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2.3 LA DIFFRAZIONE A RAGGI X
2.3.1 Considerazioni generali
La scoperta della diffrazione dei raggi X si deve a Max Theodor Felix von
nel 1912, che intuì il rapporto tra la lunghezza d’onda dei raggi X (~ 0.4 Å) e le
Laue
dimensioni delle distanze interatomiche (~ 1 Å).
La tecnica di diffrazione a raggi X o XRD, è probabilmente lo strumento diagnostico
più potente per identificare la struttura di materiali incogniti (Schwartz e Cohen,
1987; Anderle e Cattania, 1991). Pur non fornendo informazioni dirette sulla
composizione elementale, essa permette di definire le fasi cristalline presenti in un
campione e la loro struttura tridimensionale. Inoltre è applicabile a ogni tipo di
materiale, organico o inorganico, monomerico o polimerico, purché cristallino, il che
comprende circa il 95 % di tutti i materiali solidi. Attualmente sono noti gli spettri
XRD di 50000 composti inorganici e 25000 organici.
La spettroscopia di diffrazione a raggi X è una tecnica analitica in cui si registrano le
radiazioni X diffratte da materiali cristallini, cioè aventi struttura ordinata. Ogni
costituisce un’impronta digitale,
materiale produce uno spettro di diffrazione che ne
rendendo possibile l’identificazione di un materiale incognito per confronto con una
libreria di spettri di sostanze note.
Quando una radiazione X colpisce la faccia di un cristallo con un determinato angolo
θ (Figura 2.18)
di incidenza essa, in parte è diffusa dallo strato di atomi della
superficie, ed in parte penetra verso lo strato sottostante, dai cui atomi viene
nuovamente in parte diffusa.
L’effetto totale della diffusione da parte dei centri cristallini regolarmente spaziati è
piani atomici è dell’ordine di
la diffrazione del fascio, che si ha se la spaziatura tra i
grandezza della lunghezza d’onda della radiazione incidente, e se i centri diffusori,
ovvero gli atomi colpiti, sono distribuiti spazialmente in modo regolare, come nei
materiali cristallini (Kittel, 1971). 59
–
Figura 2.18 Interazione di un fascio di raggi X con un cristallo: geometria della legge di Bragg
I raggi del fascio incidente sono sempre in fase e paralleli fino al punto nel quale il
raggio superiore incontra lo strato superiore del cristallo e viene riflesso. I raggi che
continuano fino ai successivi strati devono attraversare una distanza maggiore per
continuare a viaggiare adiacenti e paralleli al raggio superiore. Questa distanza extra,
essere un multiplo intero della lunghezza d’onda,
deve affinché la fase sia la stessa
secondo la cosiddetta legge di Bragg (Ashcroft e Mermin, 1976):
= 2dsen
nλ
La legge di Bragg, enunciata nel 1913 dai fisici inglesi William e Lawrence Bragg,
esprime la dipendenza della diffrazione di una radiazione elettromagnetica dalle
dimensioni del reticolo cristallino: d = nλ / 2senθ
in cui:
d = distanza tra due piani del reticolo cristallino
n = numero intero (0, 1, 2, ecc.)
= lunghezza d’onda del raggio incidente
= angolo di incidenza del raggio
La legge di Bragg richiede che θ e λ siano legati tra di loro: i raggi X di lunghezza
d’onda λ che incidono su di un cristallo tridimensionale, sotto un angolo di incidenza
arbitrario, non sono in genere riflessi. Per soddisfare tale legge è necessario poter
60 – –
agire sulla geometria del sistema sorgente di raggi X campione rilevatore. I
diffrattometri X e le varie metodologie XRD che sono stati messi a punto
differiscono tra loro per la strategia scelta. Nel metodo di Laue, per esempio, si fa
incidere un fascio di radiazione X di lunghezza d’onda continua, in un intervallo
, su di un monocristallo fisso. Nel metodo del cristallo rotante, un
monocristallo viene ruotato intorno a un asse fisso, mentre su di esso incide una
radiazione X monocromatica. Nel metodo delle polveri, la radiazione X
monocromatica incide su di un campione finemente polverizzato o su di un campione
policristallino.
2.3.2 Il metodo delle polveri
Il metodo delle polveri è uno dei più importanti metodi tra le metodologie
XRD, perché è il metodo che più facilmente può essere applicato ai materiali
cristallini, ed è anche il più efficace ad acquisire informazioni (Bonissoni et al.,
1988).
Una polvere, o un materiale policristallino, contiene un elevato numero di piccoli
che sono orientati casualmente l’uno rispetto all’altro.
cristalli, chiamati cristalliti,
Quando, su tale materiale, incide un fascio di raggi X monocromatici, i piani
reticolari dei cristalliti che risultano orientati in modo da verificare la legge di Bragg,
danno origine a un insieme di raggi X diffratti (Figura 2.19). I fasci diffratti formano
un angolo 2θ con il fascio incidente. A causa dell’elevato numero di cristalliti
casualmente orientati, i fasci diffratti, giacciono sulle superfici di coni i cui
semiangoli di apertura sono uguali agli angoli di deflessione.
–
Figura 2.19 Coni di fasci X diffratti generati in un esperimento di diffrazione da polveri
61
Un’emulsione fotografica piana, posta di fronte al campione policristallino, registrerà
un’immagine costituita da una serie di anelli concentrici (Figura 2.20).
