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Come la ruminazione, anche il rimuginio gioca un ruolo di primo piano nel
mantenimento dei sintomi depressivi. Il rimuginio depressivo è in gran parte simile al
rimuginio di tipo ansioso, un fenomeno mentale caratterizzato da una forte prevalenza
di pensiero negativo. Le differenze fondamentali tra il rimuginio depressivo e la
ruminazione depressiva riguardano sia il contenuto cognitivo che la struttura formale. Il
contenuto del rimuginio depressivo è, naturalmente, più legato al ricordo e
all’interpretazione negativa di fatti passati piuttosto che a previsioni negative di
possibili disgrazie fututre. Nei soggetti ansiosi tendenti al rimuginioatori le informazioni
minacciose e negative depositate nella memoria a lungo termine tenderebbero a
presentarsi alla coscienza sotto forma di pensieri intrusivi e improvvisi piuttosto che di
rievocazione volontaria. Numerosi autori (Morrow e Nolen-Hoeksema, 1990 ;
McLaughlin e Sibrava, 2007) hanno dimostrato come il rimugino risulti efficace nel
mantenere e nell’aggravare un tono dell’umore triste in soggetti depressi. Questo
effetto incubante sarebbe dovuto alla caratteristica del rimuginatore nel focalizzare la
propria attenzione su se stesso e sulle proprie esperienze negative, amplificando in
questo modo il proprio annichilimento.
2.2. Il disturbo depressivo
La depressione, sofisticatamente detta anche melanconia, è un’alterazione del tono
dell’umore che sfocia in forme di tristezza profonda con una prevaricante riduzione
dell’autostima e del contatto sociale. In campo psichiatrico si può distinguere una
depressione di tipo endogeno che, come vuole l’aggaettivo, nasce dal di dentro senza
rinviare a cause esterne, e una depressione di tipo reattivo, patologica solo quando la
reazione ad avvenimenti luttuosi o tristi appare eccessiva.
Malgrado cambiamenti in senso negativo dell’umore in risposta ad eventi avversi o
stressanti siano esperienza comune all’uomo, il disturbo depressivo differisce dalla
fisiologica fluttuazione dell’umore (o eutimia) per l’impatto dirompente sul
funzionamento dell’individuo e per la persistenza nel tempo, che si accompagna a
deficit a carico della dimensione cognitiva e somatica. Il disturbo depressivo non è solo
quindi un semplice cambiamento del tono dell’umore in senso negativo, ma piuttosto
una sindrome disabilitante caratterizzata dalla contemporanea modificazione del tono
dell’umore, del funzionamento cognitivo e di quello somatico.
Il “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (Diagnostic and Statistical
Manual of Mental Disorders - Fourth Edition, Text Revision; APA, 2000) nella sua
quarta edizione definisce il disturbo depressivo come un declino significativo del tono
dell’umore e/o perdita di piacere e interesse che persista per almeno due settimane e che
si accompagni a significative modificazioni in almeno quattro di una lista di nove
sintomi, che comprendono:
1. umore depresso per tutto il giorno, quasi ogni giorno.
2. marcata riduzione di interesse o piacere per tutte o quasi le attività, per tutto il
giorno, quasi ogni giorno.
3. significativa perdita di peso o aumento di peso o diminuzione o aumento
dell’appetito.
4. insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno.
5. agitazione o rallentamento psicomotorio.
6. faticabilità e mancanza di energia.
7. sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati.
8. ridotta capacità di pensare o di concentrarsi o indecisione.
9. pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione
suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio.
Tra tutti i sintomi elencati è l’incapacità di provare piacere o “anedonia” a rappresentare
la dimensione clinica nucleare della diagnosi di depressione.
Nel seguente capitolo verranno affrontati maggiormente nel dettaglio i sintomi tipici
della depressione e i possibili interventi terapeutici a cui un soggetto depresso può
sottoporsi, senza trascurare le interpretazioni, dalle più classiche alle più moderne, date
dalla psicologia nel decifrare il disturbo depressivo. Inoltre si verrà a delineare
l’argomento chiave di questa tesi, valutando il ruolo della ruminazione e del rimuginio
nel mantenimento dei sintomi depressivi.
2.3. Nosologia della depressione
Come modificazione del tono dell’umore, la depressione è un disturbo distimico che ha
nell’euforia, che quando è spiccata assume le forme della mania, il suo contrario.
Depressione e mania possono presentarsi in fasi o cicli di settimane intervallati da
periodi di benessere, in questo caso si parla, come vuole la classificazione di Kraeplin
(1914), di ciclotimia.
L’equilibrio tra depressione ed euforia è tra i più delicati equilibri psichici. Regolato dai
centri nervosi situati nella base del cervello, il suddetto equilibrio è compromesso dalle
stimolazioni più varie che vanno dai fattori fisici e chimici alla qualità dell’educazione
che si è ricevuta, ai fattori ereditari, ai ritmi biologici giornalieri. Distinguere tra fattori
ereditari e fattori ambientali è pressoché impossibile, perché genitori tendenzialmente
depressi avranno una maggiore probabilità di sottoporre i propri figli ad un clima
familiare triste o a un’educazione rigida e colpevolizzante che facilita la futura
depressione.
Fasi depressive attraversano la vita degli uomini come episodi legittimi e comprensibili,
dove il soggetto è consapevole di poterle superare da sé. Quando questa consapevolezza
viene meno o non è più controllabile, allora lo squilibrio depressivo assume
caratteristiche psichiatriche che necessitano di un aiuto esterno.
