ordine immediato del

generale Bixio e una volta ristabilitosi l’ordine al paese, a questi si pensava sempre

meno.

L’autore siciliano conosce bene le drammatiche condizioni delle masse contadine

siciliane del XIX secolo, soggette a sfruttamento e oppressione, ma nonostante ciò

afferma che è inutile che si ribellino perché, oltre ad avere uno sfogo violento, non

riusciranno mai a progredire socialmente, e qualora avvenisse tale miglioramento non

sono che destinate a una sorte più tragica.

La visione che offre Verga di tale sommossa è alquanto ambigua, non si riesce a

definire con certezza quale potesse essere il suo atteggiamento, e cioè se fosse dalla

parte del popolo o dei “galantuomini”. Secondo Sciascia l’autore è per lo più solidale

con i rivoltosi, sebbene nel saggio “Verga e la Libertà” non esita a sostenere che alcune

trasfigurazioni dei fatti siano intenzionali per proteggere il mito di Bixio, mentre per

Mazzacurati figurano nel testo sia evidenti elementi anti-popolari e sia fattori che

sottolineano una narrazione alquanto insicura ideologicamente. È testimonianza di ciò

la revisione di alcuni particolari della narrazione avvenuta, dopo la rivoluzione

bolscevica del 1920, per la collezione della “Voce”, qui il fazzoletto tricolore “sciorinato

dal campanile” diventa rosso e la figura del “generale piccino”, che nella prima edizione

aveva fatto il suo ingresso al paese in maniera quasi anonima sul suo “gran cavallo

Ivi, p.683

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nero”, indosserà nell’edizione revisionata la “camicia rossa”. Lo stesso modo di

annunciare Bixio muta, dapprima è presentato con “questo era l’uomo”,

successivamente l’uomo lascerà il posto a “questo era generale”. L’ultima dichiarazione

ha un che di confuso per molti critici che non riescono a determinare con certezza se

questa affermazione vie

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A.A. 2012-2013
61 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher shanti90 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof De Cristofaro Francesco.