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In questo contesto di speculazioni di pensiero e tentativi di definizioni, prende

forma anche il tentativo di conferire alla sociologia , una disciplina del tutto

nuova avente come fulcro lo studio dei rapporti tra cause ed effetti dei fenomeni

della società umana in rapporto sia con l’individuo che con il gruppo sociale, una

propria connotazione di scientificità, ed il problema della rivendicazione di questo

campo d’indagine sulla biologia, che pretendeva di spiegare solamente tramite

concetti come “evoluzione” , “organismo sociale” e “lotta per l’esistenza” anche

la società.

Si delineò pian piano una differenziazione tra un modello meccanico, nel quale la

società veniva considerata una grande macchina , sottoposta a determinate forze,

ed un modello organico, come quello già accennato in precedenza da Wheeler e

Comte, ossia un sistema dinamico a sostegno dell’idea dell’evoluzione della

società. Il primo escludente qualunque considerazione non considerabile se non

verificabile sperimentalmente, il secondo che privilegiando invece i concetti di

funzione e di scopo, era intrinsecamente a sfondo teologico.

Secondo il sociologo Spencer, la sociologia avrebbe potuto rivendicare la sua

scientificità secondo la promessa di fondarla sotto leggi ancora più fondamentali

2

delle stesse leggi della biologia e della fisica . La sua teoria dal linguaggio

biologistico si poteva riassumere nel concetto secondo il quale i fenomeni sociali

                                                                                                               

1 G. Mitman, Defining the Organism in the Welfare State: the Politics of Individuality in American

Culture, 1890-1950, in Biology as Society, Society as Biology: Metaphors , Maasen, Mendelshon

2 H. Spencer, The social organism, London, 1860.

  6  

non seguono leggi naturali, e non sono quindi manovrabili a piacimento da politici

3

o filosofi : la società non viene costruita, essa cresce in autonomia . Ovviamente,

sebbene Spencer arrivò ad essere tra i sociologi più affermati, e forse il più

affermato in assoluto, negli ultimi decenni dell’Ottocento, non mancarono critiche

a questa sua teoria, dai toni forse troppo individualistici per un fenomeno così

fondato sull’integrazione tra la molteplicità quale è la società.

Quanto ai tentativi di fare della sociologia una scienza saldamente connessa alla

teoria Darwiniana, si svilupparono due correnti di pensiero: secondo la prima, la

selezione naturale era un meccanismo a favorire i più adatti, mentre secondo la

seconda il meccanismo era volto a sfavorire i meno adatti, attraverso alla

conservazione di un equilibrio. Secondo Pareto, economista e sociologo italiano,

scienze naturali e sociologia non si escludevano l’un l’altra. Al contempo però era

risaputa la sua inclinazione per le scienze naturali, e di conseguenza la teoria

Darwiniana: egli, come molto prima e dopo di lui, vede nella selezione un

meccanismo volto ad eliminare i meno adatti, e che agisce quindi in maniera

molto limitata, provvedendo semplicemente ad eliminare le forme peggiori, ossia

quelle che si allontanano troppo dalle forme adatte.

Infine, secondo Pareto, la lotta per l’esistenza, fra le società come fra gli

organismi, rimane però limitata per l’applicazione alla sociologia, in quanto è

riscontrabile solo il fenomeni con un elevata rilevanza per la concorrenza, mentre

viene meno se ricercata in fenomeni minori.

Le diverse varietà di darwinismo sociale localizzavano a livello diversi della

realtà sociale il conflitto alla base dell’evoluzione sociale: secondo alcuni la lotta

avveniva tra gli individui, per altri ancora la lotta era tra uomo e natura, secondo

altri invece tra gruppi di persone : tra questi ultimi alcuni credevano

rispettivamente che la lotta fosse tra classi sociali, altri tra nazioni, altri ancora tra

razze.

E’ evidente che mano a mano che l’ottavo secolo volse alla fine, prevalsero i

sostenitori della concorrenza tra le nazioni.

Ad ogni modo, comune ad ogni tipo di darwinismo sociale, vi era l’idea che lo

sviluppo sociale fosse un fenomeno graduale, naturale e progressivo.

                                                                                                               

3 H. Spencer, The social organism, p. 384, London, 1860.

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E’ importante a conclusione della trattazione del darwinismo sociale, evidenziare

che non tutte le teorie che paragonano la società ad un organismo sono di matrice

darwinista: la metafora della società come organismo ha un origine molto più

antica delle teorie darwiniane.

