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SCENARI FUTURI SULL'AUTOMAZIONE DEL LAVORO
2.1 LAVORO E L'INDUSTRIA 4.0 DOMANI
Le statistiche osservate nel sotto paragrafo 1.2.1 segnalano che la diffusione della robotica in ambito industriale continuerà anche nei prossimi anni a ritmi elevati. Essa sarà indispensabile per la trasformazione delle fabbriche tradizionali nelle cosiddette fabbriche 4.0, o ancora nella smart factory e smart manufacturing.
L'implementazione delle macchine autonome e della smart manufacturing potrebbe estendersi col tempo anche alle piccole e medie imprese. Diversi analisti hanno mostrato che anche le PMI stanno iniziando a muovere i primi passi verso l'industria 4.0, e questo anche in Italia. È inevitabile che le PMI incontrino un limite importante nel recuperare le risorse finanziarie per l'implementazione della smart factory, tuttavia la storia ci ha insegnato che la diffusione di una nuova tecnologia o in generale di un'innovazione, compresa
quella di processo (come in questo caso), porta ad un graduale abbassamento del suo costo che va di pari passo alla sua diffusione (Graetz e Michaels, 2018). Questo è avvenuto ad esempio per il computer e per tantissime altre innovazioni, che da tecnologie accessibili a pochi sono diventate sempre più economiche e alla portata di tutti. Quindi è auspicabile che nel futuro questo limite finanziario verrà gradualmente mitigato e i costi per l'implementazione delle smart factory saranno molto più accessibili anche per le PMI. Quanto detto è confermato dal McKinsey Global Institute nel 2013, il quale ha dichiarato che "i progressi tecnologici stanno contribuendo a ridurre i costi nella robotica. Negli ultimi dieci anni, i prezzi dei robot sono diminuiti di circa il 10 percento all'anno e questi dovrebbero ridursi a un ritmo ancora più rapido nel prossimo futuro" (Graetz e Michaels, 2018).
a lavori che potrebbero essere automatizzati entro i prossimi decenni. Karabarbounis e Neiman, invece, evidenziano come l'automazione possa portare a una riduzione della domanda di lavoro e ad un aumento delle disuguaglianze economiche. Secondo McKinsey Global Institute, le tecnologie disruptive avranno un impatto significativo su vari settori, tra cui l'automazione industriale. Questo rapporto sottolinea come l'automazione potrebbe portare a una trasformazione radicale delle attività lavorative e dell'economia globale. In conclusione, questi economisti mettono in guardia sulle possibili conseguenze negative dell'automazione e delle tecnologie disruptive sul mercato del lavoro e sull'economia in generale.amansioni ripetitive e che questo potrebbe portare, solo negli Stati Uniti, alla perdita di 90milioni di posti di lavoro (Gimenez, 2017, p.12). In termini microeconomici, si può spiegare in maniera semplificata il meccanismo di sostituzione dell'uomo con le macchine attraverso la generica funzione di produzione utilizzata in molti modelli neoclassici, la quale associa ad un determinato livello di output (Y), una serie di fattori produttivi (X) necessari per realizzare quell'output. Questi fattori produttivi sono generalmente il Capitale Umano/Lavoro (L) e il Capitale fisico (K), quest'ultimo riconducibile anche alla quantità e all'investimento in macchinari utilizzati per la produzione: Ognuno di questi fattori ha una produttività marginale positiva e decrescente. Positiva perché l'incremento del singolo fattore aumenta l'output. Decrescente perché questo incremento, per ogni unità aggiuntiva del singolo fattore,Il testo diventa via via minore. In pratica, come già intuibile dal paragrafo 1.2, è accaduto che le imprese, nel periodo post-recessione del 2008 sembrano aver ridotto il fattore L e aumentato il fattore K, riconducibile ai macchinari.
Ma questa spiegazione non è sufficiente a giustificare gli incrementi di produttività: come abbiamo osservato nella Figura 1.3, la produttività è aumentata costantemente dopo il 2008 e questo è stato possibile non tanto perché il fattore K è aumentato più del fattore L ma grazie al progresso tecnologico e all'innovazione che, secondo Schumpeter (Fariselli, 2014), è l'unico fattore in grado di rompere lo stato stazionario e quindi modificare nel lungo periodo la forma della funzione di produzione, e quindi di aumentare la.
produttività (da Y' a Y'' nella Figura 2.1) a parità di Capitale e Lavoro. Così si va a distinguere tra "spostamenti lungo la curva", dovuti all'aumento dei fattori produttivi K e L impiegati, e "spostamenti della curva" possibili solamente attraverso il progresso tecnico, il quale nel modello neoclassico è esogeno, quindi non spiegato dal modello.
