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Essi arrivano addirittura a chiedersi: “Perché ci ha strappato alla nostra schiavitù, la nostra

dolce notte Egiziana?” Questa domanda corrisponde alle diverse rivolte anticoloniali che si

sono susseguite nel corso della storia. In che modo il civilizzatore seguirà il suo destino

ineluttabile di conquista? La risposta è in questo verso: “I porti in cui non entrerai e le strade

che non percorrerai, le costruirai con i tuoi vivi e le contrassegnerai con i tuoi morti.” E

ancora, il valore aggiunto del breve componimento di Kipling sta in primo luogo nel fatto di

aver contribuito a liberare l’uomo occidentale dai sensi di colpa che la letteratura

colpevolizzante, soprattutto da un punto di vista culturale, gli aveva fatto assorbire e, in

secondo luogo, nel aver ricordato come non tutto il dominio coloniale sia stato una

passeggiata, soprattutto per i tanti uomini umili che ne sono stati i protagonisti “dimentica i

giorni dell’infanzia - l’alloro offerto con leggerezza, il premio facile, concesso di buon

grado”, per riprendere ancora le parole della poesia.

Al di là però dell’analisi di questa poesia, la quale mostra chiaramente una visione pessimista

e catastrofica, è interessante aprire una parentesi sul pensiero generale delle scienze sociali

sull’ineluttabilità della colonizzazione e di conseguenza sulla definizione più generale di

159

quello che poteva essere considerato il fardello dell’uomo bianco.

Il concetto secondo cui l’opera degli europei progrediti consiste nella civilizzazione dei popoli

160

barbari deriva dallo sviluppismo cioè dalla teoria sociale ovvero dall’idea secondo la quale

tutte le società progrediscono seguendo lo stesso percorso lineare.

159 Lentini O., Saperi sociali ricerca sociale 1500-2000, Vol. I, cap. V e cap. VIII, Franco Angeli, Milano, 2003.

160 Lo sviluppismo lineare è un concetto comune sia alla filosofia liberale che a quella marxista. 58

Seguendo questa visione è quindi inevitabile che l’uomo occidentale, superiore e moderno,

debba esportare la civiltà nei territori dei popoli ancora selvaggi (come afferma anche Kipling

nella sua poesia). L’autore in particolare ha prodotto nuovi miti per consolidare l’idea

culturale della missione civilizzatrice, organizzata in nome della modernità e del progresso.

Ad esempio l’idea dell’indiano “mezzo selvaggio” era molto più di uno stereotipo anglo-

161

indiano: era un aspetto dell’autenticità di Kipling e l’altra faccia dell’Europa.

Un punto di vista molto interessante risulta anche essere quello del filosofo ed economista

tedesco Karl Marx il quale già nel 1853 sembrò anticipare l’importanza dell’oneroso compito

dei colonizzatori occidentali; egli pur riconoscendo la razionalizzazione della violenza

colonialista, sosteneva che il dominio britannico in India (evidente nella distruzione delle

arretrate comunità di villaggio del continente sub-indiano), aveva l’obiettivo di svolgere una

funzione modernizzante, aiutando lo sviluppo delle popolazioni colonizzate e avviandole al

162

futuro comunismo. Egli riteneva che la storia che sarebbe stata ricavata dall’oppressione,

dalla violenza e dalla dislocazione culturale, avrebbe prodotto una nuova coscienza sociale in

Asia e Africa. Solo così i cosiddetti primitivi storici avrebbero un giorno imparato a vedersi

come i padroni della natura e quindi, del proprio destino. Molti decenni dopo, è diventato

ovvio che lo spunto del dominio sugli uomini non è solo un sottoprodotto di un’economia

politica difettosa, ma anche di una visione del mondo che crede nell’assoluta superiorità

dell’umano sul sub umano, del maschile sul femminile, dell’adulto sopra il bambino e del

moderno/progressista sopra il tradizionale/selvaggio. E le antiche forze dell’avidità e della

violenza umana hanno semplicemente trovato una nuova legittimità nelle dottrine

antropocentriche della salvezza secolare, nelle ideologie del progresso, della normalità e

dell’ipermascolinità, e nelle teorie della crescita cumulativa, della scienza e della tecnologia.

Riportando infine alcune parole di Marx:

“tutto ciò che la borghesia inglese sarà indotta a fare non emanciperà né migliorerà

161 Ashis Nandy, The psychology of colonialism, cit., p. 26.

162 Karl Marx, Il dominio britannico in India, in New York Daily Tribune, n° 3804, giugno 1853. 59

materialmente la condizione sociale delle masse ché, nonché dallo sviluppo delle forze

produttive, dipende dall'appropriazione di queste da parte del popolo indiano.”

Egli concluse l’attenta analisi sulla dominazione britannica in India con un interrogativo la cui

risposta implicita è intrisa di retorica. “La borghesia ha mai fatto di più? Ha mai contribuito al

163

progresso senza trascinare i popoli nel sangue e nel fango, nella miseria e nella labe”?

Inoltre il filosofo e saggista francese Albert Camus scrisse: “Attraverso una curiosa

164

trasposizione peculiare dei nostri tempi [...] è l’innocenza che è chiamata a giustificarsi”.

Quest’ affermazione, la giustificazione dell’innocenza, dovrebbe essere amplificata in un

mondo in cui la retorica del progresso usa il fatto del colonialismo per sovvertire le culture

delle società soggette ad esso, una sorta di giustificazione della minaccia esterna per

legittimarsi e perpetuarsi. Fu quella stessa innocenza che alla fine sconfisse il colonialismo,

per quanto la mente moderna vorrebbe attribuire il merito alle forze storiche mondiali, alle

contraddizioni interne del capitalismo e al buon senso politico o autoliquidazione dei

governanti.

