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“CORROTTA” “SPORCATA”
DAL LUOGO, DALLA MATERIA, piena della
sapienza artigianale che sempre inevitabilmente accompagna la costruzione
“trovata”
dell’architettura. L’architettura di Ridolfi non indulge mai, alla o
all’immagine d’effetto, al contrario, essa è sempre meditazione profonda sulla
“antecedente
forma e forse per questo è difficile considerarla logico” delle attuali
proposte scenografiche misurate sui diversi livelli di potere nella competizione
fra le città dell’epoca della globalizzazione».
31
MODERNISMI ITALIANI. ARCHITETTURA E
2) COSTRUZIONE NEL NOVECENTO di SERGIO
PORETTI.
a) STRUTTURE NASCOSTE.
L’avvento della STRUTTURA METALLICA prima, e di QUELLA IN
CEMENTO ARMATO poi, gioca un ruolo fondamentale nel passaggio
“Il
dall’architettura tradizionale a quella moderna. telaio”, ha scritto Colin Rowe,
“è
rimarcando l’importanza della Scuola di Chicago su questo aspetto, giunto a
possedere un significato per l’architettura contemporanea che equivale a quello
della colonna per l’antichità classica e il Rinascimento”. Con conseguenze
architettoniche anche molto differenti nelle varie correnti interne al movimento
moderno, l’ossatura portante resistente a flessione sostituisce radicalmente la
struttura muraria stabile per gravità.
A estendere all’intero campo dell’edilizia corrente il processo di sostituzione
della tettonica muraria con la TETTONICA DEL TELAIO contribuisce
(soprattutto in Europa) lo sviluppo verso la fine del secolo diciannovesimo del
cemento armato.
Il fenomeno riguarda anche l’Italia, dove, anzi, la nuova tecnica si diffonde con
particolare rapidità e ampiezza. Con una differenza però: nel contesto italiano la
STRUTTURA IN CEMENTO ARMATO anziché sostituire la muratura si
inserisce gradualmente in un impianto che assume il carattere della costruzione
mista. È la conseguenza della continuità che distingue, nel suo complesso, il
processo di modernizzazione italiano e che, nell’edilizia in particolare, implica la
–
persistenza del piccolo cantiere artigianale: in esso il cemento armato se
–
realizzato in opera può inserirsi senza provocare trasformazioni rilevanti.
Si spiega cosi anche l’anomalia per cui l’avvento del cemento armato coincide
con la scomparsa improvvisa e pressoché totale della struttura in acciaio e si
32
ricollega invece alla linea antitetica della muratura armata portata avanti nella
seconda metà dell’0ttocento da Antonelli.
La gradualità dell’inserimento nell’ambito dell’opera muraria giustifica anche il
modo particolare con cui la struttura in cemento armato influenza la
sperimentazione architettonica, in quegli anni indirizzata prima al superamento
dello storicismo e poi alla messa a punto di un modernismo con caratteri
–
autonomi. Il sistema laterocementizio eseguito interamente in opera con
–
tecniche artigianali in quanto mantiene un carattere essenzialmente murario
non provoca immediatamente il ripudio del linguaggio storicistico, basato
sull’ordine architettonico e quindi etimologicamente legato alla costruzione
muraria (ripudio che invece accomuna i modernismi europei di inizio secolo).
Nello stesso tempo, però, l’inserimento del telaio a contaminare il sistema
architravato e voltato segna lo scardinamento del tradizionale sistema della
modanatura dalla parete muraria e ne autorizza, in un certo senso, la
manipolazione in una chiave essenzialmente figurativa. La costruzione mista, in
“determina”, “sostiene”
altre parole, se non certamente quella connotazione
formalistica e artistica dell’architettura che si viene consolidando nel clima
preponderante del neoidealismo. E diviene il nocciolo dei tanti linguaggi che si
addensano nel panorama degli anni dieci e venti, dal floreale di Sommaruga o di
Basile ai novecentismi di Muzio o di Del Debbio, riconducendoli tutti nell’alveo
di un modernismo eclettico che, nella comune intonazione atettonica, assume già
un tratto tipicamente italiano.
Nella Cà Brutta, per esempio, è l’esistenza di un invisibile scheletro portante a
ispirare (e giustificare) la libera riaggregazione in facciata di elementi ormai
puramente figurativi. Nell’Accademia di Educazione fisica al Foro Mussolini,
s’intravede
mentre l’ossatura di pilastri e travi appena nel discreto sistema di
lesene e fasce che anima il corpo della parete, l’immagine risulta caratterizzata
dal sistema, del tutto indipendente, dei masselli bianchissimi di marmo di Carrara
che, evidenziando stipiti, architravi, timpani, rimarca la composizione delle
aperture. 33
Nonostante il linguaggio tradizionale, nelle opere di questi anni non sono
nascoste solo regolari intelaiature ma anche ardite soluzioni strutturali.
