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Alberto (che qui scopre sua sorella nell' intento di fuggire con un uomo
sposato), Moraldo e Fausto. La scena viene gestita registicamente in questo
modo: il campo lungo esalta l'ambientazione, lo spettatore si ritrova vicino ai
personaggi, ma vengono rappresentati di spalle e di profilo, in modo da non
rubare l'attenzione del paesaggio, ovvero un mare invernale che traspone le loro
emozioni. Accentuato da una fotografia dal rapporto chiaroscurale dalle
sfumature nette, che predispone i protagonisti in una piena distribuzione dello
spazio, incorniciandoli in un panorama molto più vasto rispetto alle loro
sagome, mentre il montaggio alterna l'immagine del mare che spinge le sue
delicate onde cautamente sulla riva, manifestando un aurea di grigiore
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malinconico vicina a quella dei protagonisti
4 Il cinema di Federico Fellini a cura di Peter Bondanella, pag 93
Queste tipiche scene “balneari” rappresentano nodi focali importanti della
trama, e anche se cariche di una certa intensità, non si tratta di scene che
possiamo definire conclusive, narrativamente parlando, ma rappresentano
comunque una elevata considerazione di contenuto in quanto lo spettatore
introietta le nuove emozioni che suscitano le immagini e il risultato della
sconsacrazione dell'anima dei protagonisti messi a nudo in questo luogo. Oppure
ad essere messi a nudo è proprio il loro destino.
Fellini stesso afferma che non ama concepire schematicamente i suoi film con una
scena impostata per un finale che ne confermi la conclusione del testo, ma preferisce
adottare quello che sarà il suo stile sempre più personale e perfezionato, più inventore
di stili. E nonostante non avesse mai davvero abbracciato una tendenza idealistica e
moralizzante nemmeno nelle sue opere prime, il regista prenderà sempre più le
distanze dalle connotazioni più classiche e tenderà via via a far prevalere uno sguardo
ancor meno provinciale, dove domina l'immagine, le incisive definizioni
psicoanalitiche, la letteratura della crisi. Poi con l'utilizzo del colore – sebbene
quest'ultimo fu affrontato prima con una iniziale riluttanza da parte di Fellini stesso,
che considerava come una transizione “forzata” delle produzioni - , ecco allora
manifestarsi nuove forme e stili, l'assunzione quindi di nuovi toni e luci, il ritmo del
montaggio. Attingendo a varie suggestioni più avanguardistiche: quelle appunto
dell'espressionismo, del linguaggio della Nouvelle Vague, dell'impressionismo e del
postmodernismo.
Fino ad abbandonare del tutto il neoralismo, stile quest'ultimo sicuramente più
individuabile nelle prime opere fino a sfumare gradualmente sempre più verso
l'onirismo, quindi alla metafisica e il dadaismo alla Bunuel di 8 e ½ , per poi separarsi
dalla articolazione di una scrittura di matrice più classica quasi definivamente
concentradosi sul pantheon dei tanti stimoli artistici.
Tutto ciò entra in simbiosi con il condividere il suo senso di contemplare il mare che
negli anni va sempre più a rinnovarsi: cambia il suo linguaggio artistico, la sua
formazione, si passa dagli stilemi classici del neorealismo con una narrazione
classica, fino ad arrivare alle forme narrative che non traspiaono completezza, ma
anzi fanno sorgere dubbi ed incertezze. Come la realizzazione del mare: prima il
mare era la sua scenografia ambientale, archetipica, reale e tangibile; poi diventa il
suo stereotipo girato in studio. Questione curiosa poi, sono i finali felliniani: si
verificano quasi sempre avendo il mare come base espressiva ed ambientale,e non
sono mai veramente conclusivi, ma anzi aperti al destino del giudizio e delle risposte
dello spettatore (vedi il finale de La dolce vita; E la nave va).
Come egli stesso affermò: “I miei film non hanno quella che comunemente viene
definita come la scena finale. La storia non giunge mai ad una conlusione...Non
ho intenzione di fare di stare a fare della morale: c'è più morale in un film se
non offre allo spettatore la soluzione trovata del personaggio del quale si
narrano le vicende...Se film come Il bidone, La strada, I vitelloni lasciano lo
spettatore con questa sensazione di perplessità, penso abbiano raggiunto il loro
scopo...se avessi avuto la risposta, la soluzione ai quesiti ed al contempo fossi
stato capace di spiegarle, di convincere in buona fede, allora non mi sarei
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messo a raccontare storie o a fare film”.
Il mare e la spiaggia inoltre, ha spesso il compito di introdurre l'incipit e la
conclusione della storia: nella scena inziale in cui Gelsomina ne “La strada”, che
agevolata dalla decisione ambigua della madre, viene indirizzata al burbero
Zampanò per lavorare con lui come artista di strada. Vediamo la dimora umile e
poverissima della sua famiglia che si trova ai margini della spiaggia (la scena è
girata a Fiumicino), le figure femminili, durante il dialogo con Zampanò sono
vicino all'obiettivo ed il mare in discreta lontanza, l'acqua è apparantemente
calma, ma dalle onde che si infrangono sulla riva con velocità consistente, fanno
precepire un suo prossimo movimento più inquieto. Il luogo è come se aiutasse a
far percepire un futuo funesto per Gelsomina. Che vediamo, ormai consapevole
della sua transizione in una nuova vita, staccarsi dai piagnistei della madre e
dalle sorelle, per poi piegarsi in ginocchio e contemplare i suoi pensieri, forse
anche l'idea del suo avvenire, inginocchiata e con lo sguardo rivolto verso
l'orizzonte del mare come se fosse portare di riflessioni e di speranza per un
avvenire di gentile auspicio. Nella scena finale invece, vediamo Zampanò ormai
invecchiato, logoro, reduce dalla rissa provocata nel bar, avanzare nella spiaggia
per poi accasciarsi lungo la riva perdendosi nello sguardo rivolto verso le onde
scure e poi seguitare verso il cielo, come per seguire qualcosa, forse un segnale
mistico, forse un ricordo e quindi scoppiare nel pianto disperato alla
consapevolezza di aver perso per sempre Gelsomina.
