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IL DIALETTO DA VEDERE:

IL CASO DI ‘BENVENUTI AL SUD’ 46

Premessa

Dopo aver descritto la particolare situazione linguistica italiana

e dopo esserci soffermati sulla Campania dialettale, veniamo ora

ad occuparci del dialetto da vedere, ossia del dialetto utilizzato

nelle produzioni cinematografiche. Nello specifico analizzeremo

il dialetto usato nel film ‘Benvenuti al Sud’, al fine di dimostrare

che si tratta del napoletano e non del cilentano.

Inizieremo con il descrivere l’utilizzo del dialetto nel cinema

italiano, dagli esordi fino ai giorni nostri. Ci soffermeremo poi

brevemente sul cinema in Campania, con particolare attenzione

alle produzioni cinematografiche ambientate a Napoli e nel

Cilento per poi passare ad esaminare alcuni dialoghi di ‘Benvenuti

al Sud’ e a metterne in evidenza le peculiarità linguistiche.

Dei dialoghi analizzati saranno esaminate le parole e le espressioni

stabilendo, di volta in volta, se si tratta di forme linguistiche

tipiche del dialetto napoletano o di quello cilentano. 47

3.1 Quando il cinema parla dialetto

Il parlato filmico rientra nella tipologia della lingua trasmessa,

cioè veicolata da un sistema tecnico di riproduzione sonora e/o

visiva. Tra le caratteristiche principali del trasmesso filmico si

segnala la sua natura intermedia tra scritto e parlato e la tendenza

alla semplificazione, all’attenuazione delle varietà e alla

normalizzazione linguistica.

3.1.1 Il dialetto nel cinema italiano: dal muto ai giorni

nostri

Il cinema italiano si è sempre confrontato con il plurilinguismo

tipico del nostro paese, a partire dal cinema muto con

l’inserimento di forestierismi e dialettalismi nelle didascalie.

Emblematiche le sceneggiate napoletane della Film Dora,

esportate oltreoceano e consumate con grande successo da

migliaia di emigranti: E’ piccirella (1922), ‘A Santanotte (1922) e

‘Nfama (1924).

Dal 1930 al 1945 l’uso del dialetto nel cinema italiano attraversa

tre fasi: la fase degli anni della Cines, caratterizzata dalle

48

coloriture fonetiche locali dei film sonori dei primordi; quella

1 , rigorosamente dialettofoba e

cosiddetta degli anni di Freddi

quella degli anni di guerra, con un uso dei dialetti più consistente,

2 .

dal macchiettismo al realismo

Tra il 1945 e il 1953 si sviluppa in Italia il Neorealismo, che fu

portato al successo da De Sica, Rossellini e Visconti. Caratteristica

principale dei film appartenenti a questo filone fu una forte carica

realistica, l’uso di attori non professionisti, la presa diretta del

paesaggio e la rappresentazione di vicende collettive. Dal punto di

vista linguistico riappaiono, insieme alla realtà, i dialetti che, per

la prima volta nella storia del cinema italiano, vengono assunti allo

stesso livello dell’italiano e delle altre lingue, non in posizione di

subalternità.

Tra gli anni ’40 e’50 le lingue sullo schermo sono molte e si oscilla

tra il genovese di Gilberto Govi e il siciliano stretto di La terra

trema di Luchino Visconti, mentre Totò, per colpa di un diavolo

veneto, fa il Giro d’Italia. In questo periodo le cadenze e le

espressioni dialettali ormai impazzano sul grande schermo: dal

casanduoglio, antica parola napoletana usata da Totò in Miseria e

Nobiltà per chiamare il salumiere, all’accento lumbard di Franca

Valeri, la Cesira del Segno di Venere, mentre Pier Paolo Pasolini

con Accattone dà nuova dignità al linguaggio del sottoproletariato

3

romano .

1 Luigi Freddi alla guida della Direzione Generale della Cinematografia, 1934-1939.

2 Per approfondimenti cfr. Rossi (2015), p. 1.

3 Cfr. Palattella (2015), pp. 1-3. 49

Negli anni ’60 Vittorio Gassman, detto er Pantera in L’audace

colpo dei soliti ignoti, cerca addirittura di imparare il milanese

dalla cocotte Vicki Ludovisi con esiti comici, ma quando veste

l’uniforme del soldato settentrionale Giovanni Busacca in La

Grande Guerra commuove pubblico e critica. C’è poi Nino

Taranto, solerte funzionario barese doc in Totò contro i quattro;

una Monica Vitti dal caldo sangue siculo, la coppia Franchi-

Ingrassia, che diventano il simbolo per eccellenza della Sicilia che

si affaccia sul continente e la splendida Napoli vivace e colorita

descritta da De Sica in Ieri, oggi, domani e Matrimonio

4

all’italiana .

Arrivano poi gli anni ’70 e l’Italia, per citare l’apocalittico film di

Steno, si è rotta.

Gian Maria Volontè passa con disinvoltura dal meridionale Capo

della omicidi in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto al settentrionale Lulù Massa di La classe operaia va in

Paradiso. Fellini, invece, nel suo Roma mette in scena una babele

di accenti e lingue, ma diventa malinconico nel suo Amarcord

romagnolo. Nel 1978, infine, il film L’albero degli zoccoli, che

racconta la vita in una cascina bergamasca, vince la palma d’oro a

Cannes.

A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 arrivano poi la cadenza

pugliese di Lino Banfi; Bombolo, che raccoglie l’eredità romana e

4 Per approfondimenti si rimanda a Palattella (2015), p. 3. 50

romanesca di Aldo Fabrizi e il grande Enzo Cannavale, che ha la

5 .

scritta ‘Napoli’ sulla fronte

Con gli anni ’80 si Ricomincia da tre con Massimo Troisi e la sua

parlata inconfondibile, mentre tornano le caratterizzazioni

regionali, dal terruncello Diego Abatantuono al padano Renato

Pozzetto, da Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i

milanesi al mitico ‘cummenda’ Zampetti.

