SOMMARIO
Una repressione illusoria e un’occasione sprecata
2.1 La mafia come strumento della politica
La partita risorgimentale in Sicilia si concluse con la delusione di tutte le principali
forze che Garibaldi era riuscito a riunire contro i Borboni. In particolare, l’aristocrazia
siciliana si sentì ancora più esclusa, in quanto avrebbe dovuto fungere da rappresentante
politico della Sicilia nell’ambito delle istituzioni statali; se, difatti, durante l’Unificazione
riuscì a scongiurare la rivoluzione sociale, il fallimento sulla contrattazione con i piemontesi
per definire le condizioni dell’annessione all’Italia, fu altrettanto evidente 101 .
Quest’insuccesso lo si deve anche al fatto che gli stessi piemontesi si dimostrarono, come
accennato nel Capitolo 1, § 1.2, totalmente disinteressati a qualsiasi possibile «annessione
, pretendendo senza andare troppo per il sottile che l’Isola si adattasse al
102
condizionata»
sistema legislativo del nascente Regno d’Italia, così come costituito dal Parlamento di
103
Torino . Subito dopo il famoso plebiscito del 1861 troviamo una società politica siciliana
dall’altra i liberali-autonomisti
divisa in due: da una parte i liberali-unitari, assieme agli
autonomisti veri e propri, uniti a fronte politico comune proprio perché contrari all’indirizzo
centralizzante del nuovo Regno e soprattutto ostili verso i funzionari arrivati dalla lontana
capitale (Torino) e imposti sull’Isola senza lasciare troppo spazio di dibattito ai funzionari
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locali già presenti nelle amministrazioni . Sebbene tra le due fazioni la prima, anche grazie
all’aiuto determinante di alcune Prefetture, sulla carta deteneva in Parlamento la
maggioranza ufficiale, il secondo dei due schieramenti in realtà costituiva lo specchio
101 L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Roma 2011, p. 19.
I notabili dell’Isola avevano costituito, il 19 ottobre 1860, un loro specifico Consiglio di Stato straordinario,
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con lo scopo di presentare al Governo del Regno quali fossero le strategie da adottare perché si conciliassero
al meglio le esigenze peculiari della Sicilia di quel tempo con quelli generali della nascente Nazione italiana.
103 Camera dei deputati del regno, sessione del 1861, tornata del 2 luglio 1861, su storia.camera.it.
104 P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino 1954.
31 (ricordiamo che in quell’anno l’elettorato attivo in Sicilia
politico di una vasta base sociale 105
era costituito da appena il 2% della popolazione totale) e di conseguenza il vero detentore
106
della maggioranza politica in Sicilia .
Il vero confronto, tuttavia, lo si ha rivolgendo l’attenzione alla contrapposizione tra
Sicilia legale e Sicilia reale, quest’ultima rappresentata dagli autonomisti, che nascondevano
la loro difesa ad oltranza dell’assetto economico latifondista e di tutti i suoi conseguenti
privilegi dietro una coltre fumosa di anticentralismo, sostenuto a presidio delle libertà e dei
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diritti individuali . Altro non si trattava del nuovo camuffamento del tradizionale
sicilianismo, da sempre il vero e proprio strumento ideologico con cui la classe locale
dirigente, formata da baroni e dalla nascente borghesia dei gabellotti, teneva unite le forze
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aristocratiche e le forze popolari . Questa strenua difesa di antichi privilegi fu definita dallo
studioso Marino con la calzante definizione di “opposizione mafiosa” , un’opposizione
109
però che non fu troppo palese nelle sue manifestazioni più salienti, poiché la linea adottata
dal ceto politico aristocratico avrebbe evitato di lanciare immediati e frontali attacchi al
–
nuovo potere centrale gestito dalla Destra storica, bensì cercò riuscendoci - di creare una
sorta di cattività intorno ai nuovi poteri statali, con lo scopo di circoscriverne e limitarne il
più possibile l’azione e allo stesso tempo di sfruttarli, rivolgendo la loro funzione repressiva
e di polizia ai danni dei movimenti popolari nati in Sicilia durante la spedizione di Garibaldi,
110
nemici locali molto più temuti e vicini .
105 Capitolo 1, § 1.3. La mafia nell’opinione pubblica,
106 P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia, cit., Torino 1954, F. Brancato, cit.,
Bologna 1956 e G. Falzone, Storia della mafia, Milano 1975.
107 G. Tessitore, Il nome e la cosa, cit., Milano 1997.
108 S. Lupo, R. Mangiameli, Mafia di ieri, mafia di oggi (1989), Meridiana, (7/8), pp. 17-44.
109 G. C. Marino, L'opposizione mafiosa, cit., S. F. Flaccovio, 1964 richiamata anche in G. C. Marino, Storia
della mafia, Roma 2002 e in G. Tessitore, Il nome e la cosa, cit., Milano 1997.
110 Tesi sostenuta da diversi studiosi, in particole da G. C. Marino, Storia della mafia, Roma 2002, G. Tessitore,
Il nome e la cosa, cit., Milano 1997, S. Lupo, Storia della mafia, Roma 1993, S. Lupo, R. Mangiameli, Mafia
La mafia nell’opinione pubblica e nelle
di ieri, mafia di oggi (1989), Meridiana, (7/8), pp. 17-44 e F. Brancato,
inchieste dall’unità al fascismo, Cosenza 1986.
