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III

ANALISI ESTETICA

1. Videoclip: tra Arte e pubblicità

Nel 1983 un articolo sul quotidiano francese “Le Monde” riportava questa

definizione: “Figlio del signor cinema e della signora musica, il videoclip è nato

dalla televisione ma ha negli occhi tanta pubblicità”.

37

Il mondo del videoclip è da sempre stato un ecosistema controverso: né carne né

pesce, un prodotto ruffiano e meramente promozionale, uno strano ibrido che

spesso si è dimostrato “ladro” nei confronti delle arti, con fini raramente nobili e

molto spesso bistrattato dai critici. Del resto è il destino di tutto ciò che è pop, di

ciò che è meta narrazione e citazionismo post moderno; da Andy Warhol alle Boy-

Band, dalla Coca Cola ai romanzi rosa.

Non è opera facile far comprendere alle persone che dietro a tali videoclip,

esteticamente brutti, spesso banali, con fini esclusivamente commerciali, esiste una

rosa incredibile di opere affascinanti, sperimentali, dalle connotazioni innovative e

profonde, che attingono da bacini artistici straordinari. Ma d’altronde, non è questo

il compito del videoclip, non è compito suo veicolare il parere della gente verso il

proprio “bello”; non è compito del videoclip come non lo è per le arti in generale.

Le arti sono la pura e semplice espressione di sé stesse, ed è ciò che le caratterizza.

Sta agli occhi di chi guarda percepire le loro sfaccettature ed essere capaci di

interpretare il messaggio:

Propongo quindi di considerare tutta la nostra arte […] come un insieme rituale

ad uso rituale […] Dal punto di vista estetico in effetti, non essendo più né bello

né brutto, né in ciò che fa senso o no riguardo alla forma, essendo

nell’impossibilità di giudicare, siamo proprio per questo condannati

all’indifferenza. Ma forse […] emerge un altro tipo di fascinazione. Perché il

bello e il brutto, una volta liberati dal loro obbligo rispettivo, si moltiplicano in

37 Bruno Di Martino Segni, Sogni, Suoni. Quarant’anni di videoclip da David Bowie a Lady Gaga,

pag. 35

Milano, Meltemi, 2018 29

qualche modo: diventano il più bello del bello o il più brutto del brutto. Il che

crea degli effetti speciali interessanti. […] liberati dal reale potete fare più reale

del reale: iperreale. È del resto con l’iperrealismo e la pop art che tutto questo è

cominciato, con l’elevazione alla potenza ironica della realtà fotografica della

vita quotidiana.

38

Così scrive Jean Baudrillard nella sua La Sparizione dell’Arte del 1988.

Risulta quindi vano il tentativo di attribuire un determinato grado di nobiltà d’animo

al Videoclip come genere audiovisivo, così come per i suoi “genitori” Musica e

Cinema. Ciò che invece ha un senso è contestualizzalo e cercare di scomporre le

sue caratteristiche per approfondire il messaggio che ogni opera vuole trasmettere,

a livello semantico, estetico e stilistico. Passando per l’analisi di genere, trattata nel

capitolo precedente, possiamo farci un’idea della varietà di contenuti proposti dai

diversi videoclip. Potremmo nobilitare un video rispetto ad un altro per la qualità

dei contenuti che propone o delle scelte stilistiche effettuate, ma ciò che ci sfugge

è altro: Bruno Di Marino, nel suo Segni, sogni, suoni individua una componente

comune all’interno di tutti i videoclip, lo specifico che ne determina la struttura.

Tale componente è individuabile nella circolarità, quindi la reiterazione delle

inquadrature e delle immagini. Dal momento che i videoclip sono costruiti attorno

39

ad un brano musicale, la struttura del pezzo ne influenza la sequenza narrativa e

visuale. La maggior parte dei pezzi pop è costituita da strofa, ritornello, special,

sezioni che si ripetono una o più volte nell’arco dei 3 o 4 minuti circa di durata del

brano musicale. Tale sequenza, porta il videoclip a delle costrizioni di forma, come

succede negli spot pubblicitari, che devono adattare le proprie tempistiche alla

scansione della programmazione televisiva. In aggiunta, visto il tempo

relativamente compresso a disposizione del videoclip, per raggiungere un

soddisfacente impatto visuale, i registi propongono contenuti che mirano alla

frenetica successione di immagini e alla loro reiterazione per riuscire a rimanere

impresse ed essere competitive con le altre proposte. Di natura frenetica e

sfuggente, per via della propria struttura naturale, il destino del videoclip è quello

38 Jean Baudrillard, La sparizione dell’arte, Milano, Abscondita, 2012 pag. 49

39 Bruno Di Martino Segni, Sogni, Suoni. Quarant’anni di videoclip da David Bowie a Lady Gaga,

pag. 46

Milano, Meltemi, 2018 30

di una declassazione verso qualcosa di meno nobile rispetto al cinema. Come se

non bastasse, ad aggravare la sua già precaria posizione, si aggiunge il tipo di canale

di fruizione e l’approccio di presentazione. Fino ai primi anni ’90 il principale

mezzo di diffusione del videoclip è stata MTV, canale televisivo che proponeva una

lunga carrellata di videoclip, uno dietro all’altro, senza alcun tipo di interruzione se

non la sigla dello stesso canale e la pubblicità. Ciò che ne risultava era un lungo

carosello confuso di immagini sparate a velocità sovrumana che non lasciava spazio

ad una visione attenta dei singoli contenuti. Una manciata di anni dopo la situazione

non migliorò in alcun modo, anzi, si amplificò con l’ingresso di internet e della

prolificazione di canali dedicati all’audiovisivo come VEVO, YouTube, Vimeo e

così via, una giunga che propone milioni di contenuti ogni giorno, in continua

espansione. Per dare dei numeri, il 95% delle visualizzazioni di YouTube sono

costituiti da video musicali e vengono caricati ogni minuto circa 500 ore di

40

contenuti per un totale stimato di 81.941.760 video caricati.

