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Le prime esperienze di scuola attiva, successivamente chiamata “educazione nuova” e poi
“pedagogia del progetto”, erano in realtà esperienze di nicchia per pochi allievi, in comunità chiuse.
Erano scuole all’aperto in cui i ragazzi erano impegnati nell’attività agricola, di falegnameria, nella
redazione di un giornale, ecc., sostanzialmente in attività di vita pratica e non in un’organizzazione
di insegnamento per discipline.
In Italia, il movimento della scuola attiva si è sviluppato soprattutto nel dopoguerra, cioè dopo la
liberazione della dittatura fascista. Un pedagogista italiano, Francesco De Bartolomeis, negli anni
‘50, è stato promotore della “la pedagogia dell’attivismo”.
1.2 Le Indicazioni Nazionali del 2012 e la competenza “Imparare ad imparare”
Le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione
del 2012, rappresentano un importante documento di riferimento per l’organizzazione e lo
svolgimento dell’attività didattica nella scuola. “Il curricolo di Istituto è espressione della libertà di
insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita le scelte della comunità
scolastica e l’identità di istituto” (Indicazioni Nazionali per il curricolo, 2012). La libertà di
insegnamento è garantita dall’art. 3 della Costituzione, che al comma 1 recita che: “L’arte e la
scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Tale principio riconosce al docente il diritto di
svolgere le proprie attività educativo-didattiche senza restrizioni di natura politica, religiosa o
ideologica. Questa libertà si manifesta sia nell’aspetto metodologico che nei contenuti,
rappresentando quella che viene definita “autonomia didattica”. L’art. 1 del Testo unico istruzione
(D. Lgs. 297/1994) stabilisce che “Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della
scuola […], ai docenti è garantita la libertà d’insegnamento intesa come autonomia didattica e
come libera espressione culturale del docente”, e che “L’esercizio di tale libertà è diretto a
promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della
personalità degli alunni”.
Le Indicazioni, che hanno sostituito gli storici Programmi, trovano il loro riconoscimento ufficiale
all’interno del DPR 275/1999 (Regolamento attuativo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche),
in cui all’art. 8 comma 2, si afferma che (Capaldo, Rondanini, 2021): “Le istituzioni scolastiche
determinano, nel Piano dell’offerta formativa, il curricolo obbligatorio per i propri alunni […], che
comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte”, tale istanza viene ulteriormente
rafforzata in un passaggio nel quale si sottolinea che: “A partire dal curricolo d’istituto, i docenti
individuano le esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte didattiche più significative, le
strategie più idonee, con attenzione all’integrazione fra le discipline e alla loro possibile
aggregazione in aree”.
Pertanto, il curricolo risulta formato dall’integrazione di due livelli: quello nazionale, che stabilisce
gli obiettivi e i traguardi di sviluppo delle competenze; e quello della singola istituzione scolastica,
alla quale viene riconosciuta piena autonomia progettuale, organizzativa, didattica, di ricerca e di
sviluppo, nel rispetto di quanto contenuto nelle Indicazioni ministeriali (Capaldo, Rondanini, 2021).
Nel nostro sistema scolastico le competenze chiave per l’apprendimento permanente (definite dal
Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea con la Raccomandazione del 18 dicembre
2006) sono parte integrante delle Indicazioni Nazionali e rappresentano un orizzonte di riferimento
al quale dobbiamo tendere e dal quale non possiamo prescindere. Esse sono tutte quelle competenze
che attendono alle aree disciplinari, ma non solo, si occupano anche di competenze trasversali, per
cui, alle competenze della madrelingua e nelle lingue straniere e alla competenza matematica, in
scienza, tecnologia e digitale, si affiancano le competenze di imparare ad imparare, sociali e
civiche, lo spirito di iniziativa, imprenditorialità, e la consapevolezza ed espressione culturale.
Rispetto alle competenze appena citate, vengono indicati alcuni indici, quali: progettare, risolvere
problemi, agire in modo autonomo e responsabile, acquisire e interpretare l’informazione,
comunicare, collaborare e partecipare, individuare collegamenti e relazioni. Questi indici ci
permettono di orientarci all’interno della valutazione delle competenze e sono tipici dell’azione
didattica. L’indice più importante, al quale dovremmo tendere è proprio “imparare ad imparare”.
Questa rappresenta la competenza massima sulla quale dovremmo lavorare maggiormente
all’interno delle classi, ovviamente facendo leva su tutti gli altri indici. Nella formazione per
competenze: il focus è puntato sullo studente che diventa il protagonista attivo del proprio
apprendimento; il docente, sempre presente, stimola, guida e accoglie senza pregiudizi le idee degli
studenti; del programma vengono privilegiati i concetti strutturanti ed i nuclei fondanti,
privilegiando così la qualità dell’azione didattica.
