Il ciclo di Kolb
Questo ciclo di apprendimento può avere inizio da uno qualsiasi dei quattro punti!
L'apprendimento esperienziale deve coinvolgere in maniera globale l'individuo, renderlo più partecipe e parte integrante dell'attività compiuta, in modo tale da affiancare all'apprendimento semplice di tipo cognitivo un segno derivato dall'esperienza vissuta.
Le quattro fasi del ciclo di Kolb
Questo ciclo di apprendimento si compone di quattro fasi:
- Esperienza concreta: Coinvolgersi pienamente e apertamente in esperienze nuove.
- Osservazione riflessiva: Riflettere su queste esperienze ed osservarle da molteplici prospettive.
- Formazione di concetti astratti: Creare concetti che integrino le osservazioni teoriche valide.
- Sperimentazione attiva: L'ipotesi e le sue alternative vengono testate attraverso l'azione. Il risultato delle prime, diventate azione, produce delle conseguenze, ovvero delle nuove situazioni o dei nuovi problemi.
In questo iter risulterà fondamentale l'intervento di un adulto. A livello scolastico, sarà il docente ad avere il compito di aiutare l'allievo a rielaborare ed interpretare l'esperienza; il ciclo dell'apprendimento non sarà completato sino a che la nuova esperienza non verrà applicata.
Questo percorso può avere anche risultati negativi: se l'educatore sceglie, infatti, attività inappropriate per le caratteristiche dei suoi bambini, l'apprendimento per esperienza può condurre ad un livello di autostima inferiore. Quindi, in educazione, molto importante non è tanto l'attività in sé, la quale è solo un mezzo, ma piuttosto quanto l'adulto sappia utilizzarla in forme responsabili, efficaci ed eticamente corrette.
«L'educazione è l'arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo» Nelson Mandela
«Lo scopo dell'educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre» Sydney J. Harris
Il gioco
Cos'è il gioco?
L'essere umano è fatto per muoversi: ha bisogno di essere attivo, di sviluppare i propri sistemi organici e di stimolare il benessere psico-fisico. A maggior ragione il bambino che nella fase di crescita è vivace, ha un forte impulso evolutivo e necessita di sviluppare il proprio movimento con attività vitali e vigorose; per questi motivi è importante che il movimento non sia contenuto, ma educato, soprattutto durante la fase di sviluppo. L'attività che riesce a soddisfare queste condizioni è il gioco!
Il gioco è un concetto polisemico: riesce ad impegnare pienamente il soggetto e al contempo lo stimola sia a livello psicologico, sia fisiologico. Il gioco è un'attività umana, non infantile: la differenza tra bambini e adulti è che, mentre per i primi rappresenta un bisogno primario, poiché vi è un concreto bisogno di giocare e senza di esso non può raggiungere l'apice del suo sviluppo psico-fisico, per i secondi si limita ad essere un passatempo.
Oggigiorno tutto ciò è molto limitato a causa di vari «problemi moderni». Uno dei principali tra essi è rappresentato dal rischio/pericolo. Russel scrisse "Children and dangerous sport and recreation" nel quale si spiegano due differenti visioni:
- The common sense view: il gioco comporta normalmente la dimensione del rischio.
- The uncommon sense view: la ricerca intenzionale del rischio.
Russel spiega come il gioco, in quanto tale, comporti la dimensione del rischio: il bambino giocando corre dei rischi, ed essi non possono essere eliminati, perché sono elementi fisiologici del gioco. L'adulto deve prevenire, ma senza un comportamento d'iper-protezionismo (paternalismo), poiché rischiare è educativo e pertanto impedirlo danneggia il bambino.
Benchè originariamente il rischio nel gioco del bambino non fosse percepito come problema, recentemente è iniziato a diventarlo a causa di questo paternalismo. Per questo motivo ho scritto «problemi moderni», per enfatizzare come questa percezione non sia da accettare in modo dogmatico e, anzi, appaia piuttosto confutabile.
Studi sul gioco
Sebbene i bambini siano sempre esistiti, non vale la medesima affermazione per «l'infanzia», intesa da un punto di vista sociale. Una volta questa era solamente un'età precaria, in cui il bambino non era importante e si attendeva che diventasse grande. Nell'età moderna, ovvero tra il XV e XVI secolo, con la prima rivoluzione industriale, se ne scoprì il valore sociale da cui conseguentemente dipende il valore conferito al gioco, poiché durante questa attività il bambino s'impegna tantissimo.
Nel 1423, Vittorio da Feltre, aprì a Mantova la «Ca' Zocosa», una scuola fondata sul valore del gioco e delle attività all'aperto; questa istituzione educativa durò pochi anni, ma lanciò un seme con fertilità futura. Nel 1898, infatti, Carl Gros scrisse "The play of Animals" e, due anni dopo, "The play of man". Gros fu il primo a studiare sistematicamente il comportamento animale dal punto di vista ludico: per lui il gioco era un comportamento naturale. Configurò nove categorie di giochi, quali:
- Giochi di sperimentazione: sperimentare per capire gli errori.
