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LIBRO DI CHARTIER
Le mutazioni del presente o le sfide della testualità informatica.
Le mutazioni del nostro presente trasformano i supporti della scrittura, la tecnica della sua
riproduzione e della sua diffusione e anche i modi di leggere. L’invenzione della stampa non ha
modificato la struttura fondamentale del libro, che restò composto da quaderni, fogli e pagine
riunite in un unico oggetto. Nei primi secoli dell’era cristiana questa nuova forma del libro, il codex,
si impose a spese del rotolo, il volumen, ma non fu accompagnata da una trasformazione analogo
della tecnica di riproduzione dei testi, garantita dalla copia manoscritta. E se la lettura ha conosciuto
diverse rivoluzioni esse sono avvenute durante la lunga storia del codex: ad esempio, la conquista
medievale della lettura silenziosa e visuale, la smania di leggere che si diffonde all’epoca dei lumi
o, partire dal XIX secolo, l’ingresso in massa dei nuovi arrivati nel mondo della lettura: i ceti
popolari, donne e bambini. La rivoluzione informatica ci obbliga a rivedere radicalmente i gesti e le
nozioni che associamo di solito allo scritto. I frammenti di testo che compaiono sullo schermo non
sono pagine, ma composizioni singolari ed effimere. E il libro elettronico non si differenzia più
dalle altre produzioni scrittorie per l’evidenza della sua forma materiale. C’è discontinuità anche per
quanto riguarda la lettura: la lettura davanti a uno schermo è frammentata, segmentata, legata al
frammento più che alla totalità. Si potrebbe considerare l’erede diretta del codex, in quanto
quest’ultimo invitava a: sfogliare i testi, appoggiandosi ai loro indici; mettere a confronto passi
diversi; estrarre e copiare citazioni o massime. Tuttavia, la discontinuità e la frammentazione della
lettura non hanno lo stesso senso quando si accompagnano alla percezione della totalità testuale
racchiusa nell’oggetto scritto e quando la superficie luminosa che fa leggere i frammenti dello
scritto non fa più vedere i limiti e la coerenza del corpus da cui sono estratti quei frammenti. Gli
interrogativi del presente sono i seguenti, quindi:
Come mantenere il concetto di proprietà letteraria (definito in base a un’identità perpetua
- delle opere e riconoscibile indipendentemente dalla forma della loro pubblicazione), in un
mondo in cui i testi sono malleabili, aperti e in cui ciascuno può “proseguire la frase” senza
che vi si prestasse attenzione?
Come riconoscere un ordine dei discorsi che è sempre stato un ordine dei libri o, per meglio
- dire, un ordine dello scritto che associava autorità del sapere e forma della pubblicazione,
mentre le possibilità tecniche permettono di dare una circolazione universale non soltanto
alle conoscenze ma anche agli errori?
Come preservare modalità di lettura che erigono il significato a partire dalla coesistenza di
- testi in un unico oggetto (libro, rivista, giornale), mentre il nuovo modo di conservare e
trasmettere gli scritti impone alla lettura una logica analitica ed enciclopedica, in cui i testi
non hanno altro contesto che quello dovuto alla loro appartenenza a una stessa rubrica?
La digitalizzazione delle raccolte esistenti permette di costituire una biblioteca senza pareti in cui si
potrebbe accedere a tutte le opere che siano state pubblicate, a tutti gli scritti che costituiscono il
patrimonio dell’umanità. Il rischio è che vengano meno gli oggetti scritti che ne sono stato il
supporto. La minaccia non è generale e gli incunaboli non hanno nulla da temere, ma lo stesso non
si può dire per le pubblicazioni più recenti e umili. Bisogna quindi per forza scegliere tra
entusiasmo per questa novità o deplorazione? Forse è utile invocare l’unica competenza di cui gli
storici possono vantarsi. Gli storici hanno contribuito ad analizzare più lucidamente le novità che
seducevano o spaventavano i loro contemporanei.
Il compito dello storico
Nel 1933 Lucien Febvre inaugurava l’insegnamento di Storia della civiltà moderna, fortemente
convinto che la storia fosse capace di costruire problemi e ipotesi. Nel 1950 Braudel, che gli
succedette nella stessa cattedra, insisteva maggiormente sulle responsabilità della storia in un
mondo sottosopra e privo delle certezze faticosamente ricostruite. Per Braudel, solo ricostruendo le
temporalità articolate che caratterizzano ogni società diventava possibile capire il dialogo sempre
esistente fra la lunga durata e l’evento. Ho citato questi due studiosi per evidenziare anche la
distanza che ci separa da loro. Il nostro dovere non consiste più nel ricostruire la storia, ma
nell’accettare il fatto che oggi gli storici non hanno più il monopolio delle rappresentazioni del
passato: la memoria e l’invenzione le fanno concorrenza. Del resto non è una novità: i dieci drammi
storici di Shakespeare riuniti nell’in-folio del 1623 sotto una rubrica apposita hanno plasmato una
storia dell’Inghilterra più forte e più vera di quelle raccontate dalle cronache cui il drammaturgo si
era ispirato. Nel 1690 il dizionario di Furetière registra questa prossimità tra storia veridica e
finzione verosimile in quanto designa la storia come la «narrazione delle cose o delle azioni come si
sono svolte o come potevano svolgersi». Anche le rivendicazioni della memoria, individuale o
collettiva, privata o istituzionalizzata, hanno messo in crisi le pretese del sapere storico, giudicato
freddo e inerte. La storia deve rispettare le esigenze della memoria, necessarie per guarire le
innumerevoli ferite, ma allo stesso tempo deve riaffermare la specificità nell’ambito della
conoscenza che le è proprio. Evidenziando la propria diversità rispetto a potenti discorsi dovuti alla
finzione o alla memoria, la storia è in grado di assumersi la responsabilità che le compete: rendere
intelligibili le eredità accumulate e le discontinuità fondatrici che hanno fatto di noi ciò che siamo.