La didattica per competenze si basa sull’idea che gli studenti imparino meglio quando sono
coinvolti attivamente nella costruzione del loro sapere, attraverso esperienze di apprendimento
concrete. Questo approccio non si limita solo all’acquisizione di conoscenze, ma mira anche a
sviluppare la capacità di comprendere e utilizzare tali conoscenze in contesti nuovi e complessi,
come situazioni di vita quotidiana, ricerca o lavoro. Inoltre, favorisce la collaborazione tra gli
studenti, incoraggiandoli ad utilizzare le proprie risorse personali e a cooperare con gli altri per
affrontare sfide e problemi.
Capitolo 2: Learning by Doing e Didattica Laboratoriale
2.1 La metodologia di apprendimento “Learning by doing”
“Un’oncia di esperienza è meglio di una tonnellata di teoria, semplicemente perché è
nell’esperienza che la teoria può avere un significato reale vitale e verificabile”.
(Dewey)
In ambito didattico, l’attenzione verso il concetto di apprendimento attraverso l’azione, noto come
“Learning by doing”, che letteralmente significa “imparare facendo”, è strettamente connessa
agli studi e all’opera di John Dewey. Secondo questa prospettiva, l’apprendimento avviene in
modo più efficace e duraturo quando gli studenti si impegnano attivamente in esperienze concrete.
Il concetto di learning by doing si focalizza principalmente sull’idea di apprendere attraverso
l’azione diretta, cioè attraverso il coinvolgimento attivo e le attività pratiche, dove l’acquisizione di
conoscenza non è semplicemente un atto di memorizzazione, ma piuttosto un processo di
comprensione profonda.
Secondo questa prospettiva, non si apprende semplicemente attraverso operazioni meccaniche cioè
attraverso una mera ripetizione di azioni sequenziali l’una all’altra, ma è essenziale che l’azione sia
accompagnata da un pensiero. Questo comporta che, per interiorizzare efficacemente bisogna
comprendere ciò che si sta facendo, quindi: all’azione deve essere associato un pensiero critico, al
fine di acquisire piena consapevolezza delle azioni compiute.
Associando questo pensiero all’azione, il learning by doing diventa anche un learning by thinking,
cioè un apprendimento, un fare, accompagnato da un pensiero ma anche da un dialogo, sia con se
stessi che con gli altri, promuovendo così anche forme di apprendimento cooperativo. Il vero
apprendimento si realizza così quando l’azione è integrata con la riflessione e la conoscenza è
applicata in contesti reali, dando luogo a nuove forme di comprensione e competenza.
Nel contesto attuale, il learning by doing rappresenta una metodologia ampiamente adottata in
quanto, come sopra esplicitato, implica un processo di learning by thinking intrinseco. Ogni azione
compiuta viene attentamente ponderata consentendo un’assimilazione profonda delle esperienze,
pronte per essere richiamate ed applicate in occasioni future.
Oggi, tuttavia, si è riconosciuta l’importanza della motivazione come ulteriore componente. Sta
emergendo che gli studenti, in assenza di una motivazione intrinseca, faticano ad apprendere.
Questo deficit si traduce di conseguenza in una mancanza di riflessione sulle attività svolte.
Pertanto, accanto all’aspetto pratico del fare, è essenziale considerare anche l’aspetto emotivo
legato alle motivazioni fondamentali che spingono i ragazzi a perseguire sempre più il
miglioramento continuo.
All’interno dei laboratori del learning by doing è interessante osservare come sia cambiato il ruolo
dell’insegnante e quello degli studenti. Il docente non si limita più ad impartire lezioni in modo
tradizionale, ma piuttosto seleziona e utilizza solo i contenuti essenziali al fine di raggiungere gli
obiettivi prefissati. In questo contesto, l’insegnante condivide con gli studenti i mezzi e gli
strumenti necessari per raggiungere gli obiettivi, coinvolgendoli pienamente sin dalle prime fasi del
processo di apprendimento. Incoraggia il lavoro di gruppo tra gli studenti, gestendo eventuali
conflitti che possono sorgere durante le attività. Inoltre, deve ancorare le esperienze di
apprendimento alla realtà concreta, basandosi su ciò che viene sperimentato direttamente anziché
sulle sole nozioni teoriche.
Anche lo studente dovrà assumere un nuovo ruolo all’interno del processo, poiché non si limiterà
più a ricevere solo nozioni teoriche dall’insegnante, ma sarà chiamato ad essere attivo sia a livello
cognitivo che operativo fin dalle fasi iniziali del laboratorio. In questo modo, lo studente non solo
acquisirà conoscenze in maniera significativa, ma avrà anche l’opportunità di sviluppare e
migliorare le proprie competenze. Dal punto di vista pratico, sarà incoraggiato ad esplorare le
proprie inclinazioni, capacità e talenti, mettendoli in pratica e sperimentandoli, al fine di, non solo
comprendere gli obiettivi, ma anche di affinare le proprie abilità.
2.2 Didattica laboratoriale, inclusione e ruolo del docente
La didattica laboratoriale rappresenta uno strumento fondamentale per implementare l’istruzione
centrata sullo sviluppo delle competenze. Questo approccio è ampiamente diffuso