32
In questo frangente politico, si capisce facilmente come si fossero create le condizioni
perfette per una nuova evoluzione del fenomeno mafioso, ormai diventato strumento delle
varie manovre delle forze politiche siciliane, sia che fossero le correnti aristocratiche,
interessate a indebolire lo Stato, sia che fossero le correnti garibaldine che ne avevano già
sperimentato l’utilità durante la rivoluzione del 111
1860 . Questa situazione, tuttavia, non
deve portare a credere che la mafia a sua volta si trovasse schierata per una o per l’altra
fazione, e la vera questione è come il fenomeno mafioso sia riuscito a adattarsi e a
sopravvivere alla destrutturazione dell’ordine precedente attraverso la costruzione di un
nuovo Stato, che come già più volte ammesso, fallì nel migliorare concretamente il quadro
112
sociale, economico e legislativo della Sicilia . Il governo centrale, isolato dalla società e
delegittimato dai baroni, aveva ceduto alla pericolosa tentazione di rispondere con sempre
più elevate dosi di autoritarismo davanti alle rivolte e alle proteste sempre più vistose ed
esplosive. Le platealmente ingiuste condanne di innocenti per crimini ed attentati politici,
evidenziarono in maniera ancora più esemplare la debolezza dello Stato liberale. Davanti a
questo clima, i funzionari politici, i questori, i prefetti della Destra storica, trovarono
difficoltà a capire e di conseguenza a muoversi nella realtà locale siciliana, difficoltà che
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portarono loro da una parte a compiere diversi errori, anche grossolani , andando ad
111 In merito, v. Capitolo 1, § 1.2.
112 Lo Stato unitario, nel tentativo di far valere le leggi del Regno attraverso il rigore e la forza, aveva invano
cercato di avviare una fase di modernizzazione della Sicilia, che fatta piombare dall’alto senza alcuna sorta di
specificazione e adattamento alla realtà siciliana, fu avvertita, soprattutto dagli strati popolari della società
siciliana, come una nuova ondata straniera di soprusi e di oppressione: aumento della pressione fiscale,
sostituzione dei vecchi uffici del Regno delle Due Sicilie con nuovi uffici composti da personale in gran parte
proveniente dal Nord d’Italia, la liquidazione degli ordini religiosi e delle loro attività caritatevoli (spesso unico
vero sostentamento alle classi più povere) e, infine, l’introduzione della leva militare, vissuta come una vera e
propria privazione di libertà delle abitudini popolari. Centinaia di giovani renitenti si diedero alla macchia,
costretti a scappare nelle campagne e ad appoggiarsi alle bande di briganti, alimentandone quindi le fila, per
una possibilità di sostentamento. (R. Minna, Breve storia della mafia, Roma 1984).
Uno degli strumenti il cui utilizzo fu più abusato in quegli anni, fu l’ammonizione, il cui uso era del tutto
113
discrezionale e spesso non legittimo. «L’ammonizione era una stimmata incancellabile per chi la subiva: un
delegato faceva una lista di nomi, la mandava al pretore; questi senza esame, ma con l’ossequio e l’ubbidienza
passiva […], passava all’ammonizione. L’ammonito era come lo scomunicato dei tempi medi. […] Operai,
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aumentare l’inimicizia e l’ostilità di vasti strati popolari nei confronti dello Stato, dall’altra
a ricercare amici ed informatori legati alla malavita locale e con precedenti, verso cui spesso
114
e volentieri dimostravano una malcelata e colposa tolleranza davanti ai loro crimini , e a
cui talvolta concedevano, nascoste dietro a presunte ragioni di necessità ed urgenza,
in nome dell’ordine pubblico e della giustizia 115
informali autorizzazioni a delinquere .
Queste diverse crisi sociali e politiche portarono inevitabilmente a dipingere i mafiosi
come un’alternativa interessante. Chiunque, infatti, venisse a trovarsi senza protezioni,
contadini, operai e la manovalanza più disparata, capiva che sarebbe stato controproducente
e inutilmente pericoloso esporsi al rischio delle ritorsioni mafiose per denunciare i reati di
cui erano testimoni a una giustizia ufficiale che, spesso, mandava assolti i colpevoli e puniva
gli innocenti: da questa rassegnazione nacquero il silenzio e l’omertà dinanzi ai delitti e il
L’ostilità al governo
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rifiuto di collaborare con le autorità della magistratura e della polizia .
centrale divenne quindi il collante, l’interesse comune a quasi tutte le componenti della
società siciliana, con un pericoloso scambio di accordi e favori tra le varie classi, deleterio e
vettore della massiccia infiltrazione della mafia nelle istituzioni. Nelle città, principalmente
a Palermo, dove maggiore avrebbe dovuto essere la presenza statale, si andavano creando
centri di potentato alternativo, che rendevano nullo ogni tentativo di affiliazione dell’autorità
del governo. Nelle zone rurali d’altro canto, quanto ricavato dalla vendita agricola era
non aveva più lavoro; domestico, non era più accetto; contabile, non era più adibito; intanto doveva presentarsi
ogni settimana al delegato del quartiere e fargli constatare che s’era dato ad un lavoro!» così riportato da G. C.
Marino, Storia della mafia, Roma 2002.
114 «Gli abusi e le illegalità della polizia erano plateali, tanto nelle città quanto nelle campagne: in casa della
guardia Sebastiano Ciotti furono trovati oggetti rubati al Museo Nazionale e sembra anche refurtiva
proveniente dai furti nella cancelleria della Corte di appello e nelle case della contessa Tasca. Veniva inoltre
favorito,
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