I sintomi tipici della depressione possono essere così classificati:
a) Disturbi somatici e neurovegetativi; essi comprendono l’insonnia, che spesso
annuncia l’inizio di una fase depressiva, l’inappetenza con dimagrimento rapido, la
diminuzione dell’interesse sessuale, fino alle disfunzioni epato-biliari che hanno ispirato
storicamente l’etimologia della melanconia (bile nera).
b) Disturbi dell’affettività; prevalgono sentimenti improntati a una tristezza
profonda, monotona e cupa che può resistere alle sollecitazioni esteriori. A ciò si
aggiunge una progressiva perdita di interesse per la vita, spesso accompagnata da un
senso di colpa vissuta non in vista di un’espiazione e di una salvezza, ma come una
fatalità ineluttabile. Di qui l’autoaccusa continua a cui tende a sottoporsi il depresso,
spesso percorso da sentimenti di indegnità e di autodisprezzo.
c) Abulia nel comportamento e inibizione del pensiero; il pensiero sorge lento e
monotono con perdita di iniziativa e di progettualità. L’attenzione, concentrata sui temi
melanconici, rende povera l’ideazione, difficoltose le associazioni, penose le
rievocazioni e difficili le sintesi mentali. In alcuni casi, al posto del rallentamento
psicomotorio può presentarsi agitazione.
d) Tendenza al suicidio e desiderio di morte; possono accompagnare la vita del
depresso in quanto, tra tutte le forme di sofferenza psichiatrica, la depressione è
senz’altro la più esposta al desiderio di morte. Nei casi estremi, questo può delinearsi in
un significato soggettivo altruista. Di fronte alla minaccia di un avvenire sempre più
oscuro, il depresso trascina nella sua morte anche i propri familiari per farli scampare
alla vita che egli ritiene impossibile da proseguire.
2.4. Interpretazione biologica della depressione
Un contributo notevole alla ricerca sulla depressione è stato dato da quelli che vengono
chiamati Modelli Biologici. Le teorie proposte per una interpretazione su basi
biologiche del disturbo depressivo e dei disturbi dell’umore in genere sono numerose e
supportate da dati consistenti. Nonostante i riscontri, tuttavia, non si dispone ancora di
prove scientifiche definitive in grado di convertire le ipotesi in accertate cause
patogenetiche. Tra le ipotesi formulate, le più accreditate sono quattro:
- Le ipotesi biochimiche e neurotrasmettoriali (Stephen M. Stahl, M.D., Ph. D,
Psicofarmacologia Essenziale) sono state formulate sulla base di osservazioni cliniche
che indicavano un legame tra la deplezione delle riserve intraneurali di noradrenalina,
serotonina e dopamina, determinata dall’alcaloide naturale reserpina, e lo sviluppo di
sintomi depressivi in alcuni pazienti. Per individuare esattamente quale o quali
neurotrasmettitori fossero implicati sono stati analizzati i loro metaboliti ricercandoli a
livello delle urine, del sangue, del liquor e del tessuto cerebrale. Studiando il
funzionamento degli agenti antidepressivi e dei recettori sinaptici con metodiche di
neuroimmagine, alcuni ricercatori sono giunti a ipotizzare che la causa della depressione
possa risiedere nella diminuita funzione monoaminergica del sistema nervoso centrale.
- Le ipotesi, invece, di un coinvolgimento del sistema neuroendocrino (Stephen
M. Stahl, M.D., Ph. D, Psicofarmacologia Essenziale) sono avvalorate dalle anomalie
nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e nell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, spesso
riscontrate nei pazienti affetti da depressione e disturbo bipolare.
- Negli ultimi anni hanno ricevuto un’attenzione crescente i neuropeptidi, brevi
catene aminoacidiche che esplicano funzioni neurotrasmettitoriali e neuromodulatorie,
come la colecistochina, il peptide intestinale vasoattivo, la vasopressina, l’ossitocina e le
endorfine (Stephen M. Stahl, M.D., Ph. D, Psicofarmacologia Essenziale).
- Studi sul sonno hanno infine rilevato numerose anomalie di questa funzione
fisiologica, che non sono tuttavia specifiche della depressione e non sono costantemente
evidenziabili nei depressi. Le alterazioni riscontrate consistono in un disturbo della
continuità del sonno, una diminuzione della sua durata complessiva, un ritardo nella
comparsa del sonno rem (sonno a movimenti rapidi oculari), una maggiore frequenza
delle fasi rem e una parallela riduzione dei periodi non-rem (Stephen M. Stahl, M.D.,
Ph. D, Psicofarmacologia Essenziale). La perdita di sonno è stata correlata a
meccanismi di aggravamento e precipitazione degli stati maniacali. Nonostante i
risultati siano di controversa interpretazione, gli studi sul sonno costituiscono un
promettente campo di indagine.
2.5. Trattamento della depressione
Ricercatori e clinici hanno sviluppato ed implementato vari trattamenti per gli individui
affetti da disturbo depressivo, che vanno da interventi farmacologici ad interventi
psicoterapici.
Lo scopo dell’intervento terapeutico (psicoterapeutico e/o psicofarmacologico) nella
depressione si può dividere in tre fasi successive:
1. Indurre miglioramento dei sintomi e remissione dell’episo