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PARTE TERZA: ETICA ED ESTETICA
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Capitolo 7 - UN FERTILE INCONTRO TRA SISTEMI DI PENSIERO
7.1 - La Via della scrittura
Come abbiamo già accennato il carattere dō [道 , Via] accomuna molte pratiche giapponesi di
diverso genere. Alcune di queste hanno origini antichissime, altre nacquero nel periodo medievale;
quello che le accomuna è che tutte vennero ri-codificate secondo il quintessenziale pensiero zenista
dominante nel periodo Muromachi. Tra queste troviamo il bushidō [武士道 , il codice etico dei
guerrieri], il kendō [剣道, la Via della spada], il kadō [華道, la Via dei fiori], il kyūdō [弓道, la
Via del tiro con l’arco], il sadō [茶 , la Via o cerimonia del tè] e naturalmente lo shodō.
道
Al di là dei peculiari aspetti estetici e pratici, ognuna di queste “vie” ha il medesimo scopo ultimo: il
perfezionamento della disciplina spirituale, ovvero l’innalzamento, l’arricchimento dell’interiorità
dell’individuo.
L’etimografia - ovvero lo studio delle origini dei caratteri cinesi - per quanto non metta sempre
d’accordo gli studiosi, ci viene in aiuto per spiegare il complesso significato del termine dō [道].
Secondo alcuni i primi quattro tratti (la parte in alto a destra) sarebbero una stilizzazione del carattere
che raffigura l’elmo dei guerrieri, dei bushi [武士]: per estensione ciò starebbe a indicare una persona
di un certo prestigio sociale, uno shi [士], un “gentiluomo”; quello che sta sotto l’elmo sarebbe il
carattere di “occhio” o “vista” [目 , g. me]; invece il radicale è quello che indica una strada, un
percorso.
Nel complesso quindi questo carattere può essere inteso come l’indicazione di un percorso che si
affronta sì in prima persona, ma sotto la guida (occhio) di un maestro/illuminato (gentiluomo), ovvero
1
di qualcuno che ci fa da modello. Lo strettissimo rapporto che si instaura tra maestro e allievo nelle
1 Ringrazio la professoressa Rita Casadei della facoltà di Scien ze della Formazione per questa accurata
spiegazione. 97 2
arti tradizionali giapponesi, paragonabile a quello tra un padre e un figlio , sembra supportare questa
interpretazione. Nell’insegnamento “per imitazione” dello shodō il profondo legame tra maestro e
allievo assume importanza fondamentale: il passaggio delle conoscenze avviene “da cuore a cuore”
3
[i shin den shin , senza alcuna spiegazione a parole da parte del maestro che si limita a
以心伝心]
mostrare all’allievo cosa deve fare; sta a questi seguirlo con passione, attenzione e fiducia e
apprendere intuitivamente quei segreti che le parole non possono rivelare: 4
Ho cercato di spiegare, ho anche studiato per poter spiegare, ma non esistono le parole. 5
Un'altra interpretazione del carattere dō, meno diffusa, è di derivazione taoista : i primi due tratti
indicano i due principi opposti e complementari yin e yang, uniti dal tratto orizzontale sottostante; il
gruppo inferiore è invece il kanji che indica “sé, se stesso, da sé” [自, g. ji].
Secondo questa lettura il carattere descriverebbe il metodo secondo il quale l’unione tra gli opposti
si attua spontaneamente (da sé), oppure, a livello individuale, la via che porta alla conciliazione degli
opposti dentro di sé, e quindi all’unione con il principio universale. Questa unione con il cosmo ha
quel significato di ricerca spirituale e di comprensione della realtà di cui dicevamo sopra.
Entrambe le chiavi di lettura ci danno un’idea un po’ più precisa di quale fosse il significato di
queste Vie. Sono definite “pratiche” perché non prevedono distinzione tra esercizio e teoria: non c’è
distinzione tra livello pratico e livello teorico, essi sono compresenti e inscindibili a formare
un’esperienza che la sola funzione dell’intelletto, come un esercizio vuoto di consapevolezza, non è in
grado di esaurire. Si può partire da una speculazione teorica ma questa deve essere integrata: corpo e
mente, il braccio che scrive e il pensiero che lo guida, si devono fondere nella ricerca spirituale.
2 Per un approfondimento vedi Matteo Casari, Teatro Nō: La via dei maestri e la trasmissione dei saperi, Clueb,
Bologna 2008, capitolo IV, VI e VII.
3 Concetto sviluppato nell’ambito del buddhismo zen: senza la mediazione del linguaggio un insegnamento viene
trasmesso dal maestro direttamente al cuore/mente/spirito [shin ] del suo discepolo, che ne viene come
心
folgorato.
4 Il maestro Nagayama No rio parla del suo metodo d’insegnamento agli occidentali. AA. VV., Shodō: L’arte
della calligrafia giapponese, CELSO, Genova 1998, p. 150
5 Ricordiamo che il carattere dō è lo stesso usato dagli antichi cinesi per esprimere graficamente il concetto di
dao (Via, Disciplina, Metodo di ricerca dell’unione con il principio universale).
