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CAPITOLO TERZO
Morrocchesi trattatista
1. Gli strumenti della Declamazione
Dopo il fondamentale incontro con Vittorio Alfieri, che può essere
considerato il fulcro della carriera artistica di Antonio Morrocchesi, è opportuno
concentrarsi su un secondo avvenimento altrettanto decisivo: è il 1811 quando
Elisa Baciocchi, granduchessa di Toscana, assegna al nostro attore la cattedra di
declamazione presso l’Accademia di belle arti di Firenze «pour la poésie italienne,
1
et pour le perfectionnement de la diction prosaïque». All’età di quarantatré anni il
sancascianese ebbe dunque l’opportunità di cambiare stile di vita mantenendosi
comunque all’interno dell’ambito teatrale. Con la nuova professione il
Morrocchesi riuscì a stabilirsi definitivamente a Firenze e soprattutto a
conquistarsi una stanzialità incompatibile con quel mestiere di attore che,
nonostante i grandi successi, lo aveva fin lì costretto a una vita nomade. Il ruolo di
docente non solo assicurò al Morrocchesi la stabilità di 2400 franchi annui, ma gli
permise anche di tramandare l’esperienza accumulata in più di venticinque anni di
onorata e ininterrotta attività. Egli, dimostrandosi un valido insegnante, poté
dunque trasmettere i canoni che gli permisero di interpretare l’Alfieri. Svelando i
segreti della propria arte, si impegnò anche nella stesura di un corpus teorico che
precedentemente non esisteva. Risale infatti al 1832 la pubblicazione dell’unico e
fondamentale compendio con il quale il Morrocchesi intese riassumere il proprio
operato: le Lezioni di declamazione e d’arte teatrale. A tal proposito, si osservi
che la riforma tragica non trovò mai un vero e proprio supporto teorico; questo
volume, oltre ad avere un preciso scopo pedagogico, può quindi essere
2
considerato come l’elaborato derivante dalle novità introdotte.
1 Maria Ines Aliverti, Comiche compagnie in Toscana (1800-1815), in «Teatro Archivio»,
n. 8 (1984), p. 197.
2 Tra lo spettacolo cruciale per l'avvento della riforma tragica (ovvero il Saul del 1794) e le
Lezioni di Declamazione e d'arte teatrale (pubblicato nel 1832) intercorsero ben quarantatré anni.
44
L’indice del trattato si dispone secondo una logica piuttosto rigorosa,
3
attraverso il ripetersi di unità formate da quattro Lezioni e seguite da due Discorsi
4
istorici. Antonio Morrocchesi decise dunque di alternare indicazioni
squisitamente pratiche a focalizzazioni di carattere storico. Affrontando la materia
su un fronte piuttosto ampio, non mancò quindi di illustrare gli aspetti tecnici ma
anche di ripercorrere i generi e le origini che interessarono la sua declamazione. A
partire dal frontespizio, è il titolo ad esporre chiaramente l’oggetto trattato, ovvero
“Declamazione”, “lezioni”.
la e la natura trasmissiva della struttura testuale: le Se
queste ultime sono il chiaro risultato di un intento pedagogico, la declamazione
non può certamente passare in secondo piano poiché è proprio con questa parola
che il Morrocchesi volle definire l’insieme delle proprie capacità teatrali. A tal
proposito troviamo un primo riferimento già a partire dal capitolo di apertura
5
intitolato Discorso Preliminare:
L’arte declamatoria è senza dubbio una parte integrale dell’amena letteratura,
imperciocchè qualsiasi componimento, allocuzione o lettura inlanguidisce sensibilmente
6
qualora con aggiustato modo ne venga disposta da quegli, che ne hanno l’assunto.
Nonostante si tratti di un passo piuttosto generico, si osservi come esso,
nella sua brevità, intenda individuare l’ambito della declamazione («L’arte
7
declamatoria è senza dubbio una parte integrale dell’amena letteratura» )
lasciando intuire allo stesso tempo parte del risultato finale («imperciocchè
8
qualsiasi componimento, allocuzione o lettura inlanguidisce sensibilmente» ). Un
lavoro che di conseguenza appare come il frutto di un’evoluzione, come il
risultato di una stratificazione che ha permesso un preciso riconoscimento grazie
all’attività svolta nel corso del tempo. Tale riferimento alla declamazione si
inserisce coerentemente all’interno dell’introduzione di questo volume
collegandosi alla tematica d’apertura. Come si è già detto, il Morrocchesi decise
3 Si intendono per unità gruppi di sei capitoli strutturalmente omologhi ripetuti (ovvero:
un'unità comprende quattro Lezioni e due Discorsi istorici).
4 Lezioni di Declamazione e d’arte Teatrale,
Cfr. Antonio Morrocchesi, cit., p. 367.
5 Cfr. Ivi, p. 11.
6 Ivi, p. 14.
7 Ibidem.
8 Ibidem. 45
di fondare il proprio esordio d’autore sottolineando il disagio e le manchevolezze
9
del teatro italiano del suo tempo; in questo modo il testo drammatico, e la
declamazione in particolare, si configurano come provvedimenti necessari per
arginare la situazione. Con queste osservazioni il volume assume dunque un
aspetto piuttosto sfaccettato e aperto a diversi approcci di lettura definendosi
contemporaneamente come un manuale di recitazione per aspiranti attori, una
reazione ad una situazione teatralmente arretrata e un elaborato teorico relativo
alla riforma del teatro tragico italiano di fine Settecento.