È importante nello stesso modo, però, collegare sempre lo studio dei testi, quali che siano, a quello
delle forme che concedono loro l’esistenza e delle appropriazioni che li investono di senso. lo
scritto è trasmesso ai lettori o agli ascoltatori da oggetti o voci di cui bisogna comprendere le
logiche materiali e pratiche.
Scritto e culture scritte nell’Europa moderna
Lo spazio delimitato in cui mi muoverò sarà l’Europa. Ma trattare con l’Europa non impedisce di
istituire confronti con altre civiltà che hanno maneggiato lo scritto e conosciuto la stampa.
L’Europa, dunque, moderna. nel gergo degli storici, «moderna» si applica a un periodo di circa tre
secoli: dal XV secolo alle rivoluzioni dalla fine del XVIII secolo.
A partire dal XV secolo il ricorso allo scritto ha avuto un ruolo essenziale nella maggior parte delle
evoluzioni più importanti delle società occidentali. La prima è la costruzione di uno Stato fondato
sul diritto e sulla finanza, che presuppone la creazione delle burocrazie, la costituzione di archivi, la
comunicazione amministrativa e diplomatica. È vero che i poteri diffidarono dello scritto e lo
censurarono in ogni modo ma è anche vero che sempre più spesso hanno basato il governo dei
territori e dei popoli sulla corrispondenza pubblica, sulla registrazione scritta, sulla propaganda a
stampa. Un altro fenomeno essenziale è il legame creatosi tra esperienza religiosa e usi dello scritto.
Molte sono le tracce lasciate dalle scritture ispirate: autobiografie spirituali ed esami di coscienza,
visioni e profezie, viaggi mistici e racconti di pellegrinaggi. Sullo scritto si è basata anche
l’imposizione di nuove regole di comportamento imposte dall’esercizio assoluto del potere. Indicata
da Norbert Elias come un lungo processo di civilizzazione, che impone il controllo degli affetti e il
dominio delle pulsioni, l’allontanamento dalla materialità del corpo e l’innalzamento della soglia
del pudore, questa trasformazione profonda nella struttura della personalità ha mutato i precetti in
condotte, le norme in habitus, gli scritti in pratiche.
Infine, nel corso del XVIII secolo furono le corrispondenze, le letture e le conversazioni dotte a
determinare l’emergere di una sfera pubblica, dapprima estetica, poi politica, in cui furono messe in
discussione e poste sotto esame tutte le autorità. Queste evoluzioni non procedono alla stessa
velocità in tutta Europa e non riguardano in pari misura la corte e le città, i letterati e il popolo. Da
qui deriva il termine «culture», per indicare la frammentazione sociale in cui gli usi dello scritto e la
capacità di padroneggiarlo penetrano in modalità assai diverse e diseguali. La parola «cultura» ha
prodotto diverse accezioni, tra cui quella che sarà presa come riferimento da Chartier: quella che
articola le produzioni simboliche e le esperienze estetiche, sottratte alle urgenze del quotidiano, con
i linguaggi, i rituali e le condotte grazie a cui una comunità vive e riflette il suo rapporto con il
mondo, con altre comunità e con se stessa.
Che cos’è un libro?
Nel 1796 Kant pone la seguente domanda nella Metafisica dei costumi. Il filosofo fa una distinzione
tra il libro come opus mechanicum, cioè come oggetto materiale che appartiene al suo acquirente, e
il libro come discorso indirizzato a un pubblico. C’è una lunga storia delle metafore del libro:
alcune ritengono il libro una creatura umana, dotata di un’anima e di un corpo. Nella Spagna del
secolo d’oro la metafora comporta due figure speculari: da un lato la figura del Dio stampatore, che
mise sul torchio la sua immagine e la sua impronta, affinché la copia si adeguasse alla forma che
doveva prendere; dall’altro la figura dello stampatore demiurgo, che dà all’anima della sua creatura
la forma corporea che le si addice. Altre indagini si occuperanno del paradosso all’origine della
proprietà letteraria, formulato nel corso del XVIII secolo: in realtà, le composizioni letterarie
poterono essere considerate come beni immobili soltanto dal momento in cui le opere scritte furono
separate da ogni materialità particolare. Da qui deriva la separazione fondamentale tra l’identità
essenziale dell’opera e la pluralità indefinita dei suoi stati. Da qui le esitazioni storiche che ci
conducono sui criteri di definizione della proprietà letteraria, il cui presupposto è che un’opera
possa sempre essere riconosciuta come uguale a sé stessa, quale che sia il modo della sua
pubblicazione e della sua trasmissione. Questo è il fondamento della proprietà imprescrittibile ma
trasmissibile che g