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3.3. LE DONNE E IL BURNOUT

Le donne, come sono più inclini a scegliere una professione d'aiuto, così saranno più

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soggette a pressioni e stress. Si può parlare di diversa reazione alle difficoltà. Le

donne davanti a un problema che non riescono a gestire si sentono inadeguate,

frustrate e sperimentano un abbassamento del livello di autostima. In altre parole lo

prendono come un fallimento personale, dovuto alle proprie incapacità. Lo stress che

si genera non intacca solo le loro competenze in ambito lavorativo, ma coinvolge la

loro identità personale, femminile, che le porta ad essere naturalmente inclini ad

aiutare gli altri. Questo non significa che gli uomini siano immuni dallo stress ma che,

non coinvolgendo la propria identità personale e non colpevolizzandosi, giustificando

gli insuccessi sulla base di fattori esterni, riuscirebbero a distaccarsi emotivamente,

assumendo un atteggiamento di neutralità nei confronti dell'utente e mettendo al riparo

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la propria autostima.

Il fatto secondo cui le assistenti sociali donne più degli uomini tendono a farsi

coinvolgere, a esporsi verso l'utenza, verso i loro vissuti e i loro problemi influisce

maggiormente nell'insorgere della sindrome del burnout. Uno degli aspetti a mio

parere più gravi delle diversità di genere è che il burnout nelle donne intacca

l'immagine di sé e non solo l'ambito professionale, come invece accade negli uomini.

90 Ivi, pp. 194-206.

91 Del Rio G., Stress e lavoro nei servizi: sintomi, cause e rimedi del burnout, 1990, p. 49.

92 Badolato G., Le donne nelle professioni di aiuto. Una riecrca sul burnout femminile, 1993, pp. 7-10.

55

Maslach e Jackson (1981) hanno rilevato che le donne sperimentano un tasso di

esaurimento emotivo maggiore rispetto agli uomini (più predisposti alla

depersonalizzazione) proprio perché viene messa in gioco la propria identità

femminile, con conseguente messa in discussione delle proprie capacità e della propria

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identità, nonché l'esaurimento delle proprie risorse emotive. La conseguenza è che gli

uomini scaricano la propria tensione sul rapporto con l'utenza, distaccandosi

emotivamente; le donne al contrario si prosciugano emotivamente, pagando

94

personalmente i costi del lavoro d'aiuto.

Contessa (1987, cit. da Badolato 1993, p. 133) introduce una riflessione

interessante partendo dal presupposto che causa del burnout può essere l'assenza di

prospettive di carriera. Fin qui abbiamo detto che gli uomini più delle donne sono

orientati al successo, al prestigio, all'affermazione personale e verrebbe naturale

affermare che per questo il genere maschile sia più predisposto all'insorgere della

sindrome. È qui la conferma che gli uomini non siano del tutto estranei allo stress,

nonostante abbiano delle difese naturali maggiori, tipiche dell'identità di genere.

Il forte coinvolgimento che caratterizza le donne può essere causato anche dal fatto

che si identificano spesso nelle utenti, il più delle volte donne anche loro. Non è raro il

pensiero “potrei avere anche io questo problema legato alla famiglia” ed è qui che si

tende a esporsi in maniera eccessiva e a rispecchiarsi intrecciando ruolo professionale

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e lavorativo. Infatti Del Rio (1990, p.48) scrive che il burnout

può inoltre essere inteso come la drammatica risoluzione di un conflitto percepito tra ruolo

familiare e ruolo professionale, e sono le donne, tanto per cambiare, a soffrirne

maggiormente.

La donna, a differenza dell'uomo, non considera il lavoro come ragione per essere

meno presenti come madre o come moglie, anzi, è nella loro indole dare comunque il

massimo, e questo succede anche nei confronti del lavoro.

Tuttavia il conflitto viene percepito dagli uomini sul lavoro mentre dalle donne

93 Ivi, pp. 131-133.

94 Ivi, pp. 139-140.

95 Benvenuti P, Gristina D. A., La donna e il servizio sociale: identità sessuale e professionale dell'assistente

sociale, 1998, pp. 23-24. 56

nella vita privata. Questo non significa però che siano immuni nell'altro versante.

Quando decidono di avere una famiglia, molte di queste donne [che vivono il loro lavoro

come parte integrante della propria esistenza] si sentono in conflitto rispetto ai due ruoli. In

ragione della propria prospettiva professionale, i loro ruoli a casa e sul lavoro prendono nuovo

significato. [Pines 1981, p. 94].

Gli effetti del burnout paiono uguali sia per gli uomini che per le donne. Tuttavia

queste ultime sperimenterebbero un esaurimento emotivo maggiore dovuto al forte

coinvolgimento emotivo con le persone con cui si trovano in contatto nell'ambito

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lavorativo.

Le donne sperimentano livelli di burnout più elevati rispetto agli uomini perché si

sentono più coinvolte emotivamente ed esaurite fisicamente, meno realizzate. Gli

uomini invece riescono a distaccarsi di più, si parla di freddezza e impersonalità

davanti all'utenza. Inoltre si sentono più competenti e percepiscono maggiore

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successo. Badolato (1992, p. 48) riporta la tesi di Freudenberger e North (1985)

secondo cui le donne sono educate alla soddisfazione dei bisogni altrui, ponendoli il

più delle volte davanti ai propri, e non si rendono conto che c'è un limite oltre il quale

non possono più aiutare. Questa loro forte identificazione e capacità di empatia le

metterebbe in una situazione a rischio burnout.

