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Le Copper-Plate Sliders (che, non a caso, Carpenter vende con gli appositi
manuali di commento ai vetri) e la Phantasmagoria Lantern contribuiscono a fare
della lanterna magica uno strumento insieme educativo e ricreativo, diffuso in
proporzioni senza precedenti ed economicamente accessibile a tutti.
Le lanterne magiche fanno uso di “effetti speciali” (fig. 1.11). Fu adoperata in
particolare l’animazione: si basava inizialmente sul semplice avanzamento
progressivo delle immagini dipinte su lunghe lastre a banda, descritte e illustrate
dalla trattatistica, da Kircher a tutto il Seicento. Il soggetto poteva essere
rappresentato come scena continua, occupando tutta la superficie della lastra,
oppure come successione di figure isolate, correlate tematicamente: ciò dava
origine a due diverse modalità di proiezione: nel primo caso la lastra veniva fatta
scorrere lentamente senza interruzione, nel secondo, invece, il lanternista si
soffermava su ogni immagine per un breve intervallo di tempo. I vetri a banda
continuarono a essere costruiti fino al 1860 circa per poi essere relegati
nell’ambito della produzione per l’infanzia.
Anche le immagini fisse, spesso veri capolavori di pittura su vetro eseguiti da
maestri miniaturisti spesso anonimi, erano animate attraverso spettacolari effetti
di dissolvenza, presentati probabilmente per la prima volta a Londra da Henri
Donata Pesenti Campagnoni, Quando il cinema non c’era, storie di mirabili visioni, illusioni
1
ottiche e fotografie animate, Torino, UTET Università, 2007, p. 96. Citazione tratta da
Carpenter, Elements of Zoology, p. 1.
Ibid.
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Langdon Childe (1782 – 1874) alla fine degli anni Trenta. La nuova tecnica si
basa sull’uso combinato di due o più lanterne affiancate che proiettano, sul
medesimo punto dello schermo, la graduale apparizione di un’immagine
sovrapposta a quella precedente che, a poco a poco, scompare. A tal fine sono
realizzati appositi vetri da proiezione – le Dissolving Views - una serie di due o
più vetri su cui sono riprodotti soggetti complementari. Sono inoltre adoperati
particolari otturatori, diffusi in modelli diversi (a “pettine”, a “occhio di gatto”,
ecc.) che consentono di coprire gradualmente l’obiettivo della prima lanterna e,
contemporaneamente, di scoprire quello della seconda. Grazie a questo gioco di
alternanza, i soggetti si dissolvono uno nell’altro. Nel giro di pochi anni, le due
lanterne affiancate sono sostituite da un apparecchio a corpo unico dotato di due
obiettivi (lanterna bi-unial) o tre obiettivi (lanterna tri-unial) ideato in seguito
1
alla diffusione delle limelight .
A conclusione di questo breve percorso sull’evoluzione tecnica della lanterna
magica, è opportuno segnalare la lanterna fotogenica, il migliore proiettore
dell’Ottocento, messa a punto nel 1850 dal’ottico francese Louis-Jules Duboscq.
Grazie all’utilizzo di un potente sistema d’illuminazione (una lampada ad arco
con regolatore elettrico Foucalt) l’apparecchio è in grado di proiettare
innumerevoli fenomeni ottici, preparati microscopici, immagini di carte
geografiche e molti altri soggetti. Oltre a creare nuove modalità visive, questo
filone fornisce l’impressionante documentazione delle drammatiche condizioni
sociali, della mentalità e dei valori di un’epoca.
Le interessanti connessioni con il primo cinema non si fermano al piano tecnico
delle modalità di rappresentazione, ma investono anche largamente quello dei
contenuti tematici e delle finalità. Negli studi adibiti alle riprese fotografiche
anonimi attori iniziarono le loro carriere, per poi finire non di rado sul set delle
prime pellicole cinematografiche.
Altri due importanti componenti della famiglia di strumenti antenati del cinema
sono i panorama e i moving panoramas.
1 limelight - (letteralmente “luce di calce”) fonte luminosa molto intensa generata dalla
combustione di una miscela di idrogeno e ossigeno che colpisce un cilindretto di calce viva.
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1.4 Il panorama
Nel 1787 Robert Barker, pittore irlandese di paesaggi e ritratti, brevetta una
tecnica per la costruzione di un dipinto esteso a 360° chiamato Nature ù coup
d’oeil e, in seguito, panorama (figg. 1.12, 1.13) L’immensa veduta deve essere
osservata collocandosi in un punto idealmente equiparabile a quello panoramico
scelto dal pittore e, al fine di assicurare l’effetto d’illusione, la tela è allestita in un
edificio appositamente progettato: una rotonda per panorama con una piattaforma
sopraelevata posta al centro alla quale si accede mediante una scala; la piattaforma
è inoltre racchiusa da una balaustra che garantisce la giusta distanza di visione.