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Alcuni esperti di calligrafia lamentano il fatto che gli occidentali, trovandosi a disagio di fronte al
dover “fare” prima ancora di “capire”, cercano di razionalizzare, di ridurre a schemi: spesso si
interessano alla logica interna, alla tecnica e al percorso storico/culturale sottesi allo shodō credendo
che esso possa essere compreso esclusivamente attraverso l’intelletto, e trascurano l’aspetto
dell’esperienza pratica. Invece le Vie della tradizione estremo-orientale si basano proprio
sull’esperienza diretta, personale: alla Via ci si deve dedicare completamente e per un lungo tempo,
seguendo il metodo distillato e portato avanti dalla tradizione, con grande umiltà e devozione; non
bisogna mai dimenticare il valore degli insegnamenti, e si deve guardare con fede alle capacità del
proprio maestro e alla possibilità di migliorare (e migliorarsi). D'altronde un miglioramento di sé stessi
è lo scopo ultimo della pratica, e si accompagna direttamente a un innalzamento del proprio livello
nella pratica: è quello che il sociologo e maestro di arti marziali Tokitsu Kenji intende quando afferma
che “La tecnica è l’uomo”.
Per accedere al livello superiore della tecnica bisogna che l’uomo stesso divenga superiore. La qualità
dell’uo mo e quella della sua tecnica sono in rapporto dialettico: esse mirano a un co mpimento qualitativo.
La qualità della tecnica si acquisisce con un allenamento incessante, ma, talvolta, l’esercizio può essere
ripetuto senza progressi, quando l’uo mo stesso non progredisce. […] Il mezzo per questo sviluppo è il
kata, fenomeno dinamico che realizza l’allean za dell’uo mo e della tecnica, senza alcuna rottura tra
6
quest’ultima e la coscienza dell’uo mo.
7.2 - L’apprendimento attraverso i kata
Il kata [形, lett. forma] è “una sequenza composta da gesti formalizzati e codificati, sottesa da uno
7
stato di spirito orientato verso la realizzazione della via” ; nell’ambito dell’apprendimento e della
trasmissione di una pratica, il kata è la tecnica sezionata in segmenti, in azioni sequenziali che
costituiscono la base dell’esercizio. Questi gesti sono il risultato di un’operazione di filtraggio e
condensazione della conoscenza durata secoli: sono la memoria di generazioni di maestri. La
tradizione li ha trasmessi in maniera estremamente rigida, ovvero una volta che sono stati codificati
hanno subìto ben pochi cambiamenti nel corso del tempo. Ciò non implica che non ci sia spazio per
l’espressione personale, laddove venga conservato il principio; ma teniamo a mente che il kata è la
tecnica d’apprendimento, l’interpretazione artistica deve necessariamente venire dopo.
Fin qui potrebbe sembrare che si tratti semplicemente di esercizi tradizionali volti all’acquisizione
di manualità: ma la qualità più peculiare del kata è il fatto che esso faccia sì che il corpo progredisca
insieme alla mente. Nel kata il gesto non è puramente meccanico, ma è inscindibilmente connesso a un
6 Kenji To kitsu, Kata: Forma tecnica e divenire nella cultura giapponese, Luni edit rice, Milano 2004, p. 27
7 Ibid., p. 21 99
significato sotteso; anche se questo non viene mai spiegato dal maestro, forse proprio perché non
esprimibile verbalmente ma afferrabile solo mediante l’esperienza diretta, proprio per questo carattere
di inscindibilità l’apprendimento della forma e quello del contenuto vanno di pari passo. Esercitarsi
nel gesto produrrebbe la comprensione automatica, a livello non razionale ma intuitivo, dei significati
più celati e sottili. È in questo senso che il kata viene definito un esercizio sia fisico che mentale: la
differenza tra azione e pensiero in esso si assottiglia, e la sensibilità dell’allievo si affina attraverso la
costante pratica. Questo perché si tratta di un allenamento volto non solo all’acquisizione del gesto, di
modo che sia interiorizzato e diventi quindi “naturale”: il punto focale è l’attenzione che si mette nel
gesto [kata ni hairu “seguire la forma”], la concentrazione massima su un movimento
形に入る,
ripetuto migliaia di volte e ormai fatto proprio [kata ni jukutatsu suru “perfezionare la
形に熟達する,
forma”], che permette di sgombrare la mente, abbandonando ogni preoccupazione teorica, e aprirsi
all’ispirazione artistica e all’intuizione spirituale. A quel punto si può superare il livello della mera
abilità tecnica [kata kara nukeru , “andare al di là della forma”] e infondere un
形から抜ける
sentimento nella scrittura: è così che la tecnica si trasforma in arte, è questo che significa realmente
fare shodō.
7.3 - Dare vita ai caratteri
Durante l’esecuzione, l’art ista di Shodō deve trovare la massima concentrazione per poter trasferire
delicatamente il proprio spirito sulla carta b ianca e per esprimere il proprio pensiero e personalità
attraverso i caratteri e le parole. L’impegno dell’artista è anche nell’esprimere il significato e il contenuto
insito nelle parole, senza limitarsi a curare solamente il profilo estetico della forma. […] Difatti, le linee
tracciate devono essere piene di v ita e moviment i. La forma piena d i v italità suscita un’emo zione nelle
persone che la osservano. I calligrafi si esprimono in diversi mod i, attraverso i caratteri e le paro le,
8
rispettando la propria personalità con il pennello e l’inchiostro SUMI.
Cosa significa infondere vita nei caratteri? Una buona calligrafia, una vera opera d’arte, non deve
necessariamente essere armoniosa e misurata; al contrario, un capolavoro ci attrae per il suo carattere
vitale ed energico: una te