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TRA FILOSOFIA E PSICOANALISI 6
2.1 La critica sartriana all’ ego: Je est un autre
Nel solco dell’insegnamento freudiano il primo passo di Lacan consiste nel deporre l’io dal suo trono
dorato, mettendo in crisi ogni sua supposta idea di padronanza, evidenziando come esso non sia af-
fatto il nucleo del soggetto ma soltanto una configurazione immaginaria, una cristallizzazione alie-
nata risultante da una molteplicità di identificazioni.
La critica sartriana all’ego è la chiave di volta che Lacan prende in prestito dal filosofo francese
per il suo primo ritorno a Freud. Le tesi esposte nel saggio del 1938 La trascendenza dell’Ego, che
innovano e radicalizzano alcune nozioni della fenomenologia husserliana, permettono a Lacan di tro-
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vare in Sartre un compagno di viaggio in grado di fornirgli spunti originali per dividere con ancora
più forza la nozione di soggetto (Je) da quella di io (Moi). Anticipando Lacan, Sartre svuota l’ego di
ogni sostanzialità, fino a concepirlo come un alienazione dell’esistenza, una struttura difensiva, in-
quilino abusivo della via pre-riflessiva del soggetto.
Per la maggior parte dei filosofi l’Ego è un abitante della coscienza. […] Altri – per lo più psicologi –
pensano di scoprire la sua presenza materiale, come centro dei desideri e degli atti, in ogni momento
della nostra vita psichica. Noi vorremo mostrare qui che l’Ego non è né formalmente, né materialmente
nella coscienza; è un essere del mondo come l’Ego dell’altro. (Sartre, 1936/1992, p. 17)
Spingendo fino alle sue conseguenze più estreme la nozione husserliana dell’intenzionalità della co-
scienza, il filosofo umanista arriva a definire la soggettività come una specie di vuoto dinamico, un
esplodere verso (Sartre, 1939/1977, p. 140), una trascendenza che ci scaglia “sulla strada maestra, in
mezzo alle minacce, sotto una luce accecante” (Sartre, ibidem).
La coscienza non è nulla in-sé, ma si rivela come flusso fuori da sé; non consiste mai di se
stessa, ma è sempre coscienza di qualche cosa, dinamismo trascendentale senza contenuto che, pol-
verizzando ogni autonomia del cogito, esclude la funzione sintetizzatrice dell’ego come polo perso-
nalizzante della coscienza. In questo modo Sartre può fare suo quanto espresso dalla poetica di Rim-
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baud, secondo la quale: “Je est un autre”. Il che significa che l’io da soggetto diventa oggetto, è
estraneo ai luoghi dove abitano i pensieri. Si costituisce come falsa rappresentazione della coscienza,
6 La formula “je est un autre” appare due volte nelle lettere di Arthur Rimbaud. È significativo che il poeta scriva
“Je est” in terza persona e non “Je suis”, a indicare che l’io è un oggetto estraneo all’esistenza, in netto contrasto con la
tradizione cartesiana; non pensa ma è pensato, non è proprietario della coscienza ma ne è oggetto.
7 In un’intervista inedita con Didier Eribon, Foucault dichiarò che Sartre e Lacan erano contemporanei alternati,
che reinterrogando il pensiero filosofico tedesco non avevano mai smesso di incrociarsi, confrontarsi e opporsi senza mai
incontrarsi davvero. Lacan, pur elogiando le magistrali pagine di L’Essere e il nulla, è restio a riconoscere qualsivoglia
genere di debito teorico nei confronti di Sartre, rifiutando di collocarsi in rapporto a lui.
8 Ricondurre l’io a status di oggetto non significa conferirgli una sostanza, ma piuttosto collocarlo in una posizione
non originaria e di conseguenze riconducibile alle proprie condizioni di formazione. L’io non ha un nucleo unico e stabile,
ma è l’esito di una serie di stratificazioni identificatorie, come ci mostra Lacan evocando la metafora della cipolla: “L’io
è un oggetto fatto come una cipolla, lo si potrebbe pelare e si troverebbero le identificazioni successive che lo hanno
costituito” Lacan, 1953-1954, p. 213. 14
come un inganno immaginario, “linea di finzione” (Lacan, Ibidem) che occulta il centro sostanziale
del soggetto.
Lacan, sin dagli albori, ben prima di elaborare la sua celebre tesi dell’inconscio strutturato come
un linguaggio, esplora l’intricato dedalo dell’immaginario, dominato dalla rilettura di Introduzione al
narcisismo di Freud, al fine di “ridare alla teoria, cruciale in Freud, del narcisismo, la sua posizione
dominante nelle funzioni dell’Io” (Lacan,1966/2012, p. 50). Teorizzando lo stadio dello specchio,
presenta l’io come il risultato di un processo di identificazione narcisistica primaria con l’immagine
idealizzata di sé. L’impatto dell’immagine speculare-narcisistica, che Lacan chiame azione morfo-
gena dell’immagine, fissa l’esistenza a rappresentazioni immaginarie che intrappolano l’io in un vor-
tice alienante. L’io (Moi), spogliato e ridotto a luogo di fascinazione ipnotica, si configura come “il
sintomo umano per eccellenza” (Lacan, 1953-54/1978, p. 20), inconciliabile con il soggetto dell’in-
conscio (Je) che, decifrato come soggetto del desiderio, insiste su un’altra scena con un’energia che
trascende di continuo l’io.
