MATO ARÈ
6 Legge n. 335 dell’8 agosto 1995 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 190 del 16 agosto 1995,
Supplemento Ordinario n. 101. 6
la pensione si calcola sulla base della retribuzione media che il lavoratore ha
percepito alla fine della carriera. Un vantaggio per coloro che ne beneficiano è che la
pensione viene calcolata tenendo conto delle ultime retribuzioni percepite, non
penalizzando le interruzioni di lavoro se queste vengono comunque compensate negli
anni totali di contribuzione. Tale criterio risulta particolarmente favorevole nei
confronti dei lavoratori con carriere dinamiche, ovvero quegli individui che hanno
percepito un reddito più alto negli ultimi anni della loro carriera lavorativa.
Nel sistema contributivo (o contribuzione definita), l’importo della pensione viene
calcolato tendendo conto del montante di contributi che sono stati versati durante la
vita lavorativa. Una volta che si è maturato il requisito anagrafico, per il calcolo della
pensione si andranno a vedere i contributi che sono stati versati, che vengono poi
«capitalizzati al tasso di crescita nominale del Pil e convertiti secondo un coefficiente
7
di trasformazione» . Quindi nel modello i versamenti contributivi sono certi e
prestabiliti, al contrario l’ammontare della prestazione futura non è determinabile a
8
priori . Lo svantaggio principale del sistema è che l’importo non è più collegato alle
ultime retribuzioni percepite, ma all’intera vita lavorativa, andando a penalizzare gli
individui con carriere più discontinue o retribuzioni basse.
Quello che bisogna comprendere è che a prescindere dal tipo di carriera lavorativa,
l’importo della pensione finale può essere nettamente diverso a seconda che ci
troviamo nel sistema retributivo o nel sistema contributivo. Ad esempio possiamo
affermare che il sistema contributivo tende a penalizzare maggiormente le carriere
frammentate rispetto a quanto lo fa il retributivo. Visto che le donne tendono più
spesso ad avere carriere lavorative discontinue rispetto agli uomini, possiamo
affermare che il regime contributivo tende ad amplificare il divario di genere nei
redditi pensionistici (anche se le regole sono uguali per tutti). La spiegazione del
perché avviene ciò è intuitiva: il contributivo è un sistema dinamico che capitalizza
ogni contributo nel tempo, dove ogni anno di mancata contribuzione costa
doppiamente. Infatti un anno mancato non solo sottrae la quota di contributi
(tipicamente il 33% della retribuzione), ma fa anche perdere tutti i guadagni di
rivalutazione che quel versamento avrebbe potuto maturare nel tempo. Invece il
7 Giuliano A - Mauro M , Le pensioni. Il pilastro mancante, Il Mulino, Bologna 2001.
MATO ARÈ
8 Paolo B , Corso di scienza delle finanze, Il Mulino, Bologna 2019.
OSI 7
sistema retributivo penalizza le interruzioni in modo lineare e solo sulla base degli
anni effettivi di contribuzione. Questo perché nel retributivo l’assegno finale si
calcola sulla base della media delle ultime retribuzioni e di un’aliquota fissa (2% per
ogni anno di contribuzione). Se ad esempio la carriera viene interrotta per 5 anni, nel
retributivo significa 10 punti percentuali in meno di aliquota (5 anni x 2% = 10),
comportando una perdita lineare e prevedibile. Nel modello contributivo invece, in
media la riduzione percentuale sul montante finale è superiore di quella retributiva,
soprattutto se la carriera è stata più lunga o se l’interruzione è avvenuta in un
momento in cui i salari − e quindi i contributi − erano più alti.
Ma quanto una carriera lavorativa frammentata può impattare sull’ammontare della
pensione finale? Secondo dati OECD (2021), per un lavoratore con salario medio, 5
anni di disoccupazione comportano una pensione pari al 94% di quella di un
9
lavoratore con una carriera completa . Invece se si sommano ulteriori 5 anni di
sospensione lavorativa a fronte di un avvio ritardato di 5 anni nell’inizio della
carriera, la percentuale scende al 78%. Mentre per i lavoratori con un reddito basso,
la pensione è rispettivamente del 96% e del 83% rispetto al caso di carriera completa
(traducendosi in un impatto minore sulla pensione). Quindi pur con similari età di
uscita dal mercato del lavoro, chi ha avuto pause più prolungate vede una pensione
inferiore rispetto a chi ha lavorato ininterrottamente.
1.2 − Età pensionabile e problemi di genere
Nel corso degli anni, l’età pensionabile è aumentata e si è anche progressivamente
uniformata tra uomini e donne. Analizzando brevemente la storia dell’età
pensionabile in Italia, dobbiamo dire che nel 1939 venne ridotta l’età di vecchiaia a
60 anni per gli uomini e 55 per le donne (fu il primo caso di differenziazione di
accesso alla pensione in base al genere). Nel 1992, con la riforma “Amato” (d.lgs.
10
503/1992 ) l’età di vecchiaia venne gradualmente innalzata di 5 anni (65 per gli
9 OECD, Pensions at a Glance 2021, https://www.oecd.org/content/dam/oecd/en/publications/reports/2
021/12/pensions-at-a-glance-2021_e56e5553/ca401ebd-en.pdf#:~:text=%E2%80%A2%20Average%
E2%80%91wage%20workers%20who%20experience,the%20Slovak%20Republic%20and%20Turke
y, p. 158.
