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Trattare la pratica corporea come effetto di cause semiotiche equivale a sminuire il corpo.
Il secondo problema è un corollario del primo. Nella misura in cui si definisce il corpo quale me-
dium di espressione o comunicazione, questo non è soltanto ridotto allo status di segno ma è an -
che reso l’oggetto di operazioni puramente mentali – risultando una scissione cartesiane tra sog-
getto conoscente e corpo inerte. Allo stesso tempo il soggetto, reso sinonimo di “società” o “corpo
sociale”, alla società è attribuito il ruolo di governare, utilizzare e caricare di significato i corpi fisici
degli individui.
Un terzo problema sorge da queste visioni dualistiche. In molti studi antropologici il corpo è vi-
sto come inerte, passivo, statico. Il corpo è mostrato o come mezzo naturale di incarnare le idee o
è smembrato in modo oche possa essere enumerato il valore simbolico delle sue parti nei discorsi
dei nativi. Sembra che vi sia carenza di studi su quello che si può definire il “corpo-soggetto”, di stu -
di sulle interazioni che avvengono all’interno dell’esistenza corporea, piuttosto che risultare da re-
gole meccaniche o programmazioni innate.
Il mio obiettivo è tratteggiare un approccio fenomenologico alla pratica corporea, sperando di
fare a meno del soggettivismo mostrando come l’esperienza umana sia fondata sul movimento cor-
poreo all’interno di un ambiente sociale e materiale, esaminano sul piano degli eventi l’interazione
tra schemi abituali di utilizzo del corpo e idee condivise sul mondo.
Nel 1970 nel nord della Sierra Leone ho potuto assistere
alle celebrazioni pubbliche associate ai riti di iniziazione fem-
minile dell’etnia kuranko.. Ogni notte guardavo le ragazzine
impegnate nelle aggraziate ed energiche danze che annuncia-
vano la fine della loro condizione di bambine. Le giornate era-
no ribollenti di attività: i visitatori si riversavano nel villaggio,
consultando gli indovini sul destino delle ragazze e facendo
sacrifici per evitare pericoli, facendo regali alle famiglie delle
ragazze che dovevano essere iniziate. Nel frattempo, quest’ul-
time giravano per il villaggio con suonatori di tamburo. Al cre-
puscolo del giorno prima dell’iniziazione le ragazze furono
portate al fiume da donne più anziane per essere lavate e ve-
stite con lunghi abiti bianchi. Quella notte la
passarono recluse in un’apposita dimora. Al mattino furono accompagnate nella boscaglia per es-
sere preparate al rituale e lì rimasero per tre settimane, in cui ricevettero dalle anziane istruzioni si
questioni domestiche, sessuali e morali e aspettando che guarissero le ferite della clitoridectomia.
Il giorno prima dell’iniziazione aveva osservato gruppi di performer, soprattutto femminili. Una ra-
gazza stava immobile mentre un’altra, con cappello e veste maschili, portando un coltello con l’im-
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pugnatura verso il basso, teneva un tampone di tessuto schiacciato in bocca. Quando lei e le
compagne si spostavano bambini imitavano una figura cinta d’erba, uno “scimpanzé” che cadeva
per essere resuscitato dal suono dei tamburi. Poi, fra le danzatrici si esibì una donna vestita da
uomo, imitandone i movimenti maldestri durante la danza con aria impassibile: le compagne ride-
vano mentre battevano le mani e cantavano. Altre donne compirono la stessa danza.
Dopo le tre settimane vi furono altre danze: l’imitazione degli uomini era motivo ricorrente.
Ogni volta il mio assistente rispondeva alle mie domande che i danzatori contribuivano semplice-
mente al clima festivo. Né i nomi dei danzatori né i ritornelli cantati mi davano informazioni sulle
esibizioni. Sul mio taccuino appuntavo indizi che mi svelassero significati nascosti. Anni più tardi,
pubblicando il resoconto delle iniziazioni, cercando nelle esibizioni un carattere rituali, affermai
che queste potevano essere viste come un mito messo in scena, piuttosto che espresso con parole:
con il senno di poi, mi resi conto dell’assurdità di questa procedura analitica. Ma al tempo non riu-
scivo ad accettare che le performance fossero fatte solo per divertimento, o che non vi fossero dei
“significati”. Nella misura in cui queste azioni rituali hanno senso per i Kuranko nell’esperienza im-
mediata, non pretendo di essere nei termini di una teoria sistematica della conoscenza, chi siamo
per negare ciò e fare domande inappropriate su cosa sia vero? Non ho mai pensato di chiedere ai
coltivatori Kuranko perché zappassero la terra, o interrogato le donne sul significato di accendere il
fuoco. Nel mio approccio stavo chiaramente applicando una distinzione (tra lavoro pragmatico e
attività rituale) che i Kuranko non riconoscono. Quello che propongo di fare è lavorare a partire da
un resoconto di come si presentano queste performance imitative verso un resoconto di cosa signi-
ficano e perché si svolgono, senza alcun riferimento a precetti, regole o simboli.
Partiamo da una considerazione di Boas: «Qual è la relazione tra movimenti caratteristici di una
danza, e i gesti e le posture di tutti i giorni tipiche del popolo che la esegue?». Ogni elemento cor-
poreo delle danze dei Kuranko può essere rintracciato nella vita sociale: le inquietanti imitazioni
del comportamento maschile da parte delle donne sono mischiate a elementi che sono “prestiti”
dai rituali funebri, ma vi sono elementi che rimandano alla boscaglia come lo scimpanzé. Si posso-
no riconoscere le seguenti trasposizioni dal campo maschile al femminile, dai riti funebri a quelli di
iniziazione, dalla boscaglia al villaggio. Bisogna osservare che le imitazioni sono fatte da donne non
collegate alle novizie: non si possono spiegare in termini di coinvolgimento individuale. Gli schemi
d’uso del corpo sono in un certo senso neutrali, trasponibili da un settore a un altro. Il carattere re -
golare di queste pratiche non è necessariamente risultato dell’obbedienza a regole consce, piutto-
sto una conseguenza del modo in cui i corpi sono plasmati da abitudini inculcate da un ambiente
condiviso e articolate in movenze che, secondo le parole di Bourdieu sono espressioni «collettiva-
mente orchestrate senza essere il prodotto dell’azione organizzatrice di un direttore d’orchestra».
Queste disposizioni durature sorgono in un ambiente di attività pratiche quotidiane che Bourdieu
chiama habitus. Le forme di uso del copro sono condizione dalle nostre relazioni con gli altri: pro-
prio come il mondo in cui disposizioni corporee considerate “maschili” o “femminili” sono incorag-
giate e rinforzate in noi come schemi mutuamente esclusivi. Secondo questa prospettiva, le presta-
zioni collettive sono sempre correlate a schemi di uso corporeo generati all’interno dell’habitus.
Tuttavia, le relazioni abituali tra idee e pratiche corporee possono essere interrotte, pensiamo alle
tecniche di rilassamento o all’effetto della depressione. Qui mi interessa soprattutto lo sconvolgi-
mento dell’ambiente, e il modo in cui questo innesca cambiamenti nelle disposizioni corporee e
mentali.
L’iniziazione kuranko è uno sconvolgimento nell’habitus, che mette in moto modificazioni socia-
li e personali: ciò si esprime con il ribaltamento delle tradizioni manifestazioni maschili e femminili.
Ciò permette alle persone possibilità di comportamento che portano incarnate ma non normal-
mente non esprimono: credo che sia grazie alle forze di queste possibilità che le persone controlla-
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no e ricreano il loro mondo e habitus.
Quindi, cosa sono queste possibilità incarnate tuttavia latenti, messe in pratica durante le inizia-
zioni? Alcune, come gli atteggiamenti di dolore, sono filogenetici. Altri suggeriscono un elemento
ipnotico. Quanto alle basi dell’imitazione sessuale, è importante notare che i bambini kuranko
sono liberi di scorrazzare per il villaggio senza divisioni fra settore maschile e femminile. I bambini
prepuberi sono sessualmente indeterminati, “sporchi” come li definiscono i Kuranko. L’habitus tra-
sformato durante l’iniziazione riattiva gli stili di comportamento opposti tra i sessi, iscritti profon -
damente nell’inconscio somatico. Perché queste possibilità sono socialmente messe in atto, pub-
blicamente interpretate? Bisogna considerare la trasposizione di pratiche corporee da settore a
settore. Come la mimesi naturale ha valore di sopravvivenza per una specie, si può supporre che la
sopravvivenza della società kuranko dipenda dalla reazione di adulti responsabili attraverso ordalie
iniziatiche. Creare adulti richiede l’impiego coordinato di informazioni da tutto l’ambiente. Possia-
mo postulare che il rito di iniziazione massimizzi le informazioni disponili nell’ambiente complessi-
vo per svolgere il suo compito: creare adulti, ricreando l’ordine sociale. Questo processo non coin-
volgere necessariamente del sapere verbale, concettuale: possiamo dire che le persone sono pla-
smate e plasmano un habitus che solo un osservatore esterno prende per oggetto di conoscenza.
Nella mimesi ogni individuo ricrea il mondo, a partire da elementi che ordinariamente non gli sono
considerati appropriati. Tuttavia, curiosamente il principio della complementarietà dei sessi può
sopravvivere solo se uomini e donne kuranko ri-conoscono l’altro in se stessi e se stessi nell’altro.
Quanto al perché sia lo stesso ordine sociale che viene ricreato in continuazione, ricordiamo che
l’habitus kuranko limita il comportamento. La libertà è realizzazione e sperimentazione del proprio
potenziale all’interno di questo universo dato, non oltre esso.
Passiamo ora a considerare un secondo genere di trasposizione, in cui gli schemi di uso corpo-
reo suscitano immagini mentali e inculcano qualità morali. La mia tesi è che i particolari usi del co -
pro durante l’iniziazione generano immagine nella mente la cui forma è determinata dello schema
d’uso corporeo. Nella iniziazione maschile, ad esempio, il valore della moderazione è inculcato at-
traverso tabù che vietano di chiedere o nominare il cibo nella capanna dell’iniziazione. Ciò che vie-
ne fatto con il corpo è quindi la base per ciò che viene detto e pensato: potremmo dire che le prati-
che corporee mediano al realizzazione personale di valori sociali. Ciò è coerente con la tendenza
africana ad attuare la comprensione tramite tecniche corporee. L’azione rituale riconosce superio-
rità alle tecniche del corpo perché i movimenti possono a fare più di ciò che le parole possono dire.
Le tecniche del corpo possono essere accostate a quelle musicali, dato che entrambe portano dal
mondo quotidiano delle distinzioni