Seppur basato su notevoli semplificazioni e assunzioni di base restrittive, questo modello, anche in ottica futura, ha qui l'utilità di far comprendere come il progresso tecnologico possa incentivare le imprese ad utilizzare meno fattore Lavoro (L). Infatti, esso permette aumentare o mantenere (come nella Figura 2.1) l'output ad un certo livello riducendo i fattori produttivi impiegati e principalmente il fattore lavoro. Questa è una spiegazione microeconomica (perché riferita alla singola impresa) sul perché avviene la diminuzione del
numero di lavoratori impiegati dalle imprese a seguito del progresso tecnico. Non è detto che sia esatta ed empiricamente valida. Portando questo ragionamento alle estreme conseguenze, se la produttività continua a aumentare grazie al progresso tecnico e sempre più lavoratori vengono sostituiti dalle macchine è evidente che la maggior produzione dovrà incontrare nel mercato un aumento della domanda, la quale permetta di assorbire l'output prodotto. Altrimenti si assisterà alla presenza di elevata capacità produttiva inutilizzata. In questo scenario estremo si potrebbe quindi verificare che la produzione non incontri una domanda in grado di assorbire quanto prodotto perché sempre più individui si ritroverebbero senza reddito, perché sostituiti dalle macchine. Questo scenario è surreale e in un'economia sana non si potrebbe mai verificare. In caso contrario sarebbe come mettere in discussione gli stessi
fondamenti del capitalismo, a favore di un quasi forzato socialismo. Il ragionamento sulla sostituzione del fattore lavoro con le macchine autonome appena presentato, in ogni caso, non ha alcuna utilità se non è coadiuvato da evidenze empiriche. Pertanto si presenteranno alcune evidenze e analisi pessimistiche, ma si può dire subito che nessuna di queste è arrivata a prevedere uno scenario come quello surreale appena presentato. Tant'è che sfruttando ancora la logica della funzione di produzione, nel capitolo successivo, si spiegherà perché l'uomo ha comunque grande rilevanza nell'innescare questo meccanismo di spostamento della curva e quindi di innalzamento della produttività.
Per iniziare a presentare una serie di evidenze e analisi tecno pessimistiche sulla possibilità che progresso tecnico possa portare alla sostituzione del fattore lavoro (L) con il capitale si può considerare innanzitutto la
Statistica elaborata da Steven Rattner della 10Willett Advisor, la quale mostra come nel 1990 le tre imprese automobilistiche più grandi degli Stati Uniti, in termini di fatturato, davano lavoro a 1,2 milioni di persone, mentre nel 2014 le 3 più grandi imprese della Silicon Valley (Apple, Google e Facebook), con profitti analoghi a quelli delle 3 industrie automobilistiche, occupavano solamente 137 mila persone. Segno che la tecnologia e le imprese dei settori high tech sono in grado di sfruttare una piccola parte della forza lavoro per generare elevato valore di mercato e fatturato, a scapito dell'occupazione.
Ci sono, però, molti altri studi che prospettano forti perdite di occupazione e posti di lavoro. Uno dei più pessimistici e citati è quello di Oxford Benedict Frey e Michael A. Osborne del 2013, intitolato "The future of employment: how susceptible are jobs to (Figura 2.2)", in cui i due economisti stimano che nei successivi
vent'annicomputerisation?il 47% dei lavoratori negli Stati Uniti rischiano di essere sostituiti dai robot (Frey, Osborne,2013). E tale rischio non colpisce solamente i lavoratori a bassa qualifica ma anche quellimediamente qualificati e relativi al settore dei servizi. Per effettuare questa analisi,Osborne e Frey si sono affidati a O*NET, un servizio online sviluppato dal Dipartimentodel Lavoro degli Stati Uniti che contiene informazioni dettagliate su 903 professionispecifiche. Di queste sono 702 le professioni che sono state prese in considerazione, inmodo da escludere quelle professioni di cui non si avevano sufficienti informazioni edevidenze. Infine, queste 702 professioni dettagliate sono state raggruppate in 70 macro-categorie al fine di ottenere dei dati il più possibile consistenti.I risultati dell'analisi sono riportati nella Figura 2.2. In particolare la Figura 2.2 presentauna distribuzione di probabilità relativa alla perdita di posti di lavoro.
Nell'asse delle ascisse si colloca la "probabilità di computerizzazione/automazione" e nell'asse delle ordinate i "posti di lavoro", inoltre, la distribuzione di probabilità è divisa in tre fasce: basso (0 - 0,3), medio (0,3-0,7) e alto (0,7 - 1) rischio di computerizzazione. L'area colorata complessiva corrisponde al numero di occupati totali negli Stati Uniti. Il grafico mostra come il 47% dei lavoratori degli Stati Uniti abbia un alto rischio di perdita del posto di lavoro.
Dal grafico elaborato dai Osborne e Frey si può notare che i settori più colpiti dalla perdita di posti di lavoro saranno:
- il commercio e le vendite (rosso), con riferimento soprattutto ai cassieri
Fonte: PARKE M., Silicon Valley's top dogs make billions with fewer workers. Why this is bad news for the autoWorking Nation, 23 Giugno 2017. Disponibile al seguente link.
https://workingnation.com/silicon-industry,valleys-top-dogs-make-billions-fewer-workers-bad-news-auto-industry/ Consultato il 12 Maggio 2019. 36 venditori al dettaglio;- i trasporti e