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OCSE).

Il programma legislativo di compliance ad oggi esistente è soltanto il D.Lgs. 8 dicembre

2001, n. 231, che tuttavia non prevede la prevenzione di alcuna fattispecie di illecito

tributario.

In tema di gestione del rischio fiscale, è pertanto recentemente intervenuta la Legge Delega

del 2014, che ordina in proposito di adottare «sistemi aziendali strutturati di gestione e di

controllo del rischio fiscale con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del

complessivo sistema dei controlli interni».

Per il momento, però, si fa ancora riferimento a quanto disposto dall’Agenzia delle Entrate

nel documento “Regime di adempimento collaborativo”, pubblicato in occasione

dell’inaugurazione del “Progetto Pilota” in tema di cooperative compliance nel mese di

giugno 2013. Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate ha richiesto la preventiva adozione da

parte degli operatori economici di un modello di organizzazione e di gestione, di cui

all’articolo 6 del D. Lgs. 231/2001, declinato nelle forme di un sistema per la gestione e il

52

controllo del rischio fiscale (di fatto, un “Tax Control Framework”) .

Sul tema è pure intervenuta l’OCSE nel 2013 con il report “Co-operative Compliance: a

Framework”, al fine di fornire linee guida per implementare un modello di “cooperative

compliance”, che potesse ristabilire un buon grado di fiducia nel rapporto tra business

community e autorità fiscali. Per il successo di tale rapporto – si sottolinea – è essenziale la

presenza di solide strutture aziendali a garanzia dell’affidabilità e della veridicità delle

                                                                                                                       

52 ERNST & YOUNG, Il Rischio Fiscale ed il regime di adempimento collaborativo – Utilizzo di sistemi aziendali

strutturati di gestione e controllo del “rischio fiscale”, 2013

  62  

dichiarazioni fiscali, nonché della volontà del contribuente di essere trasparente circa le

proprie condotte fiscali.

Il dibattito è tuttora acceso, però, in merito ai criteri che l’Amministrazione finanziaria

utilizza per configurare la struttura più adatta a prevenire i rischi fiscali di un’attività

economica. Si consideri pure l’incidenza che le differenze naturalmente presenti tra settori e

mercati di attività potrebbero avere sull’efficacia di tali strutture. Chi in tal caso vigila sulla

correttezza della valutazione effettuata dall’autorità fiscale?

A fronte di tali dubbi, la “cooperative compliance” ricopre un ruolo non rilevante nel

panorama delle misure di contrasto alle condotte illecite localizzate nei “tax haven”. La sua

efficacia pare ancora troppo debole.

1.2.6. Democrazia, morale e conoscenza: un modello per i governatori

Nella “guerra fredda” tra i governi e le amministrazioni fiscali, da un lato, e i Paesi emergenti

e le multinazionali, dall’altro, gli strumenti prediletti sono fino ad oggi l’inganno e i giochi di

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potere , strategia che ci riporta al pensiero di Machiavelli, racchiuso nel noto aforisma "... e

nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si

guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno

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sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati” . In base a tale principio qualsiasi azione

sarebbe giustificata, anche se in contrasto con le leggi della morale, volendo significare che

allo scopo di vincere e mantenere saldo il potere e l’ordine in uno Stato è necessario talvolta

venir meno alle legge dell’etica, lasciandosi attrarre in azioni un poco immorali.

I progetti dei governi e delle amministrazioni fiscali nel contrasto alle pratiche fiscali illecite

hanno dimostrato finora poca efficacia, poiché, sottolinea l’autore del contributo in

commento, le loro iniziative mancano di sufficiente legittimazione democratica direttamente

concessa dal popolo (che, in tal caso, comprenderebbe la popolazione di numerosi Paesi non

solo di Europa, ma anche del resto del mondo). In alternativa all’approccio machiavellico, si

propone il punto di vista di Habermas, filosofo, storico e sociologo tedesco, annoverato tra i

promotori della cosiddetta democrazia deliberativa nella sua opera di taglio giuridico

                                                                                                                       

53 Pensiero illustrato nell’articolo P. ESSERS, International Tax Justice between Machiavelli and Habermas, in Bulletin for

International Taxation (IBFD), febbraio 2014, p. 54 ss.

