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Mulino, 2013, p. 97 The Bush Foreign Policy,
38 M. Mandelbaum, Foreign Affairs, Vol. 70, 1990-1991, p. 9
13 39
Vietnam, che aveva minato la fiducia e il consenso verso la presidenza . Durante la
Guerra Fredda, ogni presidente godeva di un certo monopolio sulla politica estera,
imponendo la propria dottrina, ma Bush dovette affrontare una crescente opposizione da
parte del Congresso in molte delle sue decisioni internazionali. Un esempio emblematico
fu la Guerra del Golfo: il voto finale al Senato per autorizzare l'uso della forza contro l'Iraq
passò con una risicata maggioranza di 52 voti favorevoli contro 47. Questa divisione, tanto
nel Congresso quanto nel paese, riguardo all'intervento militare, dimostrava come i
presidenti non avessero più il controllo esclusivo sulle crisi e sulle guerre.
Il crescente coinvolgimento del Congresso negli affari esteri aveva avuto inizio con lo
scandalo del Watergate e la fine della guerra del Vietnam. I membri del Congresso non
solo chiedevano una maggiore partecipazione nelle questioni internazionali, ma anche un
ruolo più significativo nel processo decisionale. Il simbolo più evidente di questa
riaffermazione del potere legislativo fu il War Powers Act del 1973, che rafforzava il
40
sistema di pesi e contrappesi tra i vari rami del governo .
Questo nuovo contesto politico rese più difficile per l'esecutivo agire liberamente sul
piano internazionale: Nixon si trovò ad affrontare le conseguenze del Watergate; le
politiche di distensione verso l'Unione Sovietica, perseguite da Nixon e Ford, furono
ostacolate dalle preoccupazioni del Congresso riguardo all'immigrazione ebraica
dall'URSS e da una guerra segreta in Angola; Carter non riuscì a ottenere l'approvazione
41
del Senato per il trattato SALT II; e Reagan fu travolto dallo scandalo Iran-Contra .
Nonostante queste sfide, Bush proseguì con la sua visione di un "Nuovo Ordine
Mondiale", concetto che enunciò durante una sessione congiunta del Congresso nel 1990.
In quell'occasione, dichiarò:
We stand today at a unique and extraordinary moment... Today a New World
Order is struggling to be born. A world quite different from the one we’ve
known. A world where the rule of law supplants the rule of the jungle. A world
in which nations recognize the shared responsibility for freedom and justice. A
Making U.S. foreign policy in the post-cold war,
39 James M. Scott, Duke University Press, 1998,
p. 14
40 Ibid, p. 39
41 Ibid 14 42
world where the strong respect the rights of the weak.
In quest'ottica, George H. W. Bush non poteva ignorare l'occupazione del Kuwait da
parte di Saddam Hussein, un evento che minacciava di destabilizzare la visione del nuovo
ordine mondiale che egli immaginava. Bush comprese che la crisi con l'Iraq non
riguardava solo gli interessi nazionali degli Stati Uniti, ma anche quelli internazionali, che
potevano essere salvaguardati solo sotto la leadership americana. Il Nuovo Ordine
Mondiale concepito da Bush sarebbe stato mantenuto e protetto dagli Stati Uniti, con il
sostegno di partner internazionali, inclusa l'Unione Sovietica, e con un dispiegamento di
43
forze che non si vedeva dai tempi della Guerra del Vietnam .
L'Iraq, dal canto suo, non prevedeva un intervento militare su vasta scala da parte degli
Stati Uniti, ma piuttosto l'imposizione di sanzioni. Anzi, Saddam Hussein si considerava
uno dei partner più stretti di Washington. Con la rivoluzione iraniana del 1979, gli
americani avevano perso un alleato strategico durante la Guerra Fredda e l'Iraq aveva
44
assunto quel ruolo . Per tutto il decennio successivo, gli Stati Uniti e altri paesi occidentali
avevano contribuito a rafforzare l'arsenale militare di Saddam Hussein, chiudendo un
occhio sull'uso di armi chimiche contro l'Iran, nonostante fossero proibite dal diritto
45
internazionale . In questo contesto, non sorprende che Saddam Hussein pensasse di
potersi imporre come potenza regionale in Medio Oriente con il tacito consenso
americano. Inoltre, il regime iracheno pretendeva la rinegoziazione dei debiti contratti
durante il conflitto Iraq-Iran e chiedeva che il prezzo del petrolio non venisse abbassato,
poiché rappresentava la sua principale fonte di entrate.
L'invasione del Kuwait, tuttavia, non solo metteva in crisi la dottrina di Bush, ma
rappresentava anche una minaccia per l'approvvigionamento globale di petrolio,
alimentando timori che Saddam potesse estendere le sue mire sull'Arabia Saudita. Con il
42 Vedi discorso George H. Bush alla sessione congiunta del Congresso sulla Crisi del Golfo
Persico e Deficit del Bilancio Federale, 9 novembre 1990,
https://bush41library.tamu.edu/archives/public-papers/2217
43 Cameron G. Thies, The Roles of Bipolarity: A Role Theoretic Understanding of the Effects of
Ideas and Material Factors on the Cold War, University of Iowa, 2012, p. 15
Dalla guerra fredda alla grande crisi. Il nuovo mondo delle relazioni internazionali,
44 O. Barié, Il
Mulino, 2013, p. 120
Il mondo contemporaneo,
45 M. Flores, Il Mulino, 2021, p. 296
15
controllo del Kuwait, Saddam deteneva il 20% delle riserve mondiali di petrolio e lo
spostamento delle sue truppe vicino al confine saudita suscitava ulteriore
46
preoccupazione .