Il punto di partenza sembrerebbe il diverso orientamento nei confronti dell'utente:

la donna si concentrerebbe sul caso e sul bisogno mentre l'uomo si confronterebbe con

il problema sociale nel suo complesso e attuerebbe una pianificazione più generale che

specifica. Questi ultimi tendono a occuparsi di se stessi, dei propri problemi, attraverso

gli altri, piuttosto che instaurare con loro un vero e proprio rapporto. Le une mettono

in gioco se stesse e la propria soggettività, gli altri sono orientatati all'oggettività, alla

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concretezza e alla professionalità.

Un'altra tesi molto interessante della Badolato (1992, p. 56-57) riguarda nello

specifico il non riconoscimento dell'importanza femminile nell'operatività. Si parla di

“modello neutro” che sminuirebbe il contributo dell'essere donna all'interno dei

96 Maslach C., La sindrome del burnout. Il prezzo dell'aiuto agli altri, 1992.

97 Pellegrino F., La sindrome del burnout, 2000.

98 Badolato G., Le donne nelle professioni di aiuto. Una riecrca sul burnout femminile, 1993, pp. 134-137.

57

servizi. Sono loro stesse che tentano di reprimere le capacità che gli sono state

attribuite storicamente, in quanto genere femminile, perché considerate dannosi per la

prestazione lavorativa che diverrebbe poco oggettiva e scientifica. Si parla proprio di

elementi fondanti l'identità femminile, quali la sensibilità, l'intuito, l'inclinazione a

prendersi cura degli altri, a farsi carico dei loro problemi. Il paradosso è che la società

le riconosce come indispensabili nel lavoro di cura ma allo stesso tempo le sminuisce,

considerandole poco professionali e di ostacolo alla tecnicità degli interventi. “Le

donne sono portate a negare e a mantenere fuori dalla vita lavorativa le loro

caratteristiche di genere”. Questa contraddizione di fondo provoca nelle assistenti

sociali donne un senso di confusione e disagio che può costituire terreno fertile per la

sindrome del burnout. Sentono il dovere di assumere il ruolo neutro che la società gli

impone e così facendo tentano di reprimere la loro naturale inclinazione, limitando il

coinvolgimento emotivo con l'utenza, prendendo le distanze. Sperimentano insomma

un conflitto profondo causato dalla società che richiede un determinato modello e

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l'identità di genere che le vorrebbe nel modo opposto.

Esiste una differenza di genere anche nel modo di affrontare il burnout.

Innanzitutto le donne si rivolgerebbero maggiormente a un collega piuttosto che al

supervisore, cosa che invece farebbero gli uomini. Inoltre le donne, essendo più inclini

a stringere rapporti confidenziali troverebbero un sostegno familiare e intimo contro

stress e burnout. Gli uomini invece, avendo una rete sociale più ampia ma meno

profonda, avrebbero a disposizione meno risorse sociali come supporto. Avendo già

constatato l'importanza del sostegno sociale come antidoto al burnout si può dedurre

come sia altrettanto significativa l'abilità sociale e i comportamenti interpersonali per

prevenire e affrontare la sindrome e sopratutto quanto questo possa dipendere

100

dall'identità di genere.

Intervenire sul burnout significa non solo contenere e mitigare il danno dello stress, ma anche

recuperare e riattivare un enorme patrimonio di ciascuno e di tutti che col burnout si perde: la

motivazione o, se si vuole, l'amore per il proprio lavoro. [Del Rio 1990, p.87].

99 Ivi, pp. 129-131.

100Ivi, pp. 98-99. 58

Capitolo quarto

INTERVISTE AGLI ASSISTENTI SOCIALI DELL'U.E.P.E.

(SEDE DI SERVIZIO DI ORISTANO)

Le interviste sono state condotte dalla sottoscritta ad alcuni assistenti sociali che

lavorano presso l'U.E.P.E. di Oristano, la cui sede centrale si trova a Cagliari. Il

campione è composto da tre donne (F) e un uomo (M).

1. Quali sono state le sue motivazioni nello scegliere questa professione? Sono

cambiate da allora ad oggi?

a. (F) Il panorama della formazione esistente a quel tempo non mi suscitava particolare

interesse. Il dettato familiare era quello di proseguire gli studi perciò nell'estate della maturità,

quando mi sono dovuta guardare intorno, ho avuto notizia di questo corso in maniera

incidentale e ho poi scoperto che si incastrava perfettamente con i miei interessi del tempo.

Queste motivazioni si sono nel tempo trasformate, nel senso che hanno perso quella

connotazione quasi di “urgenza” che avevano quando ero ragazza, e sono diventate più

pacate, ma condivise tuttora. Da ragazzi secondo me, e per me è stato così, si vive una

sorta di entusiasmo eccitato rispetto a questi temi; per cui questa frenesia è andata

affievolendosi con il tempo. Non ho perso le mie motivazioni, hanno solo dovuto fare i

conti con gli strumenti reali che ci sono a disposizione e questo probabilmente per

certi versi può essere oggi anche il motivo di una certa stanchezza.

b. (M) Le motivazioni sono state varie, una delle quali è stata quella di capire che

non ero tagliato per il mondo dell'economia ordinaria. Ho cominciato invece a

riflettere sull'idea di poter approfondire più professionalmente una di quelle attivit&ag

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Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

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