Negli anni seguenti, oltre all’immortale romanesco, si paleserà la

comicità toscana, prima con Roberto Benigni e Francesco Nuti,

poi con Leonardo Pieraccioni, Giorgio Panariello e Massimo

Ceccherini sul finire degli anni Novanta e l’inizio del 2000.

Il cinema scherza anche sulla lega lombarda con i transilvani

Giovanni e Giacomo che chiedono al dracula terrone Aldo che

cosa sia una ‘cadrega’. In Incantesimo Napoletano, invece, uno

scugnizzio si comporta come un perfetto ‘bauscia’.

Non mancano, poi, esperimenti più radicali in termini linguistici

da Sangue Vivo, parlato in salentino a La capagira recitato in

barese, da Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco a

Nuovomondo di Crialese. Sino ad arrivare al recente Gomorra, che

riporta in auge lo slang della criminalità organizzata con

6

espressioni diventate un cult .

E poi c’è Rocco Papaleo che con i suoi primi due film da regista

Basilicata coast to coast e Una piccola impresa meridionale si

auto nomina ambasciatore della meridionalità italiana nel mondo.

5 Cfr. Palattella (2015), pp. 3-4.

6 Per approfondimenti si rimanda a Palattella (2015), pp. 4-6. 51

O ancora, Uccio de Santis, il comico e cabarettista pugliese che

con Non me lo dire e Mi rifaccio il trullo sembra aver preso

l’eredità di Lino Banfi.

In Benvenuti al Sud, infine, il dialetto, oltre che per fini comici,

viene utilizzato anche per veicolare caratteristiche culturali e

sociali, assumendo così un’importante funzione comunicativa che

va ben oltre gli aspetti propriamente linguistici.

3.1.2 Il dialetto nel cinema napoletano e cilentano

La Campania, grazie alla sua variegata conformazione

geografica e al suo affascinante patrimonio naturalistico e

paesaggistico è stata la location ideale per pellicole di vario

genere, molte delle quali sono diventate dei veri e propri successi

internazionali.

Soffermandoci solo su Napoli e il Cilento, oggetto del nostro

studio, possiamo stilare un elenco lunghissimo di film ambientati

in questa parte della regione. Naturalmente, c’è subito da

sottolineare che il dialetto napoletano è stato quello che più degli

altri ha saputo fondersi alla perfezione con la settima arte.

Volendo fare un excursus sulla storia del cinema napoletano, le

realizzazioni che usano questo dialetto vanno dall’inizio del secolo

scorso fino ai giorni nostri, passando attraverso grandi autori ed

52

attori che hanno raccontato momenti ed eventi legati alla storia di

Napoli e della sua gente. Dai fratelli Eduardo e Peppino De Filippo

a Totò e Nino Taranto, da Vittorio De Sica, napoletano

d’adozione, al moderno modo di concepire Napoli di Massimo

Troisi e Vincenzo Salemme, che hanno saputo descrivere una

Napoli contemporanea, lontana dai soliti cliché. E ancora tanti altri

protagonisti, come il simpatico Enzo Cannavale, il genere di

denuncia sociale anni ’70 o l’aberrante Gomorra di Matteo

7

Garrone .

Cospicuo è anche il numero di film girati nel Cilento, la cui

produzione ebbe il suo apice nel periodo tra il 1960 e il 1976. Si

annoverano in questo periodo Il segreto di Montecristo (1960) e

Gli Argonauti, girati entrambi tra Agropoli e Palinuro; C’era una

volta (1967), con Sophia Loren e Quanto è bello lu murire acciso

(1975), ambientanti per gran parte nella Certosa di San Lorenzo a

Padula.

Tra le pellicole più famose girate nel Cilento negli anni successivi

ricordiamo Caffè express (1980), che ha come location varie

stazioni cilentane, Vacanze d’estate (1985), Cavalli si nasce

(1988) e Il fantasma dell’opera (1998) di Dario Argento fino ad

8

arrivare a Benvenuti al Sud (2010), ambientato a Castellabate .

In tutti questi casi, però, non si può assolutamente parlare di

utilizzo del dialetto cilentano. Di cilentano, infatti, c’è solo la

7 Cfr. Palattella (2015), pp. 1-12.

8 Per approfondimenti si rimanda ad Apicella (2012), pp. 1-10. 53

location, mentre i personaggi dei film si esprimono con idiomi

diversi a seconda della situazione comunicativa e del contesto.

Il cinema napoletano, invece, ha da sempre fornito al panorama

italiano, oltre che location da sogno o luoghi simbolo della società

partenopea, anche un dialetto che vanta un ampio repertorio di

parole ed espressioni tipiche, divenute ormai il simbolo di

un’intera città, nel bene e nel male. Che si tratti delle espressioni

comiche e farsesche del grande Totò o dello slang usato dai

personaggi di Gomorra, il dialetto napoletano è stato ed è tutt’ora

il più importante protagonista del cinema partenopeo.

Ed è protagonista anche nel caso di ‘Benvenuti al Sud’, dove si

palesa la particolare situazione di un film girato tra il Cilento e la

Brianza, fondato su stereotipi culturali e sociali veicolati con

grande efficacia proprio dal dialetto napoletano.

Veniamo ora ad occuparci proprio di ‘Benvenuti al Sud’ e ad

esaminare in dettaglio il dialetto con cui si esprimono i suoi

personaggi. 54

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A.A. 2016-2017
76 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher WAMIAPP14 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Lubello Sergio.