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Memoria pubblica e uso della storia
XIII XVIIIBodei R., Libro della memoria e della speranza, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 38.155 44essenzialmente per due motivi: primo perché, come nel caso di questa ricerca, si ha ache fare con un passato recente e spesso controverso; secondo, perché talvolta itestimoni e i protagonisti di tali avvenimenti sono ancora in vita e conservano perciò lamemoria diretta di quel passato reso oggetto d’indagine dagli storici.
1.5 Memoria pubblica e uso della storiaIl legame «naturale» tra storia e memoria, antico quanto la civiltà umana, nelle societàcontemporanee sembra essersi esasperato:Ciò che vi è di nuovo oggi è la trasformazione del rapporto fra la memoria e la storia, o, per dirlopiù esattamente, la novità mi sembra essere il carattere quasi ossessivo che ha assunto lamemoria nelle società contemporanee. È come se le nostre società fossero diventate delleimprese produttrici di memoria,
che impiegano buona parte della loro narcisistica attività a riflettere sui mezzi per fissare la loro immagine mentre sono ancora viventi. Questa radicalizzazione, prodotta da società che guardano al passato con un'attitudine sempre più schizofrenica, è un fattore determinante per l'uso strumentale della storia e della memoria a fini politici ed egemonici, perseguibile tramite l'interdizione dalla sfera pubblica di gruppi portatori di memorie collettive controverse e non pacificate. Paolo Jedlowski si è a lungo soffermato sulla definizione di memoria pubblica e sulla sua interconnessione e interazione con la sfera pubblica, descrivendo quest'ultima come "l'immagine del passato pubblicamente discussa", uno spazio che "non coincide né con le istituzioni dello Stato, né con le cerchie dei privati, ma si configura come il luogo dell'incontro dei privati e della critica, o delle pressioni che"questi esercitano nei confronti dello Stato» . Secondo Jedlowki, la sfera pubblica assolve una duplice157funzione: in quanto luogo in cui si elaborano e si definiscono i criteri che rendono plausibile e attribuiscono valore a quella porzione di passato che viene selezionata e proposta alla società;; come spazio all’interno del quale si confrontano le differenti memorie collettive presenti in una determinata comunità sociale, tramite un processo che consente loro di perdere la propria autoreferenzialità e di esporsi alla critica delle altre memorie .158Se, in via teorica, la sfera pubblica è uno spazio accessibile a tutte le componenti sociali, nei fatti occorre tenere presente le modalità tramite le quali essa si forma e si definisce.Revel J., La memoria e la storia, cit.156 Jedlowski, Prefazione, cit., p. .157 XIVIbid.158 45Per elaborare una concezione articolata della formazione della sfera pubblica è pertanto indispensabile tenere conto
Delle dinamiche sociali e culturali che sono alla base dei processi comunicativi. In quest'ottica sembra assumere un peso considerevole tutto ciò che viene taciuto, tutto ciò che viene omesso specie nell'ambito della comunicazione politica, "quello che una macchina dell'informazione così vasta che non ha l'eguale nella storia umana riesce a non dire".
Come nota Paul Virilio, i media "si avvalgono di una strana depravazione delle leggi democratiche. Infatti, se la televisione e la stampa non dispongono a priori della libertà di diffondere notizie false, la nostra legislazione concede loro il potere esorbitante di mentire per omissione".
Strumenti analitici come l'ipotesi dell'agenda-setting e la teoria della "spirale del silenzio" descrivono in modo convincente i meccanismi sociali e comunicativi in grado di influire sulla formazione della memoria pubblica; la prima, sostenendo che
Le media operano una selezione preventiva di temi e argomenti da proporre all'opinione pubblica e assegnano loro un ordine di priorità; la seconda - nell'ottica di un ritorno ai media potenti, tramite un modello in evidente discontinuità con le teorie degli "effetti limitati" degli anni Cinquanta e Sessanta - affrontando il problema delle conseguenze sul pubblico in relazione all'avvento della televisione, ovvero evidenziando come tutto ciò che viene proposto dai media come opinione prevalente tenda ad assumere rilevanza in modo esponenziale rispetto a ciò che viene presentato come l'opinione di un gruppo minoritario.
159 Canfora L., La democrazia. Storia di una ideologia, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 326.
Virilio P., (1993), L'art du moteur, Galilée, Paris, trad. it. Lo schermo e l'oblio, Anabasi, Milano, 1994, p. 8.
McCombs M.E., Shaw D.L., (1972), The Agenda-setting Function of Mass Media, in Public Opinion Quarterly.