D’altra parte l’ingegneria italiana, che ha già avuto un notevole e articolato
sviluppo nel corso dell’Ottocento, all’inizio del nuovo secolo si è univocamente
indirizzata all’approfondimento della conoscenza del comportamento delle
grandi strutture in cemento armato. Partendo dalla difficoltà di applicare la teoria
elastica classica, a causa dell’anisotropia del materiale, e dagli inconvenienti
generati dalla diversa natura dei componenti (le fessurazioni del calcestruzzo in
zona tesa innanzitutto), si sono subito avviati studi sul comportamento in fase
plastica, indagini sul fenomeno della rottura, osservazioni sugli effetti di stati di
coazione impressa. E fin dall’inizio la ricerca si è incanalata lungo le due linee,
sostenute dai contributi di Colonnetti da una parte e di Danusso dall’altra, che
lungo percorsi differenti porteranno senza interruzioni alle grandi realizzazioni
del dopoguerra.
Non meraviglia perciò che all’interno di architetture ancora fortemente legate ai
linguaggi dell’eclettismo si nascondano macchine strutturali anche molto
sofisticate. È il caso delle coperture del teatro di Prato del 1921 e del dispositivo
interno del cinema Augusteo a Napoli del 1926, studiate dal giovane Nervi (e,
più in generale, delle grandi strutture per le coperture e per le gallerie dei cinema
che si costruiscono numerosi in questi anni). È il caso della doppia rampa a
sottilissime eliche contrapposte che conduce ai dieci piani della Casa
dell’automobile, che il costruttore Rodolfo Stoelcker presenta al congresso di
Liegi del 1930 dedicato al cemento armato, ma che, nello stesso tempo, per le
facciate in stile eclettico disegnate dall’architetto Bacchetti, si merita un posto
nel Tavolo degli Orrori.
È il caso della copertura della palestra nell’Accademia di Educazione fisica di
Del Debbio, perla quale Aristide Giannelli congegna una serie di otto travi
Vierendeel collegate da un’alta trave di bordo, a formare una piastra talmente
rigida che può semplicemente appoggiarsi su snelli pilastri, consentendo di
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svetrare ampiamente la parete, salvo poi rimanere ben nascosta da un
“falsa” trama quadrangolare.
cassettonato che disegna una “strutture
Nei modernismi eclettici degli anni dieci e venti le nascoste” sono il
risultato dell’indipendenza tra l’opera dell’architetto, cui spetta la definizione
formale e che resta ancora legato interamente al linguaggio murario, e quella
dell’ingegnere che, chiamato a posteriori (spesso dall’impresa) a risolvere
difficoltà strutturali, sfrutta i progressi della sperimentazione avanzante sul
cemento armato.
Ben diverso è il ruolo che la struttura gioca nel modernismo sperimentale della
prima metà degli anni trenta. Nei programmi per l’affermazione di
un’architettura autenticamente moderna, infatti, la struttura in cemento armato
viene indicata come uno degli strumenti su cui far leva per il superamento dello
storicismo. È il tema centrale dell’ultimo articolo del Gruppo 7 e del manifesto
della prima mostra del Miar dove, a simboleggiare la modernità, è un pilastro in
cemento con l’armatura scoperta.
Contemporaneamente però, con la stessa convinzione, viene riaffermata
l’esigenza della continuità con la tradizione costruttiva. Sotto diversi aspetti: da
una parte la politica edilizia del regime, mentre conferma l’egemonia del
cemento armato (e la conseguente esclusione della costruzione metallica),
ribadisce anche l’esigenza di mantenere la natura artigianale del cantiere edile,
con bassa meccanizzazione e alto impiego di mano d’opera non specializzata;
dall’altra sono gli stessi architetti moderni ad incentrare sulla continuità con il
passato l’elemento distintivo del modernismo italiano.
A tale doppia istanza, che implica la persistenza della costruzione mista, si
aggiunge la conferma della connotazione figurativa dell’architettura. Il confronto
e lo scontro fra tradizionali e modernisti resta compreso all’interno del
neoidealismo e sono proprio i giovani architetti a ribadire con maggiore forza
“declassarla”
l’appartenenza dell’architettura al mondo dell’arte e il rifiuto di a
–
scienza sociale come si ritiene sia avvenuto nel movimento moderno.
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Dal complesso intreccio tra aspirazioni innovative e volontà di conservare la
natura muraria e figurativa dell’architettura scaturisce il tema centrale della
sperimentazione che si sviluppa nei cantieri-laboratorio delle opere pubbliche
affidate ai giovani architetti tra il 1931 e il 1935.
In questi casi sono gli stessi progettisti a esplorare soluzioni statiche complesse e
innovative, ma le potenzialità strutturali del telaio elastico, e in particolare la
possibilità di realizzare grandi sbalzi, anche laddove venga sfruttata, non portano
a quella “disgregazione della scatola muraria” (e di conseguenza a quella
concezione rinnovata della forma e dello spazio) che, in modo diverso,
caratterizza tanto il razionalismo europeo quanto l’architettura organica
americana, ma a ben più circoscritti e indiretti spunti di modernità, innestati
all’interno di una configurazione architettonica che nell’insieme mantiene il suo
carattere murario.
Nelle POSTE DI RIDOLFI a Roma, per esempio, l’immagine d’insieme è
PARETE CHE AVVOLGE L’ORGANISMO.
definita dalla
Nella facciata principale verso la piazza, l’ossatura in cemento armato affiora in
superficie solo nelle due pensiline sull’ingresso e sulla terrazza (con evidenti
riferimenti al Palazzo delle Poste di Napoli di Vaccaro). E nemmeno risulta
visibile, la struttura,