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Due in particolare sembrano essere e linee dominanti che, all’insegna della trasparenza, attraversano l’estetica sonora di

questo periodo. Molta della grammatica del suono messa a punto dagli Studios è volta infatti in due direzioni: il

consolidamento del racconto e dei meccanismi di proiezione; in secondo luogo, a livello formale, il rispetto e il rafforzamento

della continuiy e il mascheramento dell’irrimediabile frammentarietà del cinema. La standardizzazione produttiva di

Hollywood travalica la semplice prassi operativa per garantire anche un alto standard qualitativo e un prodotto dai risultati il

più possibile costanti e omogenei.

La MPPDA (Motion Pictures Producers and Distributor Association) coordina le strategie tecnologiche in materia di

conversione sonora

Il suono e la continuità narrativa. Il suono favorisce la logica del racconto innanzitutto sorvegliando il primato della parola;

la voce diventa centrale nella colonna sonora esattamente quanto lo è la figura umana inquadrata. Nel cinema classico i

dialoghi sono registrati e riprodotti al fine di salvaguardarne l’assoluta comprensione. Gli effetti sonori hanno una posizione

secondaria; molto importanti, non devono tuttavia imporsi, non a scapito della parola, quando a essa è affidato il ruolo

drammaturgico principale. La gerarchizzazione dei suoni dei suoni attorno alla parola è uno degli elementi costitutivi del

suono classico. La credibilità del suono filmico è infatti delegata a quella logica narrativa e a quel verosimile psicologico che

sono fulcro del racconto. (verbo centrismo).

In un’altra direzione, il suono, e ancora una volta la parola, diviene la garanzia della continuità narrativa, occultando la

frammentarietà e i raccordi del montaggio. Con le prassi del sound bridge e dell’overclapping si accentua la linearità della

narrazione. I continui accavallamenti e sovrapposizioni nelle battute del dialogo sono un’altra prassi utile a fornire quella

continuità a livello uditivo che nel visivo il serrato decupage sta mettendo a dura prova.

Il rumore in particolare è soggetto a una profonda codifica, nota come l’art of Foley (dal nome di un leggendario rumorista);

egli fondò un metodo di lavoro che consisteva nel registrare tutti i rumori alla fine.

Il suono e il sistema dei generi. L’invasione delle canzoni si collega immediatamente alla prima correlazione tra suono e

genere. Ossia alla nascita di un genere cinematografico specifico, quello del musical. (Cantando sotto la pioggia). I cosiddetti

shorts della Vitaphone sia della Warner, la registrazione di piccoli numeri musicali cantati o ballati a corredo della proiezione

dell’ultimo film sonoro, volti a esaltare le potenzialità del mezzo e della componente sonora, aprono le porte a questo genere.

I musical revue vedono il susseguirsi di numeri di grande spettacolarità e i back-stage musical descrivono la messa in scena di

uno spettacolo inaugurando una dimensione tutta narrativa del canto. Con il successo talvolta anche internazionale, il rapporto

tra suono e immagini acquista la sua maturità. Anche tutti gli altri generi lavorano in relazione del codici del sonoro, così

l’horror e il fantastico diventano di fatto i luoghi di codifica e di massima ricerca sul rumore.

Una certa singolarità deve essere riconosciuta alla commedia che conosce un ampio dispiego di risorse del suono, sempre

però piegate al racconto, che tuttavia dialoga profondamente con l’immagine. Accanto alla commedia è infine il noir a porrsi

come luogo di codifica della voce, una voce colta nelle sue mille sfaccettature e nel suo forte potere sull’immagine: dall’urlo

al sussurro. Non a caso afferisce a questo genere il primo film Talkie (parlato) al 100%, ossia The lights of New York. Quella

del mistery è l’area in cui la solidarietà tra un certo tipo di suono e il genere cinematografico è totale. Questo aspetto diventa

quasi equivalenza nel caso della voce narrante che caratterizza profondamente il noir, il suo collegamento con la letteratura e

con la narrazione scritta, la sua apertura alla dimensione psicologica e alla soggettività del punto di vista.

Il suono e i maestri del cinema americano. Il suono classico è per sua natura perfettamente corrispondente a quella logica di

trasparenza tipica della narrazione classica. L’apparente semplicità connotano, oltre alle immagini, anche la componente

sonora. Ovviamente ogni regista ha un suo stile particolare e interpreta creativamente l’apparente rigidità dei metodi di

produzione.

Il cinema americano è tuttavia solcato in questi anni da due casi di forte autorialità sonora. Si tratta in primo luogo del caso

della guerra contro l’avanzata sonora di Charlie Chaplin che solo nel 1940 con Il grande dittatore realizza un film

pienamente parlato. Il secondo caso è quello di Walt Disney che dal mondo dell’animazione diete un fortissimo impulso

anche al sonoro cinematografico.

Sono infatti complessi i fattori che portano alla crisi dei grandi film muti, non dei quali quello economico: la

razionalizzazione della produzione ad opera delle Majors risultavano inconciliabili con i metodi produttivi non convenzionali,

liberi e indipendenti dell’arte muta. La rigidità delle prima riprese, vincolate dalla cabina insonorizzata, rendeva impossibili

le rocambolesche fughe e le acrobatiche imprese delle tante slapstick.

