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Estratto del documento

E’

disciplinato da alcuna legge. chiaro pertanto che in questo contesto, nessuna

d’Arborea

altra donna proseguì il lavoro della femminista Eleonora che dimostrò

“Sa s’intende

80 Per matrimonio a Sardisca” un patto matrimoniale in cui i coniugi vivevano in

comunione dei beni, così che la donna possedesse la posizione di parità nei confronti dello sposo,

godendo degli stessi diritti: compenso, compravendita, eredità. Infatti non si applicava il diritto

romano, alla morte del marito la donna sarda rimaneva proprietaria di tutti i beni senza perdere

diritto o posizione. 39

innovazione e democrazia e che voleva portare il suo regno “fuori dal

Medioevo”. E’ però più probabile che in un mondo al maschile, non fu dato

ampio spazio ad altre donne ribelli, indipendenti, innovatrici e coraggiose nel

promulgare leggi a difesa delle donne.

Per comprendere l’evoluzione che ha interessato il nostro paese è

necessario ripercorrere un cammino che risale infatti al 1902 con la prima legge

detta Legge Carcano, che doveva assicurare la tutela delle donne e dei fanciulli

ma finì per limitare ancora una volta i diritti delle donne: se da un lato essa

concedeva quattro settimane di riposo, non pagato, alle puerpere, dall’altro

vietava l’impiego di lavoratrici in alcuni lavori ritenuti "pericolosi". I lavori

"pericolosi" contenuti nel decreto attuativo erano in realtà lavori

ideologicamente ritenuti incompatibili con le attitudini femminili come

l’attivazione di macchine, trattamenti di polveri e materiali "sconvenienti" o tali

da richiedere una manipolazione complessa. Inoltre durante il periodo di riposo

post - partum, alla lavoratrice non era assicurata alcuna retribuzione, né tanto

meno era garantita la conservazione del posto di lavoro. La tutela legale della

maternità delle lavoratrici si esauriva dunque nel congedo. Il congedo per

maternità equivaleva in quei tempi ad un licenziamento. La legge del 1902 venne

riformata nel 1907 con il divieto del lavoro notturno per le donne di qualsiasi

età, mentre nessuna modifica venne introdotta nella tutela della maternità delle

istituita la “Cassa di maternità”, con la funzione

lavoratrici. Solo nel 1910 venne

di erogare alle lavoratrici madri durante il periodo di astensione obbligatoria dal

lavoro una prestazione economica di carattere assistenziale, fissata in cifra

predeterminata e non ragguagliata al salario. A partire dal 1907 una grave crisi

economica frenò lo sviluppo industriale e i licenziamenti delle donne divennero

preferenziali tanto che il tasso di occupazione femminile precipitò. Fu la

situazione di emergenza creata dalla guerra che costrinse a richiamare le donne

In quegli anni caotici, non c’era più differenza tra mansioni

nelle fabbriche.

maschili e femminili e le norme di tutela furono rimosse per essere poi reinserite

nell’ordinamento nel dopoguerra. Un altro traguardo importante nel cammino

verso il riconoscimento dei diritti delle donne ci fu con l’introduzione della

Legge Sacchi del 1919 n. 1176 con la quale venne abrogato l’istituto

40

dell’autorizzazione maritale e riconosciuta loro piena capacità giuridica, ma con

la stessa legge vennero escluse dalle professioni e dagli impieghi

poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà

implicanti

politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato, quali quelli di prefetto,

diplomatico, direttore generale presso ogni dicastero, ministro, ufficiale

giudiziario, cancelliere, magistrato. La legislazione sul lavoro femminile

conobbe uno sviluppo negativo durante il regime fascista (1922-1943).

L’ideologia fascista riguardo alle donne e al loro ruolo nella società si riassume

nella “campagna demografica” con la quale il regime

di espansione si proponeva

di raggiungere un forte incremento del tasso di natalità. In questa politica, il ruolo

riservato alle donne era quello di mettere al mondo figli, affinché potessero

soldati all’impero.

diventare Le donne vennero spinte nuovamente, per quanto

possibile, entro le mura domestiche, secondo lo slogan: "la maternità sta alla

donna come la guerra sta all’uomo". Del resto, i fascisti pensavano che le donne

fossero esseri fisicamente e intellettualmente inferiori, destinati al compito di

accudire la casa, i figli, il marito. Il lavoro extra-domestico delle donne era

tollerato solo se necessario ad integrare il reddito del maschio capofamiglia e i

salari delle donne vennero fissati per legge alla metà di quelli corrispondenti

degli uomini. Inaugurando una strategia che poi sarebbe stata ripresa per la

politica razziale, l’offensiva cominciò nella scuola, dove fu formalmente vietato

alle donne di insegnare lettere e filosofia nei licei e alcune materie negli istituti

tecnici e nelle scuole medie; inoltre fu vietato loro di essere Presidi di istituti; le

tasse scolastiche delle studentesse vennero raddoppiate. Nel pubblico impiego le

assunzioni di donne furono fortemente limitate, escludendole dai bandi di

concorso e concedendo loro un numero di posti limitato (in genere il 10%).