Per evitare che la politica estera americana fosse percepita come dettata da una
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"mentalità da cowboy" , Bush cercò il supporto della comunità internazionale. Ottenne
l'approvazione dell'ONU per l'intervento militare e costruì una coalizione internazionale
che finanziò in gran parte la guerra, con contributi significativi da parte di Giappone,
Germania e Arabia Saudita.
Grazie alla ritrovata cooperazione tra Washington e Mosca, Bush poté intraprendere
un'operazione su vasta scala in Medio Oriente senza provocare un conflitto con l'Unione
48
Sovietica, ottenendo così un enorme vantaggio strategico . Nel febbraio 1991, un
massiccio dispiegamento di truppe e armamenti di ultima generazione dimostrò, con
l'operazione Desert Storm, l'assoluta superiorità militare degli Stati Uniti, confermando il
loro ruolo di liberatori e difensori della libertà e dello stato di diritto.
Tuttavia, per alcuni, la vittoria appariva incompleta. Se per Bush la guerra si concluse
con la cacciata delle forze irachene dal Kuwait, altri ritenevano che si dovesse procedere
alla rimozione del regime di Saddam Hussein. Quest'ultimo avrebbe poi represso le
minoranze curde e sciite e ostacolato il lavoro degli ispettori ONU incaricati di trovare
armi di distruzione di massa. Alla fine del conflitto, l'Iraq non venne occupato, non si
49
tennero elezioni e i principi del Nuovo Ordine Mondiale non furono applicati . Gli Stati
Uniti punirono Saddam, ma non cercarono di reintegrarlo nel sistema internazionale,
imponendo invece una no-fly zone e sanzioni economiche che trasformarono l'Iraq in una
polveriera. Negli anni successivi, il regime iracheno mantenne un atteggiamento di aperta
sfida verso l'America e l'Occidente.
L'amministrazione Bush temeva che la rimozione di Saddam Hussein avrebbe potuto
scatenare una guerra civile e la frammentazione dell'Iraq, rafforzando così la posizione
46 Ibid The Politics of Diplomacy,
47 Cit. in James Baker, Putnam Adult,1995
The Bush Foreign Policy,
48 M. Mandelbaum, Foreign Affairs, Vol. 70, 1990-1991, p. 11
49 Cameron G. Thies, The Roles of Bipolarity: A Role Theoretic Understanding of the Effects of
Ideas and Material Factors on the Cold War, University of Iowa, 2012, p. 16
16
50
dell'Iran . Questa preoccupazione bloccò l'elaborazione di una strategia alternativa per il
Medio Oriente. Parallelamente, il mondo islamico si radicalizzava sempre più, con il
fondamentalismo che formava potenti reti terroristiche, eredi delle milizie finanziate dalla
51
CIA in funzione anticomunista, ora animate da un feroce fanatismo anti-occidentale .
Per Bush, la vittoria nella Guerra del Golfo rappresentava l’inizio simbolico di una
nuova "era" plasmata dagli Stati Uniti, in cui il liberalismo economico globale e la pace tra
le nazioni sarebbero diventati realtà. Tuttavia, questa visione idealista si scontrò con una
realtà più complessa e multicentrica. Il potere si stava distribuendo tra nuovi attori
internazionali, inclusi potenze emergenti, multinazionali, ONG e organizzazioni
52
sovranazionali come l'Unione Europea . Bush dovette affrontare questa nuova dinamica,
riconoscendo la necessità di gestire interessi e sfide posti da questi attori.
L’amministrazione Bush si trovò presto a gestire situazioni che non potevano essere
risolte con la forza. Una di queste fu la dissoluzione dell'Unione Sovietica, che lasciò più di
30.000 armi nucleari distribuite nelle nuove repubbliche indipendenti. Era essenziale
garantire la sicurezza di tali armi e assicurare che la Russia, riconosciuta come successore
dell'URSS, fosse in grado di gestirle. Nel maggio 1992, a Lisbona, Bush firmò un accordo
con Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan, impegnando questi paesi a rimuovere le
loro armi nucleari entro sette anni e a sottoscrivere il Trattato di non proliferazione come
potenze non nucleari. Gli Stati Uniti stanziarono 400 milioni di dollari per facilitare il
53
disarmo .
Parallelamente, la crisi nei Balcani poneva nuove sfide. La morte del leader jugoslavo
Tito nel 1980 aprì la strada alla disgregazione del paese, aggravata da tensioni etniche e
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nazionaliste . Croazia, Slovenia, Bosnia, Kosovo e Macedonia chiedevano l'indipendenza
dalla Serbia, mentre il presidente serbo Slobodan Milošević rivendicava la difesa delle
comunità serbe presenti in questi territori. Nel 1991, iniziarono le ostilità con la Slovenia,
Il mondo contemporaneo,
50 M. Flores, Il Mulino, 2021, p. 297
Storia degli Stati Uniti,
51 Olivieri Bergamini, Editori Laterza, 2021, p.202
Making U.S. foreign policy in the post-cold war,
52 James M. Scott, Duke University Press, 1998,
p. 17 Armamenti nucleari nelle ex repubbliche sovietiche,
53 C. Presciuttini, Archivio disarmo, 1993, p.
6 Dalla guerra fredda alla grande crisi. Il nuovo mondo delle relazioni internazionali,
54 O. Barié, Il
Mulino, 2013, p. 134 17
risolte rapidamente, visto l’assenza di comunità serbe e perché la Slovenia riuscì ad avere
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l’appoggio tedesco e austriaco insieme a quello della Santa Sede . Diverso fu il conflitto
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croato-serbo, che con una larga presenza serba nella zona della Krajina , proseguì con
violenze, pulizie etniche e massacri per tutto il conflitto culminato nel 1995.
Bush era riluttante a impegnare l’esercito statunitense nei Ba