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CONSIDERAZIONI FINALI
Ho iniziato la ricerca partendo dal presupposto che il mondo del lavoro è in forte
cambiamento, cambiamenti che riguardano la struttura demografica della popolazione, ma
che investono anche la sfera sociale e culturale. In quanto si hanno persone sempre più
istruite, con aspirazioni e bagagli culturali diversi, anche a motivo della forte componente
straniera nel tessuto lavorativo. A questo si aggiunge poi l’inevitabile impatto, oramai
iniziato da tempo, delle innovazioni tecnologiche sul mercato del lavoro e sul modo di
operare delle organizzazioni. 164
La domanda di ricerca si è sviluppata perciò in seguito a un’analisi del mercato del lavoro
in provincia di Trento, in cui mi sono focalizzata sugli aspetti secondo me più rilevanti in
questo momento, ovvero l’allungamento della vita produttiva, la stabilizzazione della
componente straniera e femminile e, l’impatto delle innovazioni tecnologiche. Quindi mi
sono chiesta se e in che modo le organizzazioni vedono e rispondono a questi cambiamenti,
ma soprattutto quali problemi, nei termini della gestione della forza lavoro, esse
percepiscono per il futuro.
Dalla ricerca sono emersi spunti interessanti per una riflessione. Innanzitutto gli intervistati
hanno sottolineato con forza come il mondo del lavoro sia in cambiamento continuo, vi è la
consapevolezza che rispetto al passato i ritmi delle aziende sono cambiate e occorre avere
strutture reattive che interpretano questi cambiamenti giorno per giorno, altrimenti il
rischio è di ‘rimanere indietro’. Tali cambiamenti sono fatti risalire in prima battuta alle
trasformazioni delle tecnologie, al bisogno sempre più crescente di innovazione per essere
competitivi su un mercato che è privo di confini. Perciò occorrono persone sempre più
formate, istruite, competenti e soprattutto che hanno la voglia di imparare e aggiornarsi;
l’apprendimento è infatti un elemento essenziale per la crescita dell’organizzazione. Se
questo è un dato non particolarmente caratterizzante il contesto trentino, in quanto esiste
una fiorente letteratura sui bisogni di formazione delle organizzazioni, sono emerse alcune
lacune nel nostro sistema rispetto a questo tema.
Per affrontare al meglio questi cambiamenti, sarebbe importante coinvolgere i lavoratori e
le associazioni di categoria che hanno gli strumenti e le informazioni per accompagnare le
imprese e il personale verso le transizioni. Tuttavia, da parte delle rappresentanze si
lamenta un mancato coinvolgimento e partecipazione nei processi che riguardano i
cambiamenti nelle strutture organizzative. Quando invece sono istituzioni deputate al
supporto delle imprese e lavoratori. Il mancato coinvolgimento delle associazioni si
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traduce anche in un mancato coinvolgimento dei lavoratori i quali, essendo i destinatari del
cambiamento, dovrebbero partecipare attivamente con la possibilità di contribuire alla
ridefinizione di ruoli e mansioni. Nel contesto trentino manca perciò una relazione tra
lavoratori, organizzazioni ed enti, i quali invece dovrebbero essere sfruttati alla luce del
loro ruolo informativo e di supporto.
Per quanto riguarda il fattore straniero, dal punto di vista dell’organizzazione non è visto
come un particolare problema, nel senso che non è importante che il personale sia straniero
o italiano, ciò che conta è la flessibilità, la conoscenza, etc. Mentre le associazioni di
categoria ritengono che anche qui vi sia una mancanza, perché questa componente
lavorativa non ha adeguate rappresentanze e rischia di essere esclusa dalla formulazione
delle esigenze.
Anche per il personale femminile, ma è un discorso che riguarda tutta la componente
lavoro in generale, bisogna che i responsabili risorse umane si rendano consapevoli che le
aspirazioni (a seguito del maggior livello di istruzione) e, soprattutto l’età del personale è
cambiata. Occorre una maggiore attenzione a questi aspetti e fare tutoraggio, monitoraggio
per seguire questa evoluzione.
Un’altra mancanza del sistema trentino sta proprio nell’assenza di una riflessione su questi
aspetti. In particolare, le realtà pubbliche promuovono scambi di buone pratiche per i
dipendenti più anziani, mentre nelle realtà private tali pratiche non sono riconosciute, ma si
“pretende” che anche il lavoratore anziano si adatti alle nuove evoluzioni imposte dalla
tecnologia, quando invece sarebbe auspicabile adattare l’organizzazione, o modificare la
struttura per mettere questi lavoratori nelle condizioni di lavorare al meglio. Esistono
infatti fondi, strumenti, pratiche promosse dall’ente pubblico stesso, ma proprio perché non
vi è relazione tra enti, queste informazioni mancano e buone pratiche non vengono
applicate nel privato. Ciò ha conseguenze sulla motivazione e sull’umore dei dipendenti, i
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quali sono a conoscenza che tali progetti sono previsti nel pubblico e si sentono
marginalizzati e penalizzati.
Occorrerebbe quindi una nuova e maggiore consapevolezza da parte delle organizzazioni
riguardo a quest’ultimo aspetto, da concretizzare attraverso l’attivazione di una relazione
più proficua tra enti e lavoratori stessi.