E’ altrettanto importante sottolineare che nel corso della loro diffusione, le idee di

Darwin subirono molte contaminazioni, e che di conseguenza alcune idee

considerate da alcuni autori come darwiniane, hanno poco a che vedere con le

teorie originali di Darwin.

Tra l’altro, l’evoluzionismo sociale è un movimento ben più ampio del

darwinismo sociale, che al contrario di come appare non fu mai alla base del

pensiero sociologico. La psicologia sociale ha un rapporto poco chiaro con il

darwinismo: ad esempio, se è vero che Gustave Le Bon nelle sue opere utilizza

spesso concetti darwiniani come la lotta per la vita, il suo pensiero non può essere

tuttavia definito nel darwinismo sociale. Alla stessa maniera, Gabriel Tarde, si

proclamava “ evoluzionista ma non darwiniano”.

Tornando al dibattito sui rapporti tra biologia e sociologia, è importante riflettere

sul fatto che questa disputa , non era solo una disputa accademica tra scienziati,

ma anche e forse soprattutto una lotta per il potere, in quanto il periodo era

decisivo per decidere a quale classi di esperti affidare il compito di individuare le

linee guida per la gestione del futuro dell’umanità: si sarebbe deciso se la chiave

della comprensione della natura umana era nelle mani dei biologi, degli educatori,

dei politici o dei sociologi, e sarebbero stati così affidati alla classe più affermata

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il prestigio e gli investimenti di ricerca .

1.2 Il positivismo in Italia

Nella seconda metà dell’Ottocento cominciò ad affermarsi anche in Italia così

come in Europa il positivismo, con la sua grande fiducia nel sapere scientifico e

nel suo metodo, e la concezione che quest’ultimo fosse applicabile a tutte le altre

discipline, comprese le scienze umane.

                                                                                                               

4 T. Cornacchioli, G. Spadafora, Pasquale Rossi e il problema della folla, socialismo,

mezzogiorno. educazione, Roma, Armando Editore, 2000, p. 34.

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I principali e tradizionali rappresentanti del positivismo italiano furono Villari,

Angiulli ed Ardigò.

Sebbene alquanto legato al positivismo francese (A. Comte) e a quello inglese (H.

Spencer), quello italiano si discostava leggermente da questi ultimi,

riallacciandosi molto a tematiche di derivazione illuministica.

Nel suo periodo di maggiore affermazione, il positivismo influenzava in Italia

gran parte delle discipline: in ambito filosofico portò all’espandersi dei consensi

nei confronti delle teorie darwiniane applicate come dottrina totalizzante del

mondo e della vita, ed ancora influenzò fortemente l’antropologia, la pedagogia,

la sociologia e la psicologia.

Soprattutto, come nel caso di Pasquale Rossi, venne posta grande attenzione

sull’area , spesso in precedenza troppo poco emarginata dagli studi, nella quale

confluiscono la criminologia, l’antropologia, la sociologia e le scienze sociali. Per

la prima volta diventarono importanti le ricerche di psicolr,eogia collettiva, a

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cominciare da quelle di Tarde e di Le Bon .

In Italia il positivismo prende il suo momento di inizio nel 1865, quando lo storico

P. Villari tenne una presentazione intitolata “La filosofia positiva ed il metodo

storico”. Egli, di origine hegeliana, passato al positivismo, era mosso dal desiderio

che la cultura italiana si discostasse dall’orientamento verso l’ortodossia cattolica,

a favore di un’etica laica.

Un personaggio “minore”, ma comunque tra i più importanti del periodo, fu

Angiulli. Egli, mosso principalmente dalla volontà di acquisire un posto di

prestigio “entro il contesto della filosofia europea della seconda metà

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dell’Ottocento” , ebbe nel positivismo un orientamento sostanzialmente “ibrido”

in quanto più schierato contro lo scientismo evoluzionista, che era al contrario

fortemente radicato nel resto dei positivisti italiani.

Il maggior rappresentante del movimento in Italia fu senza dubbio il filosofo

Roberto Ardigò.

Inizialmente sacerdote, nel 1869 fu sospeso dalla carica per un discorso in favore

del positivismo. Egli si fece portavoce, in Italia, della filosofia positiva, alla quale

                                                                                                               

5 E.R. Papa, Il positivismo e la cultura italiana, Angeli, Milano, 1985.

6 G. Oldrini, L’idealismo italiano tra Napoli e l’Europa, Guerini e Associati, Milano, 1998, p. 145,

151.

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Publisher
A.A. 2014-2015
43 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/05 Storia della scienza e delle tecniche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher kishalee di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della scienza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Cimino Guido.