54 N. Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII

  63  

55

“Faktizität und Geltung” (1992). Il concetto sta ad indicare una forma di governo in cui la

volontà del popolo sia direttamente espressa dal popolo stesso durante sedute assembleari,

alle quali possa partecipare ogni singolo cittadino, previamente informato da esperti riguardo

al problema in discussione, e nelle quali i cittadini possano discutere tra di loro, difendendo le

proprie posizioni.

Nella realtà, occorre certamente ricorrere ad una via intermedia di formazione del consenso

tra la prassi attuale di ispirazione machiavelliana e l’astratta ipotesi di una democrazia diretta

e massimamente trasparente che sorge dalla fantasia di Habermas. Ciò che si auspica è,

quindi, l’attuazione di riforme democratiche basate su un dialogo razionale e trasparente tra

le parti coinvolte nel dibattito sulla International Tax Justice, che condurrebbe a soluzioni più

efficaci, anche e soprattutto nel lungo termine. Passi in tali direzione sono stati compiuti dalle

istituzioni europee, in seno alle quali, come percepito da quanto sopra illustrato, prevalgono

iniziative, che sposano l’idea di “democrazia deliberativa”.

Per un procedimento realmente democratico, per di più, è necessario un buon equilibrio tra

ragione e sentimento anche in seno alle istituzioni nazionali. Pur se portavoce del pubblico

malcontento, dopotutto, i politici e i legislatori si dimostrano responsabili solamente se

praticano una politica assennata, che dia maggiore ascolto alla razionalità che alle emozioni.

Al contrario, il più delle volte essi sottolineano l’aspetto più grave del comportamento

evasivo, l’immoralità, prima ancora della sua illegalità. Il fatto che traggano ispirazione da un

astratto principio immanente di moralità umana, non rende il pensiero dei governanti così

lungimirante quanto può apparire, poiché occorrono fatti e non parole per rispondere ai

bisogni dei cittadini. Tra questi primeggia certamente il diritto alla giustizia sociale ed

economica, la cui tutela può essere garantita soltanto da leggi tributarie tempestivamente

implementate e rispettate parimenti da tutta la comunità di contribuenti.

Non sorprende allora che oggigiorno i cittadini si sentano frustrati di fronte a leggi fiscali

nebulose e incoerenti, languenti in un’attesa infinita di chiarimenti di prassi, e che si

ritengano pure ingiustamente afflitti da un’imposizione fiscale elevata. Il groviglio di norme

tributarie e l’ingiustizia sociale rivelano chiaramente che molti politici non possiedono

sufficienti conoscenze e razionalità per affrontare tematiche così delicate – come quella

                                                                                                                       

55 Tale espressione è presente per esteso per la prima volta in un saggio moderno di Joseph Bessette dal titolo “Deliberative

democracy. The Majority Principle in Repubblican Government”, pubblicato dall’American Enterprise Insitute nel 1980

all’interno della raccolta di saggi dal titolo “How Democratic is the Costitution?”.

  64  

fiscale – al di fuori dei soliti schemi da campagna elettorale, che Giovenale amava definire

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con l’espressione “panem et circenses” .

Nel miraggio di tempestive ed incisive riforme degli attuali sistemi tributari, si auspica

57

l’intervento multidisciplinare – economico, finanziario e tributario – di esperti e

accademici, direttamente in seno alle commissioni in cui prendono vita i testi di legge fiscale.

Sarebbe un primo essenziale passo verso uno stato del mondo similmente rispondente

all’ideale di International Tax Justice.

1.3. La tecnica dell’esterovestizione societaria

1.3.1. La scelta di internazionalizzazione delle imprese

“Metaforicamente, ogni soggetto economico può essere efficacemente paragonato a una

“pianta” con radici in un determinato Paese (la sede), la quale ha due alternative per

espandersi all’estero: allungare i propri rami oppure, alternativamente, gettare “i semi” per

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la crescita di una nuova “pianta” oltre confine.” .

Lo sviluppo delle politiche commerciali internazionali – e, in generale, ogni opportunità di

crescita di una società – comporta la necessità di effettuare un’oculata e precisa scelta

strategica tra le possibili forme di internazionalizzazione economica, ossia le strutture

attraverso cui un soggetto può penetrare un mercato straniero: la costituzione di una branch,

ovvero un’autonoma subsidiary. In special modo, i gruppi di imprese a carattere

multinazionale, compresi quelli di piccole – medie dimensioni, sono chiamati a valutare

attentamente quale veicolo di investimento uti

Dettagli
A.A. 2014-2015
373 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher crimildetranchero di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Laboratorio tesi di laurea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof D'Alessandro Francesco.