Per questi motivi, in base a ciò che ho riscontrato essere le carenze nel sistema trentino,
nell’ultimo capitolo ho descritto le azioni che secondo me dovrebbero essere intraprese dai
responsabili risorse umane al fine di creare un miglior clima organizzativo. Tali azioni
comprendono perciò maggiori pratiche partecipative e di decentralizzazione verso i
lavoratori e i loro rappresentanti, in un ottica di coinvolgimento nelle decisioni che
accompagnano i cambiamenti; una maggiore attenzione all’age managament e attivazione
di buone pratiche, considerando che il numero di lavoratori anziani andrà aumentando
rispetto alla componente più giovane, anche a fronte delle politiche di pensionamento che
spostano il momento di uscita dal lavoro sempre più in avanti. Per concludere adottare un
approccio che tenda a valorizzare le diversità presenti in azienda, individuarle e sfruttarle
per creare ulteriore valore aggiunto. Questo alla luce del fatto che oggi, quasi tutte le
aziende hanno problemi a competere sul mercato globale, e competere sul mercato
internazionale vuol dire avere al proprio interno le capacità per interagire con soggetti
diversi tra loro, con culture diverse. Le stesse tecnologie oggi molto più rapidamente di
prima mettono tutti immediatamente in grado di contattare qualunque diversità, quindi le
aziende hanno l’esigenza di avere diversità al loro interno per poter affrontare le diversità
al loro esterno. Se le aziende riusciranno ad amalgamare in un contesto organizzativo
efficace queste diversità, sarà un grandissimo valore.
La risorsa umana deve essere considerata come una risorsa strutturante e
l’investimento immateriale nel miglioramento delle risorse umane attraverso la
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conoscenza, la formazione, la partecipazione e l’esperienza dovrà assumere sempre più
importanza rispetto a un investimento materiale. La nuova visione dell’organizzazione
deve essere fondata sul passaggio dal sociale quantitativo all’umano qualitativo, l’uomo va
valorizzato in ciò che vi è di specifico e qualitativo, cioè la sua capacità di prendere
decisioni.
Il management continua a rimanere l’arte del calcolo [Crozier, 1990], fondato su un
apprendimento di fenomeni umani qualitativi che rendono possibile dirigere tali entità. Il
calcolo richiede quindi una scommessa sulle capacità umane presenti e sull’apprendimento
possibile di nuovi comportamenti, che permetteranno di risolvere i problemi.
Occorre prendere consapevolezza che si lavora con un personale che non è passivo, è
quindi importante conoscere le risorse di cui si dispone, ma non per controllarle, ma per
permetterne un utilizzo più costruttivo nella relazione di cooperazione che con essi deve
essere sviluppata.
Invece di cercare di adattare a posteriori i mezzi umani agli obiettivi razionali scelti, si
devono scegliere quelli che permetteranno di sviluppare le risorse minimizzando i vincoli,
e bisognerà farlo non solo per sviluppare le capacità del personale, ma anche per instaurare
relazioni più efficaci.
In questa prospettiva, la conoscenza dei sistemi umani [Crozier, 1990] dovrà essere sempre
più associata alla riflessione strategica e diventerà la chiave per la nuova crescita
qualitativa delle organizzazioni.
I manager devono conoscere la dinamica del cambiamento e le difficoltà di attuazione nelle
loro organizzazioni. L’attuazione deve tener conto dei fattori psicologici, delle
conseguenze sulle persone, delle naturali resistenze al cambiamento e all’ignoto, delle
abitudini radicate e del trauma che comporta lo sconvolgimento del proprio senso di
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sicurezza. I piani di azione dovrebbero prevedere un eventuale “shock psicologico” e
comprendere precise misure per farvi fronte [Kami, 1989].
La conquista dell’elemento qualitativo è allora possibile solo attraverso un rinnovamento
del modo di ragionare, il valore aggiunto è nell’apertura dei problemi e nella presa di
coscienza dei dati che li condizionano a causa del numero sempre maggiore dei
partecipanti. Solo questi ultimi possono scoprire le opportunità nuove che permettono di
trarre vantaggio dai problemi, per trasformarsi. Il movimento, il cambiamento, il progresso
possono affermarsi solo grazie ad una trasformazione dei comportamenti.
Per concludere, appare opportuno indicare punti di forza e di debolezza del lavoro svolto e
indicare quali linee di indagine future potrebbero essere approfondite per analizzare il tema
in modo ancora più articolato.
Per quanto riguarda i punti di forza degli scenari costruiti, è il fatto di creare nuova
consapevolezza delle aspettative e dei comportamenti dei partecipanti alla ricerca.
Considerando il punto di vista di attori diversi, che operano comunque nello stesso settore,
il merito dello studio è quello di condividere diverse forme di expertise e diversi tipi di
conoscenze, allo scopo di superare prospettive ristrette e scontate del futuro, attivando
quindi nuovi modi di pensare, sulla scorta di quanto emerso dalle diverse “autorità” in
materia, nella speranza che si traducano in nuovi modi di agire e prendere decisioni.
I punti di debolezza possono essere rilevati nel fatto che tale ricerca non garantisce che
l’interpretazione della realtà sia univoca, ovvero la lettura dei fatti esposti può essere
considerata in modi differenti rispetto a quanto descritto. Infatti non posso dire che gli
scenari che ho costruito siano