41

Ciò si traduce in una sconfinata quantità di contenuti proposti, dei quali la maggior

parte non sono degni neanche del tempo impiegato per produrli. In tutto questo ci

sono però i videoclip belli, quelli che hanno qualcosa da dire, quelli che purtroppo

sono sommersi dal nulla e destinati a non ricevere l’apprezzamento che

meriterebbero. Nell’immaginario comune, il videoclip non è niente di più che

sfuggente intrattenimento, un sottofondo visivo alla musica, qualcosa di colorato da

proiettare sulle televisioni di una palestra o di un bar.

Come scrive Walter Benjamin ne L’opera d’arte nell’epoca della sua

riproducibilità tecnica:

La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni comportamento

abituale nei confronti delle opere d’arte. La quantità si è ribaltata in qualità: le

masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo diverso di

partecipazione. […] Distrazione e raccoglimento stanno in una contrapposizione

che consente la seguente formulazione: colui che si raccoglie davanti all’opera

d’arte vi si immerge; penetra in quest’opera come racconta la leggenda di un

40 www.kinsta.com

41 www.tubefilter.com 31

pittore cinese alla vista della propria opera compiuta. Inversamente, dal canto

suo, la massa distratta fa sprofondare l’opera d’arte in sé.

42

Si ricerca un flusso costante, una proposta continua che riesca a saziare la fame

delle playlist. Questo si traduce in un’attenzione sempre minore alla qualità sia dalla

parte del creatore che da quella dello spettatore-consumatore; i milioni di euro spesi

negli anni ’90 per la realizzazione dei video passano a poche migliaia di euro

(spesso con inserimenti commerciali sponsorizzati per risparmiare ulteriormente),

la sperimentazione tecnica e stilistica che portava a correre dei rischi si perde

completamente a favore di un gioco sicuro sugli stilemi notoriamente apprezzati dal

grande pubblico, i registi sono molto spesso i team di comunicazione delle case

discografiche che adottano scelte funzionali basate su precise ricerche di mercato

uccidendo ogni componente visionaria e creativa presente in passato. Chi ha la

possibilità di permettersi la realizzazione del proprio video musicale con i risicati

budget dell’industria discografica attuale, punta il più possibile allo standard, niente

di più.

Una situazione triste, che rispecchia il tipo di intrattenimento usa e getta della

società costruita attorno al social network. E chi vuole proporre contenuti fuori dagli

schemi, soccombe molto spesso alla mancanza di cultura del pubblico, che scambia

il valore aggiunto per una bizzarria non richiesta, non avendo né la capacità, né la

voglia, né la possibilità per approfondire tale caratteristica, soffermandosi e

limitandosi ad un giudizio superficiale.

2. L’affermazione delle Arti nella storia. Il dibattito sul valore artistico

La discussione sul valore artistico del videoclip va ricercata agli inizi del novecento,

quando un dibattito analogo aveva luogo per quanto riguardava l’affermazione del

cinema nei confronti delle altre arti quali la letteratura, la musica, la pittura.

42 Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi,

2014 pag. 34, 35 32

Ma ben prima, ed in maniera direttamente collegata, la disputa si tenne tra pittura e

fotografia. Si discuteva se un mezzo tecnico avesse le carte in regola per competere

con una diretta espressione della sensibilità del pittore; poteva la fotografia celare

dietro una rappresentazione iperrealistica quei sentimenti e quei valori personali

tipici delle arti?

La forte crescita della fotografia ebbe grande influenza dalla richiesta sempre più

crescente di ritratti fotografici, e i pittori, probabilmente quelli meno richiesti,

accettarono di ricorrere al nuovo mezzo tecnico per soddisfare le richieste della

committenza.

A questo proposito Baudelaire in occasione del Salon de 1859, scrisse un capitolo

intitolato Il pubblico moderno e la fotografia riportando queste parole:

“Poesia e progresso sono due esseri ambiziosi che si odiano di un odio istintivo,

e, allorché s’incontrano sulla stessa strada, bisogna che l’uno si sottometta

all’altro. Se si consente che la fotografia supplisca l’arte in alcuna delle sue

funzioni, in breve essa l’avrà soppiantata o completamente corrotta, in virtù della

naturale alleanza che troverà nell’idiozia della massa. Occorre dunque che essa

torni al suo vero compito, che è quello di essere l’ancella delle scienze e delle

arti, ma

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
49 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher toooomp di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Estetica del cinema e dei media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Andrea Marino.