La condanna di Chaplin fonda tuttavia un utilizzo del sonoro nei suoi lungometraggi che non ha nulla di americano e classico

e rimanda se mai a sapori avanguardistici. Il suo primo film sonoro Luci della città è interamente privo di dialoghi, sostituiti

qua e là da qualche comico borbottio, con solo qualche effetto rumoristico e una colonna sonora musicale da lui stesso

composta, ebbe un successo trionfale. Dimostrò quindi ancora una volta l’ambiguità del passaggio al sonoro nell’esperienza

degli spettatori. Il suo lavoro unisce e ibrida continuamente muto e sonoro; l’esempio migliore è quello di Tempi moderni

dove lunghi silenzi si giustappongono a momenti di dialogo sincronizzato.

Il settore dell’animazione gioca spesso un ruolo d’anticipo rispetto a molte risorse del cinema successivo. Le ricerche di Walt

Disney non sono molto lontane dalle sperimentazioni dell’asincronismo europeo. Disney con Fantasia rivolge molta

attenzione non solo al suono ma anche alla tecnologia sonora per fornire allo spettatore uno spettacolo di grande impatto.

L’ambizioso progetto viene formalizzato con il Fantasound, uno speciale sistema a quadrupla area che volgeva verso la

successiva stereofonia. 3. IL SUONO DEL CINEMA MODERNO

La sentenza antitrust della Paramount (1948), la nascita della televisione, gli effetti della seconda guerra mondiale, segnano

un cambiamento radicale nella produzione cinematografica che porta ad una rottura con il periodo precedente e all’apertura

alle incertezze e all’instabilità del moderno. Il suono non connota semplicemente l’aspetto del cambiamento istituzionale e

linguistico, ma spesso se ne fa guida e motore. Sul fronte del sonoro il cambiamento non è infatti di minor conto. L’impennata

della sperimentazione del dopoguerra, dovuta anche alla riconversione degli impianti bellici, porta molte industrie a

reinvestire nei settori della tecnologia sonora. Assistiamo dunque all’ennesima rivoluzione sonora che coinvolge l’esteso

orizzonte dell’intrattenimento privato e pubblico. La rivoluzione magnetica e l’high fidelity assieme alla stereofonia e alla

perfetta riproducibilità dei suoni sono solo alcuni degli aspetti che a partire dagli anni Cinquanta vanno a modificare il

paesaggio del cinema.

La rivoluzione del suono magnetico. Il cinema moderno è innanzitutto segnato dall’innovazione introdotta dalla tecnologia

magnetica e dalla sua flessibilità. La vera svolta è rappresentata dalle ricerche tedesche che divengono di pubblico dominio a

partire dal dopoguerra. Il boom della registrazione magnetica di massa coincide con il lancio sul mercato nel 1963 con le

cassette Philips da 1\8 di pollice, che divennero lo standard internazionale della classica MC, bidirezionale perché dotata di

due tracce leggibili nelle due diverse direzioni. Oltre alla maneggevolezza delle apparecchiature magnetiche, si ha la

comodità di poter riascoltare immediatamente la traccia registrata nonché di cancellare in un attimo i suoni appena impressi

per iniziare una nuova registrazione.

Il Cinemascope e il suono magnetico stereofonico. Queste innovazioni investono il cinema su un duplice fronte: il primo

ambito è quello della colonna sonora. La possibilità data dalla tecnologia magnetica di utilizzare tracce sottili apre

definitivamente il campo alla registrazione multicanale. La stereofonia diventa una realtà quotidiana e l’abitudine a essa

spinge con una tale pressione da obbligare di conseguenza anche il cinema. Nel cinema il suono stereofonico esordì nel 1953

con La Tunica con il sistema che ha preso maggiore diffusione: il CinemaScope da 35 mm a 4 tracce. La stereofonia si

accompagna a quel gigantismo che prende piede nel dopoguerra, complice la concorrenza del piccolo schermo televisivo,

porta al superamento del tradizionale formato e all’esplorazione del maggiore formato wide screen. La 20th Century Fox

avrebbe prodotto tutti i futuri film con questo metodo e fu presto seguita da Metro Goldwyn Mayer, Wald Disney, Warner

Bros, Universal, Columbia e tutte le principali case eccetto la Paramount che iniziò a lavorare sul più economico Vistavision.

Il lancio dei film Fox in CinemaScope, con un meraviglioso technicolor e un suono stereofonico, proseguì in grande stile. La

scelta produttiva della commedia dimostrava la fiducia nel reale cambiamento della sonorità del film e l’intenzione da parte

della Fox di utilizzare la stereofonia non solo per i kolossal o per i film musicali, ma come prassi destinata anche a rendere i

suoni della quotidianità. Se tuttavia il wide screen diviene presto dato acquisito, non si può dire lo stesso del suono stereo.

Il CinemaScope, come altri sistemi, si stava rivelando un sistema troppo oneroso proprio sul fronte del sonoro. La

registrazione magnetica iniziò quindi a declinare: i costi erano elevati e il lavoro annesso risultava troppo macchinoso. La

diminuzione dell’ampiezza dell’immagine e il ritorno alle perforazioni normali fu l’inizio di un sostanziale recupero della

vecchia registrazione ottica monofonica che tornò ad essere la norma lasciando il magnetico solo alle grandi sale. Nonostante

questo il suono cinematografico stava vivendo un periodo di forte rinnovamento e miglioria tecnica: radiomicrofoni,

amplificazioni, altoparlanti.

Gli altoparlanti e la prospettiva sonora. Il suono magnetico stereofonico tarda a conquistare un suo posto ed è solo lo

sviluppo delle possibilità del suono otti

Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
10 pagine
17 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher balconi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Valentini Paola.