Furono inoltre vietate loro la carriera e tutta una serie di posizioni prestigiose

all’interno della pubblica amministrazione. Questa legge non ebbe però effettiva

applicazione: l’emergenza della guerra del 1939 impose nuovamente, la

massiccia occupazione delle donne nelle fabbriche e negli uffici. Nel 1934 una

serie di leggi riformavano la precedente Legge del 1907: la legge 26 aprile 1934,

n. 635 incoraggiava il lavoro a domicilio; mentre la legge 5 luglio 1934, n. 1347

portava a 10 settimane (un mese prima e 6 settimane dopo il parto) il periodo di

41

astensione obbligatoria dal lavoro; garantendo alle lavoratrici gestanti e puerpere

uno speciale trattamento protettivo in materia di orario di lavoro e di lavori

pesanti e istituendo il divieto di licenziamento delle donne durante il periodo di

astensione obbligatoria dal lavoro. Le restrizioni poste dalla legge all’uso del

lavoro femminile, i costi connessi con la tutela della maternità, la protezione

potevano scoraggiare l’assunzione

delle lavoratrici madri contro i licenziamenti

di donne, ma questi fattori venivano presto compensati dal fatto che i bassi salari

e la sotto-valutazione del lavoro femminile continuavano a rendere attraente

l’assunzione delle donne. La Costituzione democratica e repubblicana, entrata in

vigore nel 1948, ha introdotto il principio generale dell’eguaglianza giuridica fra

uomini e donne (art. 3) oltre all’art. 37 con la quale viene sancito che “la donna

lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che

spettano al lavoratore” e l’art. 51 che permette l’accesso dei cittadini di entrambi

i sessi agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza,

secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Il muro della disuguaglianza però non si

riusciva ad abbatterlo. A parità di mansione, le donne continuavano a ricevere

salari più bassi di quelli maschili; il matrimonio e la maternità significavano

spesso il licenziamento; inoltre per le donne sposate trovare un lavoro era

difficile come sempre. La legge 26 agosto 1950, n. 860 riformò la legge del

1934 introducendo novità quali un periodo di astensione obbligatoria del lavoro

della durata di 6 settimane prima e di 2 mesi dopo il parto; il prolungamento del

obbligatoria per le lavoratrici dell’industria e

periodo di astensione

dell’agricoltura, e comunque per tutte le lavoratrici, ove l’Ispettorato del lavoro

lo ritenesse necessario in considerazione della qualità del lavoro svolto dalla

donna; il divieto di licenziamento durante tutto il periodo della gravidanza e per

un anno dopo la nascita del bambino; un’indennità pari al 80% della normale

retribuzione per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, corrisposta dagli

E’

enti di previdenza e assistenza sociale. il 1959 quando le donne finalmente

conquistano la divisa. Venne istituito il Corpo di Polizia Femminile con compiti

per lo più di tipo assistenziale, tutela delle donne e di minori. Il Corpo di Polizia

Femminile confluirà nella Polizia di Stato nel 1981, mentre per il servizio

militare volontario bisognerà attendere il 1997. Con la legge 9 gennaio 1963, n.

42

7 venne conquistato il diritto al “divieto il licenziamento delle lavoratrici per

causa di matrimonio”, misura protettiva del lavoro femminile che aveva lo scopo

di eliminare una delle più diffuse e frequenti discriminazioni per motivi di sesso.

Nel 1971 la maternità delle lavoratrici è stata nuovamente oggetto

dell’attenzione del legislatore (L.1204 del 30 dicembre 1971): durante la

gravidanza e nei 7 mesi successivi al parto la lavoratrice non può essere adibita

ai lavori pesanti, pericolosi o insalubri elencati nel regolamento di attuazione

della legge; qualora la lavoratrice fosse in precedenza adibita ad uno dei lavori

vietati, deve essere spostata ad altra mansione. La durata del periodo di

astensione obbligatoria dal lavoro è di 5 mesi (due mesi antecedenti la data

presunta del parto, e tre mesi successivi al parto); l’Ispettorato del lavoro può

tuttavia imporre un ulteriore periodo di astensione obbligatoria, ove lo ritenga

L’indennità per il

necessario per salvaguardare la salute della lavoratrice.

periodo di astensione obbligatoria dal lavoro è pari al 80% della retribuzione cui

può aggiungersi un periodo di astensione facoltativa dal lavoro con una indennità

pari al 30% della retribuzione con il diritto per la lavoratrice madre, di assentarsi

dal lavoro in caso di malattia dei figli di età inferiore ai 3 anni. Il divieto di

licenziamento copre l’intero periodo della gravidanza e del puerperio, fino al

raggiungimento di un anno di età del bambino. La lavoratrice licenziata durante

il periodo nel quale opera il divieto ha diritto di ottenere la reintegrazione nel

posto di lavoro.

Si può affermare che in questo periodo, la tutela legale delle lavoratrici

abbia raggiunto, in Italia, un buon livello di efficienza, ma la carenza dei servizi

ed il perpetuarsi della tradizionale divisione dei ruoli familiari rendono ancora la

cura dei bambini un compito privato ed esclusivo della madre. La madre è

dunque protetta dalla legge contro la fatica del lavoro extra-domestico; non è

protetta, invece, dalle fatiche della maternità e del lavoro domestico. La

maternità, anche se protetta dalla legge, rimane così un grave fattore di

discriminazione delle lavoratrici, la

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
86 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/09 Sociologia dei processi economici e del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher carla.soi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Mercurio Concetta.