vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ICHELSTAEDTER
7 Su questi temi hanno recentemente effettuato eccellenti studi M. P , Nadia, o della persuasione, e
AUDICE
soprattutto S. C , nel suo penetrante e originale romanzo saggistico dedicato interamente alla figura
AMPAILA
di Nadia: Il segreto di Nadia B. La musa di Michelstaedter tra scandalo e tragedia, Marsilio Editori, Venezia
2010. Su questi studi è in massima parte fondato il presente capitolo.
giovane, che si esprime in tedesco e in francese, e che ora vuole imparare
l’italiano. Gli incontri frequenti ed una spontanea reciproca simpatia fanno sì
che fra i due nasca un rapporto d’amicizia, fatto di confidenze umane e
intellettuali. Nadia è una bella donna, con una cultura superiore alla media; è
una persona vissuta, interessante, dallo sguardo vagamente triste di chi ha
fatto esperienza delle piccole e grandi delusioni della vita. Tutto ciò non manca
di suscitare fascino sul giovane Michelstaedter; egli si sente attratto dall’amica
e avanza delle richieste che Nadia, decisa a mantenere il loro rapporto sul
piano dell’amicizia, non accontenta.
Per Pasqua Carlo lascia Firenze per trascorrere le vacanze con la famiglia a
Gorizia. È proprio qui, immerso nella spensierata e serena atmosfera familiare,
che riceve l’inaspettata e sconvolgente notizia, l’11 aprile: Nadia è morta, si è
sparata. Raccontano che “a terra giaceva una donna, una giovane donna,
vestita di un abito di velluto nero, come a lutto, con una meravigliosa
capigliatura bionda sotto un appariscente cappello, avvolto da un velo di
amazzone. Aveva una mano guantata di nero, con l’altra mano, la destra,
impugnava un revolver ancora fumante. Con quell’arma si era sparata alla
8
bocca, da cui usciva un fiotto di sangue” .
Non sono molti i documenti che possano dare testimonianza di quegli eventi e
che permettano di ricostruire la loro relazione. Ma le lettere che il giovane
filosofo spediva alla famiglia sono molto eloquenti circa i sentimenti che
agitarono l’animo di Carlo in quel periodo:
Non so forse quest’anno ho lavorato poco, ma certo ho vissuto tante cose,
interne ed esterne, che mi sento aumentato, e perdio non lo dimenticherò
più questo 1907, questa conclusione dei miei 20 anni.
Così scrive alla famiglia nella lettera dell’11 maggio. La figura di Nadia non
abbandonerà più i suoi ricordi, fino a quando lei non diverrà uno dei suoi
interlocutori più intimi, nell’anno della piena consapevolezza: "La memoria è la
dimensione del loro incontro e del loro rapporto".
Carlo rispose cosi ai genitori, preoccupati per reazione del figlio alla morte
dell’amica:
8 S. C , op. cit., p. 13.
AMPAILA
Non vi rattristate per me. Sono più forte di quanto credete. A Firenze
lavorerò, sarò calmo e normale. E voi mi scriverete spesso.
Con queste parole egli cerca di tranquillizzare i genitori lontani, preoccupati
per il figlio, intuendone probabilmente l’intima fragilità. Ma nella lettera
immediatamente successiva, destinata alla sorella Paola, sua confidente di
sempre, scrive:
A Firenze trovai alla stazione ad attendermi tutti i miei amici ed altri
ancora, che mi fecero davvero bene con la loro accoglienza cordiale;
m’accompagnarono a casa e, fatta toilette, scendemmo insieme al caffè a
bere un latte. Ora ho messo tutte le cose a posto, gettato via una massa di
carte e cose inutili che forma un monte in mezzo alla camera. Avevo la
febbre della distruzione. Ed ora? Bisogna non pensare e non esaminare ma
andar subito a letto perché devo essere stanco anche se non mi sento così,
e domani lavorare come un mulo. Ho tempo di fare l’esame di storia. È dopo
il venti.
Parole apparentemente semplici, consuete, ordinarie; quasi la volontà di
ignorare per forza la realtà. C’è anche spazio allo sfogo di un attimo; ma è solo
un attimo, e dopo è necessario continuare a vivere.
Il senso delle cose, il sapore del mondo è solo pel continuare, esser nati
non è che voler continuare: gli uomini vivono per vivere: per non morire.
"La febbre della distruzione" impone ormai di porsi delle domande, un
interrogarsi che tuttavia Carlo rimanda, evita per ritornare alla vita di sempre,
perché l’esame di storia “è dopo il 20". Il suicidio dell’amica coglie il goriziano
del tutto impreparato, ed è proprio questa ignoranza ad alimentare in lui il
presentimento di una propria colpevolezza.
C’è il rimorso di non aver percepito, neanche immaginato, il profondo dolore
dell’amica, di non aver sentito forse una sua silenziosa richiesta d’aiuto. Nei
confronti di Nadia egli è stato cieco e sordo, proprio lui che avanzava pretese di
salire di grado nei suoi affetti, che si considerava un suo vicino ed intimo
amico, un confidente cui si apre il proprio cuore. La sua colpa sta in una
mancanza, nel non aver saputo capire, nel non aver saputo dare.
La morte dell’amica è l’affermazione di una loro lontananza, di una distanza
del sentire che Carlo non aveva mai immaginato. Voleva esserle vicino, ma già
la loro lontananza era incolmabile.
Il suicido dell’amica testimonia un’estraneità del goriziano al più intimo e
profondo sentire dell’amica, cui pensava di essere partecipe, e scopre un
freddo velo dalla loro amicizia; mette a nudo l’illusorietà del rapporto con
Nadia, svela agli occhi di Carlo tutta la sua inautenticità. Ecco allora come
condenserà questa tragica esperienza ne La persuasione e la rettorica:
Ognuno ignora se la sua affermazione coincida coll’affermazione dell’altro
o non invece gli tolga il futuro: - lo uccida: ognuno sa solo che questo è
buono per lui stesso, e usa dell’altro come di mezzo al proprio fine, come di
materia alla propria vita, mentre egli stesso in ciò è mezzo materiale alla
vita dell’altro. Così l’affermazione dell’individualità illusoria, che violenta le
cose in ciò che s’afferma senza persuasione, poiché le informa al proprio
fine illusorio come al fine dell’individuo assoluto che avesse in sé la ragione
– per il vicendevole bisogno prende l’apparenza dell’amore.
Il suicidio di Nadia svela a Carlo come il suo rapporto fosse dettato da un
cieco bisogno. Il suo sentire non era il sentire di lei, essa era come uno
specchio entro il quale Carlo cercava solo il riflesso della propria immagine;
lungi dal guardare veramente l’amica, egli vedeva solo se stesso. Egoismo e
cecità, niente di più.
Carlo presto convertirà il dolore per la perdita dell’amica in una attività
frenetica, in uno straordinario attivismo che non conosce soste, in una euforica
gioia di vivere.
Rivivevo le situazioni, guardavo nel vivere tutto e tutto è indissolubilmente
legato al ricordo di lei. Ho sofferto eppure non mi sono fatto male. Quanto
più sentivo le impressioni dolorose e tanto più sentivo elevare e aumentare
la personalità in un delirio d’energia. Mi fa l’effetto che tutto di Firenze mi
sia più caro, o che io abbia la facoltà d’amarla di più, e non solo Firenze ma
tutte le cose.
Tuttavia l’apparente euforia che ha preso possesso di Carlo lascia emergere,
seppur per un breve momento, uno strano disagio, un’angoscia opprimente.
Fra le occupazioni comuni, nella vita reale, fuori del sogno e lo stupore che
mi tenne questi giorni, sento più forte un vuoto materiale intorno a me e
qualunque cosa faccia o dica mi sembra senza il suo scopo immediato –
Sono stato oggi più tempo solo. Però è inutile che io mi scandagli.
Nelle lettere ai suoi familiari, Carlo nasconde a se stesso la sofferenza che
spesso compare improvvisa; rinvia quell’interrogativo, quel domandare
doloroso che la morte di Nadia aveva posto e si rifugia nella vita.
Ma sono solo brevi momenti di pausa in quello stato di gioia euforica che il
goriziano sta vivendo; vi è in lui una volontà di vivere intensamente, di fare la
vita mille volte sua. Iolanda, la donna del silenzio
Negli stessi giorni, le lettere del giovane goriziano testimoniano, come
conseguenza dell’euforia, lo svilupparsi di un’altra, diversa vicenda
sentimentale: conosce e si innamora di una studentessa calabrese, Iolanda de
Blasi, da cui questa volta è ricambiato.
Carlo conosce Iolanda De Blasi nel 1907 a Firenze; Iolanda frequenta come lui
l’istituto fiorentino e da subito nasce fra i due un’istintiva e reciproca simpatia.
È la prima volta che Michelstaedter s’innamora: egli si getta in questo rapporto
con grande entusiasmo tanto da progettare una futura vita insieme. Ma il suo
repentino progetto di fidanzamento viene bruscamente bloccato dai genitori,
forse stanchi dei continui ritardi e rinvii negli studi del figlio, e gli impongono dii
abbandonare il proposito per rivolgersi esclusivamente agli studi. Ma
soprattutto, a frenare Carlo in questa relazione sono i crescenti sensi di colpa
nei confronti dell’amica Nadia, morta suicida pochi mesi prima, che l’euforia
non era riuscita a cancellare. Carlo vivrà questo rapporto in perenne conflitto
con se stesso, fino a quando si allontanerà da Iolanda, ponendo fine col silenzio
al loro rapporto. Il dolore per questa seconda rinuncia è testimoniato dalla lirica
alla donna, Senti Iolanda come è triste il sole; ma soprattutto l’isolamento in
cui il filosofo abbandona la relazione con Iolanda traspare chiaramente da
alcuni passi dell’epistolario:
Voglio e potrò foggiarmi la vita come un’opera d’arte, sentire in ogni cosa
l’infinita bellezza della natura (nel senso più alto) e del primo motore – come
dice Leonardo da Vinci – e ritrarre da ogni visione ed ogni sentimento lieto o
triste un esaltamento della mia individualità e un aumento della mia vitalità,
e sfuggire alla necessità delle cose, idealizzandole, impadronendomene
idealmente.
Così scrive, con onestà, a Iolanda de Blasi. Il dolore per la morte di Nadia è
più vivo che mai; il ripensare a lei, il ricordo della loro travagliata amicizia
spalanca la porta a quel malessere che non lo aveva mai veramente
abbandonato. Lo stesso Carlo riconosce il carattere terribile delle sue lettere a
Iolanda:
Devo esserle sincero fino alla crudeltà. Non distrazioni e felicità cerco, ma
ricordo e sento il dolore di una ferita tanto recente. Quando le parlavo delle
parole di una morta, non parlavo per metafora. Ora sono solo a lottare e non
so l’esito.
La lotta che Carlo conduce