10 Decreto Legislativo n. 503 del 30 dicembre 1992 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 305 del 30
dicembre 1992, Supplemento Ordinario n. 137. 8
uomini e 60 per le donne). Nel 1995, dopo l’introduzione del sistema di calcolo
contributivo con la “riforma Dini”, ci fu un ulteriore novità: l’età di pensionamento
11
flessibile tra un minimo di 57 ed un massimo di 65 anni per entrambi i sessi . Per la
prima volta fu eliminato il divario tra generi nell’età minima di vecchiaia (anche se
era necessaria un’anzianità minima obbligatoria). Un altro cambiamento decisivo in
termini di parità e di età pensionabile si ebbe con la “riforma Fornero”. Con questa
riforma si innalzarono drasticamente i requisiti anagrafici per il pensionamento di
12
vecchiaia, che arrivarono a 66 anni e 7 mesi dal 2018 (per entrambi i sessi). Grazie
ad una serie di interventi (ad esempio il fatto che dal 2009 le età sono incrementate
con la speranza di vita, sulla base dei dati ricavati dall’ISTAT), nel 2024, il requisito
minimo per la pensione di vecchiaia (Tabella 1.1) è di 67 anni sia per gli uomini che
per le donne (anche se l’età effettiva di pensionamento è minore di qualche anno a
causa delle molte possibilità di uscita anticipata dal mercato del lavoro).
Tabella 1.1 – Pensione di vecchiaia e anticipata* (L. n. 214 del 2011)
Fonte: INPS, Rapporto Annuale Settembre 2024
Alla luce di questi fattori possiamo affermare che il sistema pensionistico italiano
tratti “uguale” maschi e femmine, in particolare in relazione all’età di uscita dal
mercato del lavoro. Questo trattamento paritario però, non è stato accompagnato da
nessun intervento serio volto a rimuovere gli svantaggi che le donne subiscono nel
11 INPS, “La storia dell’INPS”, https://www.inps.it/content/dam/inps-site/pdf/istituto/1400KEY-
la_storia_inps_2021.pdf, p. 2-3.
12 Camera dei Deputati, “Riforma previdenziale ed età pensionabile”, https://temi.camera.it/leg17/temi
/riforma_previdenziale_eta_pensionabile#:~:text=ridefiniti%20i%20requisiti%20anagrafici%20per,pe
nsionamento%20a%20partire%20dall%27anno%202021 (consultato il 03 luglio 2025).
9
mercato del lavoro, visto che – come vedremo più nel dettaglio nel capitolo
successivo – le donne sono più spesso soggette ad interruzioni di carriera, lavoro
13
part-time e salari più bassi . Quindi uniformare i requisiti anagrafici, senza tener
conto di questi e di altri fattori (come ad esempio il fatto che: «Le donne, vivendo più
a lungo, affrontano un rischio maggiore di povertà pensionistica, spesso a causa di
14
risparmi insufficienti e pensioni inferiori rispetto agli uomini.» ), porta ad una
penalizzazione proprio nei confronti delle donne.
Avendo analizzato brevemente quella che è la struttura del sistema pensionistico ad
oggi, nel capitolo successivo cercheremo di esaminare quali sono le caratteristiche
del mercato del lavoro – in Italia ed in Europa – che determinano l’esistenza del
gender pension gap. Capiremo quali sono i fattori che amplificano il divario di
genere (tasso di occupazione, retribuzione, part-time e maternità) e come essi vadano
ad influenzare il montante contributivo. Questa analisi consentirà di capire come le
disuguaglianze lavorative si traducano poi in pensioni più basse per le donne e in un
conseguente aumento del rischio di esclusione sociale nella terza età delle stesse.
13 Yanjun G - Kim P - Silja B - Saadia Z , “Global Gender Gap Report 2025”,
UO IAGET ALLER AHIDI
https://www.weforum.org/publications/global-gender-gap-report-2025/ (consultato il 05 luglio 2025).
14 Tortuga, “Da dove viene il divario pensionistico tra donne e uomini?”, 01 febbraio 2024, https:/
/www.econopoly.ilsole24ore.com/2024/02/01/divario-pensionistico-donne-uomini/#:~:text=La%2
0struttura%20del%20sistema%20pensionistico,pensionabile%20e%20in%20prestazioni%20inferiori
(consultato il 06 luglio 2025). 10
Capitolo 2
MERCATO DEL LAVORO E DIVARIO DI GENERE
2.1 − Tasso di occupazione e divario occupazionale di genere
Il mercato del lavoro italiano ha storicamente un tasso di occupazione inferiore
rispetto alla media UE. Questo valore lo possiamo mettere in relazione al divario
occupazionale di genere, definito come la differenza tra i tassi di occupazione degli
15
uomini e delle donne in età lavorativa (20-64 anni) . Analizzando entrambi i tassi
(Grafico 2.1), notiamo come l’Italia sia il paese con il maggior divario occupazionale
di genere con ben 19,4 punti percentuali (rispetto alla media europea di 10,0 punti
percentuali nel 2024). L’Italia è anche il paese con il più basso tasso di occupazione
(67,1%), seguito dalla Grecia (69,3%) e dalla Romania (69,5%). Anche se alcune
nazioni hanno raggiunto tassi di occupazione superiori all’81% (come ad esempio nei
Paesi Bassi con il l’83,5%), nel 2024 il tasso di occupazione medio dei paesi Ue è del
75,8%, dove l’obiettivo per il 2030 è il raggiungimento di un tasso del 78%.
Grafico 2.1 – Tasso di occupazione e divario occupazionale di genere, 2024
Fonte: Eurostat
15 Eurostat, “Gender Statistics”, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?titl
e=Gender_statistics (consultato il 12 luglio). 11
Analizzando invece alcuni dati INPS del 2023 (Tabella 2.1), notiamo co
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