–
Figura 2.20 Registrazione della figura di diffrazione
l’acquisizione delle informazioni ottenute mediante un esperimento di
Attualmente,
diffrazione su polveri, è effettuata automaticamente mediante un diffrattometro
le informazioni non vengono più registrate su di un’emulsione
(Figura 2.21):
fotografica, ma attraverso un rilevatore a stato solido interfacciato con un computer
che acquisisce direttamente lo spettro di diffrazione.
–
Figura 2.21 Rappresentazione schematica di un diffrattometro da polveri
62
2.3.3 Informazioni ottenibili da uno spettro di diffrazione
Uno spettro di diffrazione di raggi X permette di ottenere almeno tre tipi di
informazioni:
1. la posizione angolare dei picchi correlata ai parametri di cella,
l’intensità
2. dei picchi correlata alla simmetria del cristallo in esame o alla
tessitura del materiale,
3. il profilo dei picchi, connesso alle dimensioni e allo strain dei cristallini.
Invece, gli errori in cui si può incorrere sono molti:
a) errori sistematici nelle posizioni dei picchi causati da aberrazioni strumentali,
l’altezza
come la divergenza assiale residua, la morfologia del campione, del
campione,
b) errori sistematici nelle posizioni dei picchi, dovuti ad un allineamento
inadeguato o ad una scorretta calibrazione del goniometro.
2.3.4 Limiti statistici di conteggio
La produzione di raggi X è un fenomeno di carattere statistico, sia rispetto
se si misura l’intensità della
alla direzione sia rispetto al tempo. Per questo motivo,
radiazione emessa da un tubo a raggi X per brevi intervalli, si osservano fluttuazioni
statistiche rispetto a un determinato valore medio. Aumentando gradualmente il
tempo di misura, l’ampiezza delle fluttuazioni diminuisce fino a diventare
piccolissima. Ciò ha conseguenze non trascurabili in relazione alle misurazioni delle
intensità diffratte. Poiché un diffrattometro automatico dotato di detector puntuale
–
misura un solo riflesso di Bragg per volta, le ristrettezze nei tempi macchina a
disposizione possono impedire di raggiungere il limite oltre il quale le fluttuazioni
diventano ininfluenti. E’ importante ricordare che i valori misurati sono sempre
affetti da un errore statistico. L’entità di tale errore dipende dal numero totale di
63
quanti di radiazione acquisiti. In generale, ad un conteggio di N quanti è associato un
errore statistico assoluto:
e un errore statistico relativo:
Ne consegue che, per avere una certa accuratezza nelle acquisizioni, è necessario
raccogliere un numero definito di quanti. Indicando con e le deviazioni
p b
standard sull’intensità totale del profilo e sul l’incertezza sull’intensità
background,
netta σ del picco è pari a:
NET
formula che può essere scritta anche come:
N N
in cui è il numero totale di conteggi accumulati nella regione selezionata e il
p b
numero dei conteggi attribuibili al background all’interno della stessa regione.
2.3.5 Scelta del passo di scansione
Nei diffrattometri in uso attualmente, il braccio del rivelatore e il campione
passi successivi. L’operatore può
possono essere mossi in modo continuo oppure per
scegliere sia il tipo di movimento, sia la velocità di scansione per una scansione
o l’ampiezza del passo e il tempo di conteggio tra due passi successivi.
continua, Per
acquisizioni preliminari, volte a valutare la cristallinità del campione, una scansione
continua consente di ottenere dati di qualità sufficientemente adeguati in un tempo
abbastanza breve.
Negli stadi successivi di un’analisi è più opportuna una scansione per passi
successivi. In questo caso, il numero di conteggi selezionato connesso al tempo
64
impostato è acquisito in specifiche posizioni angolari del goniometro, dettate dal
passo prescelto. Rispetto a quella continua, l’acquisizione per passi successivi
consente prestazioni migliori, soprattutto se si prevede un trattamento
computazionale dei dati raccolti. Il trattamento dei dati prevede infatti lo
del profilo, la sottrazione del fondo, l’eliminazione della
smussamento (smoothing)
riga caratteristica K della sorgente e la localizzazione delle posizioni dei massimi
α
dei picchi (Figura 2.22).
Registrazione
dei dati 2
Smooting 2
Sotrazione del
fondo 2
–
Figura 2.22 Trattamento dei dati
Ogni passaggio deve essere impostato alla luce degli altri. Nella figura 2.23
possiamo vedere un esempio chiarificatore: –
- ai punti 1 e 2, in presenza di picchi stretti, scan steps ampi seguiti da uno
smoothing intenso, provocano diminuzioni di intensità significative
–
- ai punti 3 e 4, con picchi larghi, scan steps brevi seguiti da smoothing poco
accentuato, possono determinare shifts delle posizioni
65
–
Figura 2.23 Effetto combinato di ampiezza dello step di scansione ed entità dello smoothing in
ragione della larghezza di banda a metà altezza dei picchi
L’esperienza ha evidenziato che il passo –
di scansione ideale dovrebbe garantire 10
20 conteggi al di sopra della larghezza di banda a metà altezza (FWHM): quanto più
largo è il picco, tanto maggiore deve essere il passo di scansione. Per campioni di
discreta cristallinità, con FWHM