Per rappresentare un’immagine il più possibile coincidente con la realtà “il pittore
o il disegnatore”, spiega Barker, “deve fissare la sua posizione di partenza e
delineare in modo corretto e coerente tutti gli oggetti che gli appaiono alla vista,
mentre gira su se stesso; il disegno va terminato nel punto esatto da cui si è
1
partiti” . Si ottiene così una serie di vedute realizzate con l’ausilio di strumenti
2
ottici come il prospettografo o la camera oscura che, grazie alla precisione
dell’immagine riprodotta, si rivelano utili sussidi per il disegno dal vero; negli
anni successivi, diventerà inoltre abituale avvalersi della fotografia, riconosciuta
come la tecnica più idonea per realizzare gli studi preparatori e i rilievi topografici
necessari alla composizione delle tavole. Terminato il disegno, le singole tavole
sono montate una di seguito all’altra in modo da costituire un’unica veduta
circolare, il panorama.
Contemporaneamente a Barker, lo scenografo tedesco Johann Adam Breysing
crea un progetto destinato alle sale da ballo e da concerto circolari: un dipinto
panoramico da realizzare sulle pareti interne che raffigura scene all’aria aperta,
preferibilmente giardini, rappresentate secondo un punto di vista centrale. Per
indurre nello spettatore la sensazione di trovarsi all’aperto, non vi sono finestre e
le porte d’ingresso sono collocate in corrispondenza di padiglioni raffigurati sui
muri; cosicché, entrando, si ha l’impressione di accedere a un giardino.
1 Donata Pesenti Campagnoni, Quando il cinema non c’era, storie di mirabili visioni, illusioni
ottiche e fotografie animate, Torino, UTET Università, 2007, p. 214.
2 Prospettografo - un meccanismo per la riproduzione prospettica di figure tridimensionali su un
piano che permette di copiare su una lastra trasparente quello che si vede da un buco.
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A differenza del panorama di Barker, nel progetto di Breysing architettura e
dipinto sono un tutt’uno perché i soggetti proposti non sono intercambiabili ma
realizzati direttamente sulle pareti.
1.5 I moving panoramas
Il successo del panorama determina all’inizio del XIX secolo la messa a punto di
altri spettacoli, conosciuti con il termine generico di moving panoramas (fig.
1.14). Essi si basano sulla messa in scena non statica ma dinamica di una serie di
immagini pittoriche, offrendo allo spettatore la possibilità di compiere veri e
propri viaggi visivi. A differenza del panorama, infatti, non si esibisce
un’immagine circolare fissa ma una sequenza di vedute che simulano il
susseguirsi di differenti paesaggi così come appaiono ai passeggeri dal finestrino
di una carrozza o da un battello. Per ottenere questo risultato le vedute sono
dipinte su un’unica lunga banda di tela che è fatta scorrere intorno a due rulli
collocati alle estremità del proscenio che inquadra le immagini.
I moving panoramas nascono contemporaneamente in Inghilterra, Germania e
Francia come semplici elementi scenografici ma, in un breve lasso di tempo, si
trasformano in spettacoli compiuti. In particolare, raggiungono grande popolarità
negli Stati Uniti, dove vengono allestiti nelle fiere, nei teatri, in semplici sale
parrocchiali o addirittura lungo la riva di un fiume. Uno dei più noti è il moving
panorama dedicato al viaggio sulle rive dell’Hudson messo in scena a St. Louis,
nel 1848, da John Adams Hudson. Altrettanto celebre è il moving panorama del
Mississippi realizzato da John Banvard nel 1846 e costituito da una tela, lunga
oltre quattrocento metri, su cui sono raffigurate trentanove scene che, nel corso
del tempo, saranno raddoppiate.
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1.6 I giocattoli filosofici, lo stereoscopio
Nell’800 abbiamo la diffusione dei cosiddetti “giocattoli filosofici”. Questi
dispositivi creano illusioni che non hanno alcun legame con la pratica spettacolare
delle precedenti esperienze ottiche, perché la loro natura è scientifica, la finalità
pedagogica. Sono “giocattoli filosofici” che nascono dall’accresciuto interesse per
i meccanismi della visione e garantiscono allo stesso tempo la possibilità di
divert