Il Discorso Preliminare tuttavia, oltre a introdurre gli effetti essenziali
della declamazione e a trovare una giustificazione della propria ragion d’essere
nelle circostanze storiche, pone l’accento su un altro punto fondamentale, come si
evince dal passo seguente: 10
Dopo aver egli [Alfieri nel suo Parere sull’Arte Comica in Italia ] dimostrato varie
soggiunge: “Ed in ultimo, di
prerogative, che dee possedere un buon attore, per esser tale
saper parlare, e pronunziare la lingua toscana; cosa, senza di cui ogni recita sarà sempre
ridicola. E prescindendo da ogni disputa di primato d’idioma in Italia è certo, che nelle
cose teatrali sono scritte per quanto sa l’autore sempre in lingua toscana; onde vogliono
esser pronunziate in lingua, ed accento toscano. E se in Parigi un attore pronunziasse in
teatro una sola parola francese con accento provenzale o d’altra provincia, sarebbe
11
fosse eccellente per la comica”.
fischiato, e non tollerato, quando anche
Il Morrocchesi ribadisce la propria appartenenza artistica al teatro tragico
di Alfieri sottolineando, tramite una citazione, il ruolo della lingua toscana. A
questo punto due cose sembrano assolutamente chiare: che il toscano è l’unico ed
insostituibile requisito per chiunque aspiri a diventare un buon attore, e che solo
un fiorentino autentico come il Morrocchesi, assoluto dominatore della lingua,
avrebbe potuto padroneggiare la teoria e la pratica alfieriana. Il Morrocchesi e
l’Alfieri sembrano dunque concordi anche per l’importante questione dell’idioma
che, oltre ad avere in Italia dei risvolti teatrali diversi rispetto all’estero («se in
Parigi un attore pronunziasse in teatro una sola parola francese con accento
9 A tal proposito cfr. Ivi, p. 11.
10 Parere sull’arte comica in Italia,
Vittorio Alfieri, Didot, Parigi 1788.
11 Lezioni di Declamazione e d’arte Teatrale,
Antonio Morrocchesi, cit., pp. 23-24.
46
provenzale o d’altra provincia, sarebbe fischiato, e non tollerato, quando anche
12
fosse eccellente per la comica» ), favorì la coesione tra i due artisti.
Dopo il sostanzioso Discorso Preliminare, Antonio Morrocchesi si
diffonde in lezioni vere e proprie illustrando gli elementi primi della
declamazione. Non credo possa essere trascurato, in questo come nei casi
seguenti, l’ordine degli argomenti dettato dal titolo dei capitoli. Il testo si struttura
quindi secondo una precisa gerarchia che, a partire dalle basi al pari di un
moderno manuale, elegge la voce a primo e irrinunciabile punto di partenza. Essa
gioca ovviamente un ruolo fondamentale trovandosi ad essere, per natura, la fonte
sonora primaria della comunicazione teatrale. Interessante è la definizione che il
Morrocchesi sceglie per descrivere la fisica dell’emissione vocale:
L’organo della voce umana può dirsi una specie d’istromento a fiato. La trachea o aspera
arteria, che è quel canale per cui l’aria, che si respira entra nei polmoni, è terminata verso
la bocca da una tenue apertura ovale nominata glottide, il di cui piccolo diametro è una
linea o poco meno; che l’aspera arteria molto contribuisse, e gran parte avesse nella
formazione della voce umana, lo hanno pensato e creduto quasi tutti, finché il Sig. Dodart
confutò questa opinione e pretese, che la sola glottide collo stringersi or più, or meno
formasse ogni voce, ed ogni tuono. Il Sig. Ferrein poi osservato avendo, che le labbra
della glottide sono cordicelle tendinose attaccate a certe cartilagini, inservienti a tenderle
più o meno, pensò che i tuoni della voce fossero quindi da ripetersi, e che queste urtate e
mosse dall’aria, che partendo dai polmoni passa per l’aspera arteria, risuonassero a guisa
di corse sopra le quali l’arco si striscia. Lasciando ai coltivatori della Fisica, e
dell’Anatomia il decidere sulla più certa teoria di questi ed altri autori riguardo alla voce,
per non deviare dal nostro proposito diremo; che la voce generalmente parlando è quel
suono che si forma nella gola e nella bocca per un meccanismo d’istromenti propri a
13
produrla.
Reputo particolarmente significativo il paragone con gli strumenti a fiato
14
(«L’organo della voce umana può dirsi una specie d’istromento a fiato» ) poiché
esso si avvicina moltissimo al comune approccio didattico della moderna tecnica
lirica. Il Morrocchesi sembra dunque riconoscere nella voce, e nella voce dedita
alla declamazione in particolare, una componente musicale importante. A
conferma di ciò si prendano in considerazione i due capitoli successivi (intitolati,
12 Ibidem.
13 Ivi, p. 33.
14 Ibidem. 47 15
nell’ordine, Lezione dell’Articolazione e Lezione della Pronunzia ) che illustrano
gli aspetti tecnici e la struttura delle capacità espressive della voce umana. Il testo
rivela che secondo il Morrocchesi la voce, tramite le linee guida dell’articolazione
e della pronuncia, ha la possibilità di dar luogo al primo elemento autonomo
dell’azione teatrale, ovvero l’aspetto sonoro della declamazione che in questo caso
appare significativamente prossimo al canto. A questo punto si accede in maniera
logica al quarto capitolo della prima unità intitolato Lezione: