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Il nuovo protagonismo studentesco
Pajetta a lodare su Rinascita i suoi ragazzi che avevano combattuto contro fascisti e rettori reazionari – oppure, come nel caso di Torino, dando parzialmente appoggio alle ragioni degli studenti contro un insegnamento dell'architettura arcaico e arretrato. Ma l'animo del A. Höbel, Il Pci di Longo e il '68 studentesco, cit., p. 420. Ivi, p. 430. G. Crainz, Il paese mancato, cit., p. 224. Cfr. Ivi, p. 213. Cfr. Ivi, p. 211. 41 nuovo protagonismo studentesco, ancora in incubazione in quel periodo, si fece sempre più strada dentro le università arrivando a contendersi – in alcuni casi quasi annullandolo – il lavoro di rappresentanza che apparteneva da tempo ai sindacati studenteschi ufficiali. Pisa fu probabilmente il primo ateneo che presentò le caratteristiche tipiche della contestazione sessantottina: anche qui da anni si consumava lo scontro che infiammava le vie del centro tra comunisti e fascisti, ma, parallelamente,si andava costituendo un movimento studentesco fortemente politicizzato con gruppi dalle ideologie marcatamente operaie e filocinesi come quello che si riunì intorno a Potere operaio (pisano) di Adriano Sofri. Il momento chiave fu l'8 febbraio 1967 con l'occupazione del Palazzo della Sapienza da parte di circa settanta studenti in risposta alla conferenza dei rettori prevista per quei giorni nella città toscana, ma senza il consenso dell'Oriup (l'organo rappresentativo studentesco) che organizzò il 10 un corteo "con l'intento di dare voce alla maggioranza silenziosa che [...] dissentiva con la "manovra estremista" in corso", nel quale confluirono anche i neofascisti del Fuan, e che sfociò in un vero e proprio assedio al palazzo occupato. Il tutto poi si concluderà l'11 con lo sgombero della polizia ordinato dal rettore. Di particolare interesse fu l'elaborazione, nei giorni dell'occupazione,Delle famose Tesi della Sapienza, un documento nel quale gli studenti teorizzarono la loro concezione dell'università come fase preliminare dell'uso capitalistico della forza lavoro, contro cui bisognava dotarsi di una nuova rappresentanza adeguata alla loro condizione, che difatti si configurava al pari di quella operaia. Ne conseguiva che "la controparte del movimento studentesco non erano tanto i rettori [...] quanto piuttosto 'la classe dominante' nel suo complesso". Una tappa fondamentale dunque del Sessantotto italiano: un primo atto ufficiale in cui gli studenti esposero il loro "rifiuto del parlamentarismo studentesco e della rappresentanza partitica, ai quali veniva contrapposta l'adozione di un' integrale democrazia assembleare", che fu infatti - almeno negli intenti - ciò che cercarono di creare i ragazzi italiani durante le occupazioni. Soprattutto, il documento ebbe un ruolo chiave.
nell'orientare quella componente del movimento che poneva la classe operaia al centro del processo rivoluzionario, sostentendo pertanto la necessità di creare "collegamenti organici" tra movimento e operai.123
A. Breccia, La conflittualità studentesca all'alba del lungo Sessantotto. Pisa 1967-1968, in "Annali di Storia delle università italiane", no. 2, 2016, p. 163.124
M. Tolomelli, L'Italia dei movimenti, cit., p. 105.125
A. Breccia, La conflittualità studentesca all'alba del lungo Sessantotto, cit., p. 220.126
Cfr. M. Tolomelli, Luce sul Sessantotto, cit. 42
Sui principali quotidiani nazionali i fatti di Pisa furono trattati ma non ricevettero uno spazio dedicato ed esclusivo, ricondotti piuttosto nel generale momento di protesta che stava coinvolgendo numerose scuole e città italiane: studenti ed anche professori contro la riforma Gui - che in quei giorni si stava discutendo in parlamento - ai
quali l'Unità diede immediato appoggio dedicandovi ampio spazio nelle proprie pagine, mentre il Corriere della Sera si mostrò contrario verso le intemperanze degli studenti pur non lesinando critiche a "riforme timide e parziali, già superate prima ancora di essere votate". Nel corso dei mesi la mobilitazione internazionale per il Vietnam giunse anche in Italia esfociò nella manifestazione nazionale del 23 aprile a Firenze – questa volta con la collaborazione tra organizzazioni ufficiali e gruppi informali di studenti – con gli interventi, tra i tanti, di Lelio Basso, importante esponente del Psiup, del poeta Franco Fortini e di due studenti greci che accostarono il Vietnam al golpe nel loro paese. La giornata terminò con violenti scontri in centro, a testimonianza della crescente ideologia, tra i gruppi più radicali, sul predominio dell'azione al dibattito puramente ideologico, una spinta sicuramente influenzata.dal guevarismo in forte ascesa in quel periodo. Sempre nella primavera del '67, a Trento, gli studenti di sociologia, partendo da una posizione teorica vicina alla "nuova sinistra" e influenzata particolarmente dall'approccio critico al marxismo della Scuola di Francoforte dei vari Adorno e Marcuse – tradizionalmente molto vicina anche per affinità linguistiche – si distinsero, come quelli di Pisa, per l'elaborazione di un documento che andò a teorizzare quelle che erano le loro riflessioni sul ruolo del sociologo e, più in generale, sulla "funzione dell'intellettuale nella concreta (e contradditoria) 'società del benessere di quegli anni'". Il Manifesto per un'università negativa – che si diffuse in giugno – attribuiva all'università il compito di produrre una scienza che "doveva essere il punto di partenza per lo sviluppo di una efficace strategia di".trasformazione all'interno di società industriali avanzate", ossia slegarsi dai rapporti con il capitalismo e la politica per creare un sapere opposto – "negativo" – "in grado di promuovere lo sviluppo di un pensiero critico attraverso cui contrastare e infrangere l'ideologia dominante". Se le Tesi di Pisa rimandavano ai più classici schemi della lotta proletaria e il Manifesto di G. Martinoli, Tradotta in numeri la crisi dell'università, in "Corriere della Sera", 8 febbraio 1967. G. Crainz, Il paese mancato, cit., p. 212. M. Tolomelli, L'Italia dei movimenti, cit., p. 105. Ibidem 43 Trento poneva l'accento – nel contesto di una scienza "nuova" carica di forti suggestioni – su una lotta intellettuale contro la cultura capitalistica, entrambe riconoscevano con forza il ruolo e l'importanza degli studenti come classe sociale, auspicandone
Un'azione diretta è necessaria nella società. Si può quindi affermare che alla metà del 1967 il movimento studentesco "aveva posto le fondamenta della sua identità collettiva appropriandosi progressivamente del discorso imperialista, orientandolo verso le posizioni della 'nuova sinistra'", similmente al discorso anticapitalista che dal teorico passò al pratico l'anno successivo nell'incontro con gli operai che avvenne soprattutto nei contesti del Nord Italia, ricevendo un'ulteriore spinta dall'esempio del Maggio francese. Un movimento dunque già "pronto" per il Sessantotto, con le prime grandi occupazioni di Milano e Torino che cominciarono all'inizio del nuovo anno accademico, ma anche già sulla strada dell'inasprimento ideologico e dell'uso della forza che si manifestarono particolarmente in febbraio durante l'occupazione della Sapienza.
4. Inizia il
Sessantotto
A novembre iniziò di fatto il Sessantotto italiano, con una svolta nelle tensioni studentesche che esplosero nelle grandi occupazioni di Milano, Torino e Trento, cui seguiranno in pochi mesi quelle di Pisa, Padova, Roma e via via di tutti gli atenei italiani, uniti dalla parola d'ordine "potere studentesco". Ad accendere la miccia furono i ben noti problemi gestionali dell'Università italiana, che, specie nelle grandi città a largo bacino d'utenza, acquisivano un peso insostenibile.
Fu infatti l'aumento del 50% delle tasse a far decidere, il 17 novembre, ad un'assemblea di più di mille studenti l'occupazione dell'Università Cattolica di Milano. Il malcontento si allargò presto verso il rapporto con le gerarchie accademiche cattoliche e sul controllo ideologico che esse esercitavano sull'istruzione. Il movimento - che aveva i suoi leader in Mario Capanna e Luciano Pero - fu
infatti definito, in un documento degli assistenti,«caratterizzato da un alto impegno morale, civile, cristiano» , inserendosi nel fermento mondiale alimentato dal Concilio Vaticano II e, nel contesto italiano, in «una fase storica131 Ivi, p. 115.132 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato, cit., p. 225. 44 133nella quale si andavano accentuando i caratteri sempre meno pervasivi di una cultura»cattolica a lungo dominante, con interessanti esperimenti come la già citata Scuola di Barbiana di don Milani o l'opera al quartiere Isolotto di Firenze di don Mazzi.
Milano era inoltre stata protagonista dell'esperienza di Gioventù Studentesca, promossa dal '53 da don Luigi Giussani – al tempo insegnante di religione al liceo Berchet – che seppe dare a molti giovani una comunità in cui ritrovarsi e quindi «un'identità totale, assolutamente134 distinta, contrapposta a quella adulta» , rovesciando il rapporto
con i partiti in un rifiuto totale e in un complessivo distacco da una visione laica della politica e della società. Gioventù Studentesca – da cui nascerà anni dopo Comunione e Liberazione – acquistò un peso crescente nelle scuole superiori, raggiungendo nel '65 un massimo di circa diecimila 135 aderenti, e si distinse per diverse innovazioni rispetto ad altre realtà giovanili cattoliche quali la condivisione tra i due sessi, il "raggio" – uno scambio di esperienze tra studenti riuniti in gruppo – e numerose attività culturali tra cui il giornale Milano Studenti. Un esempio che consente una breve digressione sull'attivismo culturale di molti licei italiani – oltre che sulla reazionaria società italiana –, come fu, sempre a Milano, il liceo Parini che, nel febbraio 1966, pubblicò sul giornale studentesco La Zanzara un'inchiesta sulla posizione delle ragazze nella società.
i politici durante un'intervista televisiva. Le loro affermazioni sono state giudicate offensive e irresponsabili da parte dell'opinione pubblica. La discussione si è accesa sui social media, con molti utenti che hanno espresso la loro indignazione e hanno chiesto le dimissioni dei politici coinvolti. La vicenda ha suscitato un dibattito nazionale sul ruolo dei politici e sulla necessità di una maggiore responsabilità e rispetto nel linguaggio utilizzato in pubblico.