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(USA);
- Liverpool Football Club (Inghilterra) acquistata nel 2010 da Jonh W. Henry
(USA);
- Manchester City Football Club (Inghilterra) acquistata nel 2008 da Mansour
bin Zayed Al Nahyan (Emirati Arabi); 31
- Association Sportive de Monaco Football Club(Francia) acquistata nel 2011 da
Dmitrij Rybolovlev (Russia)
- Paris Saint-Germain Football Club (Francia) acquistata nel 2011 da Hamad
Bin Khalifa al Thani (Qatar)
- Associazione Sportiva Roma (Italia) acquistata nel 2011 da Thomas
DiBenedetto (USA);
- Football Club Internazionale Milano (Italia) acquistato nel 2013 da Erick
Thohir (Indonesia).
Nonostante la crisi economica, l’interesse per questo settore dell’economia
continua a crescere. Le prime divisioni dei campionati degli allora 53 Paesi
membri della UEFA (oggi sono 55 i paesi membri) hanno visto i ricavi crescere
tra il 2006 e il 2010 da 9 a 12.7 miliardi di euro per un incremento medio del
9,1%. Anche durante il periodo tra il 2008 e il 2010, che ricordiamo è stato
caratterizzato dalla forte crisi economica, la crescita media è stata superiore al
6%.
Confrontando tali dati con l’andamento generale dell’economia ci si accorge
immediatamente della sproporzione in essere. Difatti, la crescita del PIL
(Prodotto Interno Lordo) dei Paesi dell’Unione Europea ha registrato una
crescita media pari allo +0.81% nel periodo tra il 2006 e il 2010 (rispetto al
9.1% del settore calcistico UEFA) evidenziando un trend negativo nel triennio
2008-10 pari allo 0.84% (rispetto alla crescita media dello 6% nel settore
calcistico UEFA) .
Il problema maggiore che la Commissione Europea, la UEFA e le federazioni
europee si trovano e troveranno con sempre maggiore urgenze ad affrontare è
legato alla redistribuzione di questo enorme fatturato. Come per l’intera
32
economia in Europa esistono nazioni economicamente forti e nazioni al loro
cospetto quasi insignificanti. Mentre il PIL delle cinque maggiori nazioni
(Spagna, Inghilterra, Germania, Italia e Francia) raggiunge circa il 50% del PIL
totale dell’intera Unione Europea, nel calcio il prodotto di queste 5 nazioni
supera abbondantemente i 2/3 della torta a disposizione.
Questo indica una maggiore concentrazione in questo settore dell’economia
rispetto al totale delle attività. Parlando esclusivamente del settore legato al
calcio si può notare come questo squilibrio emerga nelle competizioni europee,
in UEFA Europa League, ma soprattutto in UEFA Champions League.
33
1.3 Il settore calcistico in Italia
Come abbiamo visto, il campionato professionistico italiano rientra fra le
famose “Big-5”, le cinque leghe professionistiche più influenti a livello
europeo, non solo dal punto di vista sportivo, ma soprattutto dal punto di vista
economico.
L’organo di controllo ed organizzazione del calcio in Italia è la Federazione
Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), la quale controlla e coordina le leghe che
organizzano i campionati professionistici (Lega Serie A, Lega B e Lega Pro).
La F.I.G.C. è l’unica federazione sportiva italiana riconosciuta dal Comitato
Olimpico Nazionale Italiano (CONI), dall’UEFA e dalla FIFA, per ogni aspetto
riguardante il gioco del calcio in campo nazionale e internazionale.
Il documento che raccoglie tutte le informazioni e i dati relativi al business
calcistico italiano è il ”Report Calcio”. Questo documento viene elaborato ogni
anno dal Centro Studi,Sviluppo ed Iniziative della FIGC, in collaborazione con
l’Agenzia di Ricerche e Legislazione e PwC. Il Report Calcio fornisce un
quadro esaustivo di tutto il calcio italiano ( non solo professionistico ma anche
dilettantistico), esaminando in modo dettagliato gli aspetti strutturali,
organizzativi e mediatici ed effettuando un confronto con i principali competitor
europei. Al fine di comprendere meglio la situazione attuale del calcio italiano,
il report fornisce informazioni utili sulla situazione economica globale,
9
effettuando confronti con l’andamento parallelo del mondo del calcio .
I dati esposti nel “Report Calcio” rendono dunque necessario il perseguimento
di criteri di efficienza, con effetti positivi sulla stabilità finanziaria dei club.
9 Nel report è presente un benchmarking internazionale che ha come obiettivo quello di
riassumere i principali dati relativi allo scenario calcistico internazionale, da un punto di vista
economico, infrastrutturale e demografico. 34
1.3.1 Storia del settore calcistico italiano
Così come nel resto d’Europa e del mondo, anche in Italia le società di calcio
ebbero origine quale semplice fenomeno aggregativo di soggetti impegnati nella
pratica sportiva, quindi, in forma associazionistico-ricreativa; queste venivano
concepite come strutture associative ispirate allo schema giuridico tipico delle
associazioni non riconosciute. Esse operavano senza il perseguimento di finalità
lucrative, erano prive di personalità giuridica e venivano finanziate mediante
l’apporto di beni da parte degli associati, costituendo un fondo di garanzia verso
terzi.
Lo scopo di queste associazioni non era altro che la semplice attività sportiva e
la connessa pratica atletico-agonistica dei propri membri; in tal modo,
però, queste associazioni calcistiche erano poco regolamentate, non vi erano
norme fondamentali riguardanti chiarezza e trasparenza, anche se in quel
periodo le cifre che giravano intorno al fenomeno calcio erano contenute.
Tuttavia, già a partire dagli anni ’60, la progressiva diffusione del calcio e
l’aumento di interesse intorno al settore calcio, resero le associazioni sportive
consapevoli del fatto che il semplice ed esclusivo contributo finanziario degli
associati non sarebbe stato più sufficiente a sostenere spese, sempre crescenti, in
quanto il numero dei partecipanti aumentava in rapida progressione e anche il
tasso tecnico delle competizioni si era vertiginosamente alzato.
Con il passare del tempo, lo spettacolo calcistico divenne un servizio che, grazie
anche alla diffusione dei mezzi di informazione, doveva essere remunerato dal
pagamento di un prezzo commisurato alla qualità dell’offerta e alla misura della
35
domanda. Pian piano, alla figura dell’atleta praticante-associato cominciò a
sostituirsi quella di sportivo professionista, che rendeva la propria prestazione
dietro il pagamento di un compenso.
Il crescente peso della gestione sempre più onerosa e l’avvento del
professionismo indussero le associazioni calcistiche a rivolgersi al mercato nel
tentativo di intercettare l’interesse degli imprenditori e avvicinarli al progetto
sportivo: stava nascendo la figura del c.d. “mecenate sportivo” che investe
risorse nel settore, con l’aspettativa di trarne vantaggi a beneficio della propria
impresa.
<<Si riscontrava quindi l’esigenza di una radicale modificazione normativa, dati
i nuovi ed evidenti aspetti imprenditoriali che stavano assumendo sempre
maggiore rilevanza e che necessitavano di una più adeguata regolamentazione
giuridica.>> (Caira, 1995). Fu così che con la delibera della Federazione
Italiana Gioco Calcio del 16 settembre 1966, si stabilì lo scioglimento delle
vecchie associazioni militanti nei campionati professionistici (Serie A e Serie
B), con contestuale nuova costituzione in veste di società commerciali, munite
di personalità giuridica, individuata come condizione imprescindibile per
l’iscrizione al campionato di calcio relativo alla stagione sportiva 1966/1967.
A questa delibera ne fece seguito una seconda, del 16 dicembre 1966, che
prevedeva l’adozione di uno statuto-tipo che tutte le società calcistiche,
obbligatoriamente, avrebbero dovuto adottare, con l’espresso divieto di
perseguire fini di lucro, o meglio, di ridistribuire gli utili di bilancio
eventualmente realizzati ai soci, in quanto tali utili avrebbero dovuto essere
destinati a favorire la migliore attuazione della finalità sportiva e a sostenerla in
maniera più incisiva . 36
Con l’imposizione della forma societaria si rendevano applicabili ai club una
serie di disposizioni legislative, principalmente quelle sulla formazione e sulla
pubblicità del bilancio, che avrebbero dovuto assicurare una più cauta e
trasparente amministrazione, nonché la possibilità di controllo da parte delle
autorità sportive competenti. L’obiettivo della riforma del ‘66 era quello di
risanare le posizioni debitorie dei club, di far convivere le finalità sportive con
l’esigenza di un’ordinata gestione economica ed, infine, di far rispettare le
disposizioni in materia societaria e fiscale; obiettivo che però non fu raggiunto
in quanto il bilancio complessivo delle squadre di serie A e B passò da un
passivo di 18 miliardi di lire nel 1972 ad uno di 86 miliardi nel 1980.
Occorreva, dunque, procedere ad una nuova riforma, questa volta con
l’intervento diretto del Parlamento. Il 23 marzo del 1981 con l’emanazione della
Legge n. 91 il legislatore ordinario disciplina in maniera organica per la prima
volta la materia calcistica, fissando una serie di principi di ampio respiro, tra
cui prevale quello secondo cui l’attività sportiva è libera, seppur entro i limiti
imposti dalla legge. La normativa stabilisce in maniera chiara i criteri in base ai
quali distinguere l’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica e
regolamenta i rapporti tra atleti professionisti e società sportive con una
particolare attenzione all’aspetto tributario. Vengono stabiliti, inoltre, i requisiti
essenziali per la costituzione, il controllo della gestione e la liquidazione delle
società, oltre a fissare le caratteristiche e le competenze delle federazioni. La
legge esamina la rilevanza, ai fini dell’imposizione e dell’imposta sul valore
aggiunto dei contratti tra ente ed atleta e fissa le modalità di applicazione delle
imposte per l’operazione di trasformazione delle associazioni in società di
capitali. 37
L’intervento normativo del 1981, con i suoi pregi e i suoi difetti, rappresenta
ancora oggi, nonostante le ripetute rettifiche ed integrazioni, la legge base per la
regolamentazione del settore calcistico in Italia.
Un ultimo passaggio storico sia per il calcio Italiano, ma anche per quello
internazionale, fu quello del 1996, anno ricordato sia per la sentenza Bosman
(che abbiamo visto in precedenza), sia per il decreto di legge n. 485 del 20
settembre 1996 che prevedeva la possibile quotazione in Borsa dei club
calcistici e consentiva anche alle società sportive il perseguimento dello scopo
di lucro, riconducendo il loro regime giuridico all’interno della disciplina
comune in materia societ