- Giochi di movimento: movimenti finalizzati per il piacere.
- Giochi di caccia: per la sopravvivenza.
- Giochi di lotta: anch'essi per la sopravvivenza.
- Giochi d'amore: nel mondo animale si lotta per amore.
- Giochi di costruzione: costruire per il piacere.
- Giochi per curare: prendersi cura dei più piccoli.
- Giochi d'imitazione: imitare i più grandi.
- Giochi di curiosità: in natura la curiosità t'insegna a difenderti.
Oltre alla divisione dei giochi in categorie, egli scrisse un libro in difesa dell'aggressività, sostenendone l'essenzialità, imponendo però al contempo la capacità di gestione. Secondo Gros, se l'uomo non avesse coltivato l'aggressività, non sarebbe, infatti, sopravvissuto a specie animali più forti.
Un'altra importante considerazione sul gioco viene esposta da J. Huizinga, autore del libro "Homo Ludens", scritto nel 1939, il quale dimostra come la nostra civiltà si regga sugli stessi principi/regole che animano il gioco. Huizinga descrive il gioco come attività normale e biologica dell'essere umano: i bambini giocano in quanto predisposti a farlo. Ogni attività ludica è un atto di libera scelta: si è liberi di giocare, ma non si è liberi nel giocare.
Questa differenza di libertà spiega come il bambino è sì libero di giocare quando vuole, ma a patto che siano rispettate delle regole, poiché se si trasgredisce, l'attività crollerebbe e non esisterebbe più. Affinché questo possa esistere, occorre rispettare i suoi principi basati sulla condivisione. Le norme del gioco sono elementi che caratterizzano la vita sociale.
Roger Caillois, autore del libro "I giochi e gli uomini", definisce il gioco un'attività:
- Libera: nessuno ci obbliga.
- Incerta: non si può determinare in anticipo il risultato finale.
- Improduttiva: non crea né beni né ricchezza.
- Regolata: sottoposta a convenzioni (parola meno rigida di regole) più o meno vincolanti.
- Separata: il gioco è definito entro limiti di tempo e spazio.
- Fittizia: sinonimo di «Separata», solamente che è un termine più soggettivo; il bambino ha la consapevolezza di entrare in una diversa realtà rispetto alla vita quotidiana.
A differenza di Huizinga, Caillois fece una classificazione dei giochi in due macrocategorie:
- PAIDIA: esuberanza irrequieta, divertimento libero, disordine e fantasia. Tale categoria si pone in contrasto rispetto alla teoria di Huizinga per il contesto delle regole. Secondo Caillois questa macrocategoria è universale per tutti i bambini del mondo e talvolta si presenta anche per gli adulti.
- LUDUS: ordine, disciplina e regole. Nella concezione di Huizinga esisteva solo questa macrocategoria.
All'interno di questi due poli antagonisti, Caillois distinse anche quattro tendenze che determinano le categorie del gioco: «Agon», dal greco «spazio alla lotta», in cui vince il migliore; «Alea», dal latino «dado», che si basa sulla scommessa e pertanto si vince o si perde per fortuna; «Mimicry», che si basa sul concetto di credere e far credere qualcosa che non è vero agli altri, ed attinge dal mimetismo degli animali; infine «Ilinx», che significa «vertigine»: è il desiderio di sprofondare nell'incoscienza, di provare piacere nel perdere il controllo del proprio rapporto con lo spazio, qui la dimensione del rischio è fondamentale.
Il gioco all'aperto
Alla fine del Cinquecento, «medicina fisica» e la ricreazione iniziano a essere considerate come una necessaria attività per i giovani. Silvio Antoniano, con la sua opera "Dall'educazione cristiana de' figliuoli", si concentra sullo sviluppo fisico, intellettuale e morale del bambino. Egli, infatti, consigliava agli insegnanti di portare i propri fanciulli in luoghi nei quali la solitudine fosse in grado di dare maggior libertà ai giochi di quest'ultimi.
Nel Seicento poi le istituzioni scolastiche iniziarono a diffondersi, e con esse anche il gioco, il quale doveva però essere di una certa eleganza. Per tale motivo ne erano proibiti molte tipologie, tra cui quelli violenti e scomposti, in quanto il fine era quello di concedere ai docenti riposo e tempo per distendere la mente. Tutto ciò portò alla nascita di giochi di abilità e destrezza.
«Lasciare ai fanciulla la libertà di giocare all'aria aperta così da fortificare il fisico; saranno accolti i giochi divertenti che si fondano sulla fantasia più che sulla ragione e che sono utili per scoprire il loro temperamento» J. Locke
Alla fine del Seicento, John Locke, ebbe una forte influenza nell'educazione.
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Pedagogia generale e della cura educativa
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