Il colonialismo moderno, in particolare il dominio coloniale in India, ha ottenuto le sue grandi

vittorie non tanto per la sua abilità militare e tecnologica, quanto per la sua capacità di creare

gerarchie secolari incompatibili con l’ordine tradizionale autoctono. Queste gerarchie hanno

aperto nuove prospettive per molti, in particolare per coloro che sono stati sfruttati o messi

alle strette all’interno dell’ordine tradizionale. Per loro il nuovo ordine sembrava (e qui stava

165

la sua spinta psicologica) il primo passo verso un mondo più giusto ed eguale. L’Impero

costituì, in particolare, una grande utopia collettiva, nel cui interno potevano sovrapportsi

atteggiamenti molto diversi come ad esempio: il sogno d’avventura, il desiderio di

163 Karl Marx, I risultati della dominazione britannica in India, in New York Daily Tribune, n° 3840, agosto

1853.

164 Ashis Nandy, Preface to A. Nandy, The psychology of colonialism, The intimate enemy: Loss and Recovery of

Self under Colonialism, Oxford University Press, Calcutta, p. 9.

165 Ecco perchè alcune delle migliori menti critiche in Europa (e in Oriente) pensavano che il colonialismo,

introducendo strutture moderne nel mondo barbarico, avrebbe aperto il non Occidente al moderno spirito critico-

analitico. 60

arricchimento facile, la voglia di evadere dalle costruzioni sociali imposte in patria, quel senso

del dovere che anche Kipling decanta all’interno della poesia sopra citata (la quale a sua volta

è impregnata di aspirazioni di cieca fiducia nel progresso universale portato dal pensiero

166

scientifico e dalla tecnologia). In particolare, una volta che i governanti britannici e gli

indiani interiorizzarono le definizioni dei ruoli coloniali, le menti degli uomini furono in larga

misura conquistate dal Raj. Fondamentale per questa cooptazione culturale fu il processo che

167

la psicoanalisi chiama identificazione con l’aggressore.

Nella cultura coloniale, tale concetto legava i governanti ai governati in una relazione

indissolubile. Il Raj vedeva gli indiani come barbari che avevano bisogno di ulteriore

civilizzazione mentre considerava il dominio britannico sia come un agente di progresso sia

come un’azione. Essi potrebbero non aver condiviso pienamente l’idea britannica delle razze

marziali ma le hanno fatte risorgere nel tradizionale concetto indiano di governo e diedero a

168

tale idea una nuova centralità.

Il presupposto che alcuni gruppi etnici fossero in grado di produrre soldati migliori di altri è

169

collegato alla teoria delle razze marziali. In India questa teoria (sulle razze) fu introdotta

dagli inglesi i quali osservarono come alcuni uomini fossero più feroci di altri nei

combattimenti. Essi quindi distinsero i gruppi etnici in due categorie: quella dei marziali e

quella dei non marziali. I primi erano uomini considerati adatti ai combattimenti grazie

soprattutto al loro coraggio mentre i secondi si ritenevano soldati inadatti a causa soprattutto

dei loro stili di vita sedentari.

Le qualità positive della somiglianza con l’infanzia, come sosteneva anche Kipling, erano gli

166 Paolo Bertinetti, Storia della letteratura inglese. Dal romanticismo all’età contemporanea. La letteratura

inglese, Vol. II, Einaudi, Torino, 2000, pp.72-73.

167 L’identificazione con l’aggressore è una delle forme d’identificazione concettualizzate dalla psicoanalisi:

nello specifico è un meccanismo di difesa introdotto da S. Ferenczi e ampliato da A. Freud secondo cui di fronte

a una minaccia esterna, tipicamente rappresentata da un’autorità critica, il soggetto si identifica con il suo

aggressore.

168 John Gallagher, Congress in Decline: Bengal, 1930 to 1939 in Modern Asian Studies, vol. 7, no. 3, 1973, pp.

589–645.

169 Heather Streets, Martial Races: The military, race and masculinity, in British Imperial Culture, 1857-1914,

Manchester, Manchester University Press, p. 105. 61

attributi delle devote e obbedienti razze marziali dell’India. L’aggressività passiva, infantile o

femminile, era l’attributo dell’apparente civiltà che l’India, contrariamente ai selvaggi

170

africani, sembrava avere: questo era il significato ultimo dello spirito del colonialismo.

Sul piano teorico il nazionalismo etnico fu quindi enormemente rafforzato dalla

trasformazione di un concetto centrale delle scienze sociali del XIX secolo: quello di razza.

Da una parte, infatti, la divisione ormai consolidata del genere umano in poche razze

suddivise in base ad alcune caratteristiche, a partire dal colore della pelle, veniva riformulata

in una serie di differenze razziali che distinguevano le persone. D’altra parte, l’evoluzionismo

darwiniano, appoggiato da ciò che si sarebbe poi chiamato genetica, corredò il razzismo con

quella che si presentava come una serie di robuste motivazioni “scientifiche”.

Nel XIX secolo gli inglesi erano quasi gli unici a vantare le proprie origini miste, bretoni,

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A.A. 2020-2021
95 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/10 Letteratura inglese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ProfSueli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura inglese 5 e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica "e-Campus" di Novedrate (CO) o del prof Pepe Paolo.