2.2 L’ ombra di Hegel: Kojeve e il desiderio di desiderio
Un’alone di mistero avvolge i seminari sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel che Alexandre
Kojève tenne a Parigi fra il 1933 e il 1939. Erano in pochi a parteciparvi ma tra questi spiccano i nomi
di Bataille, Merleau-Ponty, Queneau, Breton e, seduto in prima fila tra gli uditori più assidui, Lacan.
Nei primi decenni del XX secolo, la filosofia kantiana si era diffusa capillarmente innalzandosi
ad ideologia; combinata con il cartesianesimo accademico aveva contribuito a creare una cultura del
dovere morale, fondata su una teoria razionale della conoscenza. “L’orrore della dialettica era tale
che persino Hegel ci era sconosciuto” (Sartre, 1960/1982, p. 25), scrive Sartre all’inizio degli anni
trenta, mostrando come la filosofia hegeliana nel modo accademico non solo fosse sconosciuta, ma
anche respinta. Lo si tacciava di idealismo, di immoralismo, fino all’accusa di oscurantismo, rimpro-
verandogli di “coltivare il nulla dell’essere, poi il nulla del divenire, per giungere alla certezza del
nulla della morte” (Roudinesco, 1995, p. 111). L’insegnamento del filosofo tedesco giunse così in
Francia abusivamente e per vie traverse, grazie al costante impegno di accademici anticonformisti e
alla parola di poeti come Mallarmé e Breton.
Nato a Mosca nel 1902, nipote del pittore Vasilij Kandinskij, Kojève apparteneva all’intelli-
gencija esule dalla madre Russia dopo la rivoluzione d’ottobre. Dopo un breve soggiorno in un car-
cere della Polonia, sospettato di essere una spia sovietica, giunse in Germania, dove si iscrisse all’Uni-
versità di Heidelberg. Preferì i corsi di Jaspers a quelli di Husserl, e cominciò a leggere Hegel con
scarsi risultati: “Ho letto quattro volte per intero la Fenomenologia dello Spirito. Mi accanivo senza
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comprenderne una sola parola” (Kojeve, 1968). Si stabilì definitivamente a Parigi nel 1926, dove nel
1933 sostituì in cattedra l’amico compatriota Alexandre Koirè.
L’interpretazione kojèviana si basa su una lettura innovativa del IV capitolo della Fenomeno-
logia dello Spirito dedicato all’autocoscienza. Kojève reinterpreta il movimento dello spirito in un’ot-
tica antropologica, segnata dalla duplice lettura di Marx e Heidegger, compiendo un’opera di alta
macelleria filosofica; isola e mette in risalto quello che ai suoi occhi si configura come il tema centrale
del capitolo: il desiderio di riconoscimento. L’occulto maestro del novecento rifiuta l’armonia onto-
logica hegeliana, rimproverandogli di aver esteso la propria filosofia dialettica anche alla natura. Re-
spinge il panlogismo del filosofo tedesco, introducendo nel sistema hegeliano una frattura insanabile
tra mondo naturale e mondo umano.
Kojeve distingue due forme d’ essere: l’essere animale naturale e l’essere umano, attribuendo
loro due forme distinte di soddisfazione: l’appetito (Begierde) e il desiderio (Begheren). Mentre l’ani-
male è animato dalla pura spinta dell’appetito, dalla concupiscenza sensibile, volta alla risoluzione
immediata di uno stato di tensione interno, il desiderio umano non è circoscritto alla realtà sensibile.
Non si dirige verso un oggetto, non mira alla soddisfazione fisiologica istintuale del bisogno, ma a
un’altra coscienza umana (Selbstbewußtsein), più propriamente a essere riconosciuto dall’altro come
soggetto di desiderio. La soddisfazione simbolica umana non è unilaterale, ma intersoggettiva, vin-
colata alla risposta dell’Altro, poiché il desiderio di riconoscimento trova soddisfazione solo nel ri-
conoscimento del desiderio da parte dell’altro. Tirando le somme, Lacan può affermare che “il desi-
derio è sempre desiderio dell’Altro” (Lacan, 1953-54/1978), dove il genitivo è sia oggettivo che sog-
gettivo: io desiderio ciò che l’Altro desidera e io desidero di essere desiderato dall’Altro. In questo
modo, il desiderio assume un carattere antropogeno, configurandosi come ciò che genera l’uomo in
quanto tale, separandolo dall’imperativo animale della conservazione biologica:
Se la realtà umana è una realtà sociale, la società è umana solo in quanto insieme di desideri che reci-
procamente si desiderano come desideri. È questo il desiderio umana, cioè antropogeno. (Kojeve,
1947/1996, p. 20)
I bisogni del vivente nell’uomo sono trasformati dal fatto di doversi formulare sotto forma di domanda
diretta all’Altro. È proprio l’importanza che riveste la risposta dell’altro nella dialettica del ricono-
scimento che permette a Lacan di teorizzare un privilegio dell’Altro nella costituzione del soggetto.
In questo senso la domanda di riconoscimento del soggetto si sostiene sulla possibilità di ottenere dall’
altro il riconoscimento simbolico della domanda secondo uno schema dialettico la cui significazione è
sempre retroattiva. (Recalcati, 2012, p. 75; Fig. 3)
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Figura 3. Lo schema rappresenta il percorso dialettico del riconoscimento simbolico della domanda.
2.3 Kant con Sade
Kant con Sade è il titolo di un saggio scritto da Lacan nel settembre del 1962. Esso sarebbe dovuto
servire come prefazione al terzo volume delle opere complete del marchese, edite dal Cercle du livre
précieux. Giudicato ermetico al punto da essere illeggibile, fu rimosso dalla raccolta e apparve quasi
un anno più tardi nella rivista