36, pp. 176-87, trad. it. La funzione di agenda-setting dei mass-media, in aBENTIVEGNA Scura di, Mediare la realtà. Mass media, sistema politico e opinione pubblica, Angeli, Milano, 1994.162 Noelle-Neumann E., (1980), Die Schweigespirale: Offentliche Meinung, unsere soziale Haut, München, Piper Verlag, trad. it. La spirale del silenzio: per una teoria dell'opinione pubblica, Meltemi, Roma, 2002. Cfr. Kats E., Lazarsfeld P., L'influenza personale nelle comunicazioni di massa, Eri, Torino, 1968.163 Cfr. La spirale del Silenzio, cit., pp. 263-65, in cui Noelle-Neumann riporta i dati di un'indagine164 condotta nel 1976 dall'Istituto Allensbach durante la campagna elettorale nella Germania federale. Furono monitorati due gruppi di elettori: da un lato, i telespettatori assidui di trasmissioni a tema politico; dall'altro, i soggetti che non seguivano le trasmissioni televisive oppure lo facevano di rado. Nei sei mesi precedenti la data delle elezioni.furono effettuate due rilevazioni dei dati sull'opinione degli intervistati circa i possibili vincitori delle elezioni. Le elezioni furono vinte dalla coalizione socialista-liberale con un scarto minimo di 300.000 voti su un totale di 38 milioni di votanti; questo significava che le due forze politiche erano sostanzialmente equivalenti. Tuttavia, nel corso della campagna elettorale, i giornalisti politici televisivi continuarono a sostenere che la Cdu/Csu non avesse possibilità di vittoria. L'effetto delle dichiarazioni televisive dei commentatori sembrò produrre una notevole influenza sulle opinioni dei telespettatori, emersa dai dati delle due rilevazioni effettuate nei sei mesi precedenti le elezioni. È dunque nell'ambito della memoria collettiva che si riscontrano gli usi pubblici della storia: si tratta della valenza propriamente politica delle memorie collettive, "particolarmente evidente nei dibattiti che, nell'ultimo decennio del secolo,hannoriguardato quello che è stato chiamato l'uso pubblico della storia (Habermas, 1987)"
165Jürgen Habermas sosteneva che nelle società contemporanee "la dimensione pubblicacritica è stata soppiantata da quella manipolativa". La sua visione si connota per166uno spiccato radicalismo, in quanto egli riconosce esclusivamente all'attività scientificail corretto "uso della storia" - ovvero la prerogativa di offrire un'interpretazione valida erigorosa del passato - poiché lo studioso "usa la terza persona, prende le distanzedall'oggetto indagato e controlla i propri pregiudizi". Per tale ragione, tutti gli usi167pubblici della storia al di fuori delle sedi deputate alla ricerca hanno finalità di caratterepolitico, quale per esempio costruire il consenso, oppure mirano a trasformare la storiain un prodotto di consumo, tramite la sua spettacolarizzazione.
A metà degli
Anni Novanta Nicola Gallerano riconduce tale problematica all'interno del dibattito italiano; egli, assumendo una posizione più moderata rispetto ad Habermas, evidenzia come in molti casi non si possa prescindere dall'uso pubblico della storia, poiché il suo obiettivo è essenzialmente di carattere divulgativo-pedagogico, basti pensare alle istituzioni culturali, ai musei, alle scuole, e così via. Per tale ragione la società non può rinunciarvi; "va sottolineato il fatto che l'utilità pubblica della storia è la sua giustificazione originaria, in quanto attività che regola e definisce i rapporti tramemoria e oblio, tra ciò che è degno e ciò che non è degno di essere ricordato; e nella definizione di tali rapporti il peso dominante è assegnato alla tutela della comunità, in altre parole alla politica". 168 È pressoché inevitabile che la storia esuli
Dagli ambiti oltremodo circoscritti della comunità scientifica e, anzi, l'estendersi del dibattito ad altri contesti non può che costituire una democratizzazione della conoscenza storica e uno stimolo per lo studioso. L'uso pubblico della storia non è insomma una pratica da rifiutare o demonizzare pregiudizialmente: può essere un terreno di confronto e di conflitto che implica il coinvolgimento attivo dei cittadini, e non solo degli addetti ai lavori, attorno a temi essenziali; può rivelare lacerazioni profonde e ferite della memoria e farle tornare alla luce; può d'altra parte essere uno strumento di manipolazione e strumentalizzazione politica.
Jedlowski P., Memoria e interazioni sociali, p. 39, in ., ., (a cura di), Memoria e Saperi, Meltemi, Roma, 2007, pp. 31-48.
Habermas J., (1962), Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, Bari, 1988, p. 213.
Cfr. Habermas J., L'uso pubblico della storia, in . . (a cura di), Germania: un passato che non passa.
I crimini nazisti e l'identità tedesca, Einaudi, Torino, 1987.
Gallerano N., Storia e uso pubblico della storia, in Idem, L'uso pubblico della storia, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 22.
Parte essere una forma di manipolazione che stabilisce analogie fuorvianti e appiattisce sul presente profondità e complessità del passato.
Se il rapporto tra la storia degli storici e l'uso pubblico della storia è "insieme di conflitto e di convergenza", sarà indispensabile tutelare e vigilare attentamente sul tale interazione, in modo da evitare le conseguenze derivanti dalle possibili manipolazioni, soprattutto alla luce dell'odierno paradosso, dato dal fatto che "convivono nel presente due fenomeni all'apparenza contraddittori: un accentuato e diffuso sradicamento dal passato da un lato e un'ipertrofia dei riferimenti storici del discorso pubblico."