Ma l'ambiente terracqueo di Fellini è anche teatro metacinematografico che
trasmette il senso di una dimensione onirica: percezione di irrealtà e suo
desiderio.
Emblematiche sono le scene del film nel film delle sequenze inziali che vediamo
ne “Lo sceicco bianco”, con la troupe di cineasti che girano la scena esotica sul
litorale laziale. E poi subito dopo abbiamo la scena topica in cui Wanda,
disperata dalla sua triste realtà, aggirandosi spaesata per la pineta (quella di
Fregene), ecco vedersi stagliare tra la natura la figura “mitologica” di
Alberto/Sceicco, ergersi come in un' immagine sognante ed idilliaca, andando
solo per un breve tempo a sostituirsi con quella piatta e scoraggiante immagine
della quotidianità della protagonista che vediamo poco tempo prima. Ed il
mondo sognante e colorato, insieme a quello del cinema e dei suoi protagonisti
continua a dominare i sensi, le emozioni, le debolezze di Wanda, che
trascorrendo il momento di idillio sulla barca con lo Sceicco, si abbandona a
tutte quelle sue storielle fantasiose ma dal sapore menzoniero. Qui, onirismo e
realtà entrano in conflitto, facendosi sentire con colpi di situazioni di improvvisa
ridicolezza, come se la farsa fosse l'espediente atto a creare quei piccoli corto
circuiti, in modo da riportare i protagonisti alla realtà.
5 Il cinema di Federico Fellini a cura di Peter Bondanella, pag. 110
Ne “La dolce vita”, vediamo la scena inziale con scene alternate tra il punto di
vista sulla terra ferma e quello all'interno dello stesso elicottero. Così da avere la
panoramica a volo di uccello che scorre dal centro urbano dove vediamo la
speculazione edilizia in avanzamento, con i suoi palazzoni e l'impiego
indiscriminato del cemento tipico del boom economico degli anni '60, fino
all'avvicinarsi verso la spiaggia. I bagnanti riconoscono Marcello all'interno, e
accorrono estasiati. Il tutto a sottolineare il decadimento della borghesia del
dopoguerra, i cambiamenti avvenuti nella moda femminile e l'avvento dei
fotoreporter.
Nella sequenza finale invece, dopo la scena “orgiastica” , viene la scena
epigolativa: è l'alba, il gruppo passeggiando sulla spiaggia, nota un pesce
mostro, una specie di enorme manta indefinita, lasciata lì sulla riva dai pescatori.
Il gruppo incuriosito osserva la creatura marina, è abbacinato, insolitamente
silenzioso, come indebolito, vulnerabilizzato dal sentore di sventura, il timore di
qualcosa di oscuro che si cela dentro le loro vite. Marcello nel frattempo, vede
in lontananza Paola, la ragazzina bionda del chiosco, entrambi cercano invano di
parlarsi, ma non si comprendono per lo sciabordio delle onde: simbolo dell'
incomprensione, in quanto l'ascolto e la parola sono annichilite dalle frivolezze,
dal chiassore della modernità senza scrupoli, frenetica e disumana, che è
agevolatrice degli egocentrismi e degli egoismi. Si vedrà infatti Marcello
preferire questo mondo ritornando facendosi riprendere da una delle ragazze che
lo riavvicina al suo gruppo; la ragazza bionda, simbolo della purezza, del
candore che poco ha a che fare con quel mondo alienato cui appartiene a
Marcello, lo vede sparire alla sua vista in lontananza, il fragore delle onde non
cessa di esistere ed isola completamente la ragazza, che in primo piano, si volta
lievemente verso lo spettatore come a dover cambiare la traiettoria del suo
sguardo, e quindi del suo sorriso, destinandolo a noi, ma è un sorriso di
rassegnazione e consapevolezza.
Nel film abbiamo l'emergere di un' immagine della società contemporanea che
insiste sulla raffigurazione esaltata dall' esteriorità delle maschere manifestate in
tutte le sue occasioni. L'emblema di tutto il film è così ben riassunta
esaustivamente con la scena del travestito, anche lui partecipe all'orgia nella
scena all' interno della villa di Fregene, che parlando con Marcello gli dice:
“Stamattina stavo bene, tutto truccato!...Mò mi sento tutto appiccicato.” Inoltre è
il ritratto di una Roma moderna che implica un forte contrasto con il suo antico e
più nobile passato, rappresentando solo la prima parte del trattamento riservato
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da Fellini alla mitologia romana - elemento tematico quest'ultimo, che si ritrova
interamente dedicato nel film “Roma” - .
Una semplice spiaggia diviene un portale che fa trasmigrare quei personaggi
borghesi ed ambigui, nei corpi presenti in un altro pianeta, o forse meglio, in una
specie di limbo, un po' come la discesa infernale di Augusto ne “Il bidone” nei
6 Il cinema di Federico Fellini; a cura di Peter Bondanella; pag. 157
vari gironi, fino a