Tema del diverso, emarginazione sociale e sopraffazione del più forte sul debole
La storia di Malpelo è quella di uno sfruttato che nella sua breve vita ha conosciuto soltanto il disprezzo della madre e della sorella, le angherie del padrone, dei compagni della miniera e l’implacabilità della sorte che ha ucciso, nella stessa cava in cui lavora, il padre, l’unico che gli voleva bene.
Legge della giungla e rassegnazione
Il ragazzo sa che esiste una sorta di legge della giungla, dove a prevalere è sempre il più forte. Mentre gli altri subiscono questo spietato sistema senza esserne consapevoli, egli è rassegnato: a tale legge nessuno può sottrarsi. Tanto vale adeguarsi, adottando gli stessi strumenti violenti dei carnefici per insegnare ai più deboli (in questo caso, al suo unico amico Ranocchio) come reagire alla prepotenza della vita.
Accanto a lui compaiono nella novella altri personaggi che condividono la stessa condizione di esclusione (Mastro Misciu, Ranocchio e l’asino grigio). Il narratore, che fa da portavoce della mentalità paesana, assegna loro lo stesso epiteto: sono, infatti, rispettivamente un povero diavolaccio, un povero ragazzetto e una povera bestia. Rosso Malpelo non è gratificato dalla stessa compassione poiché egli ha l'orgoglio, la rabbia e la consapevolezza. Malpelo respinge la pietà del mondo, non intende suscitare compassione e non lancia patetici appelli ai buoni sentimenti.
Rassegnazione e ruolo sociale
Egli si è perfino convinto di essere cattivo come tutti pensano e di dover ricoprire l’unico ruolo che il prossimo gli ha riservato. Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile.
Le scelte stilistiche
Verga affida la rappresentazione emotiva e caratteriale di Rosso Malpelo alla comunità dei paesani, dei familiari e dei minatori, di cui assume il punto di vista, secondo quel procedimento di "delega" della narrazione a un soggetto rappresentativo dell’ambiente dei personaggi che è una delle principali innovazioni tecniche realizzate dal Verismo. Il narratore, cioè, regredisce al loro livello, assumendo acriticamente i pregiudizi e la mentalità.
È proprio dal coro paesano che conosciamo il marchio negativo impresso sul ragazzo, di cui i capelli rossi sono, per così dire, il suggello superstizioso: Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un giorno di birbone. In tal modo, il carattere malvagio del protagonista viene legato al suo aspetto fisico. La voce narrante ci presenta dunque un personaggio cattivo e “comprensibilmente” emarginato.
Straniamento
Ricorrendo a un processo di straniamento (che determina uno scarto tra l’opinione del narratore e quella, implicita, dell’autore), Verga non intende davvero accreditare la fondatezza del pregiudizio del popolo, ma al contrario mostrarne l’ottusità e l’ignoranza. Starà al lettore capovolgere il punto di vista del narratore e cogliere nei comportamenti di Malpelo non una cattiveria gratuita, ma la logica lucida e disperata con cui affronta la vita.
Quanto più le parole del narratore esprimono una concezione del mondo rigida e rozza, che deforma la realtà e le motivazioni del comportamento di Rosso Malpelo, tanto più il personaggio si rivela nella sua acuta sensibilità e nel suo quasi eroico atteggiamento nei confronti della vita. Emblematica, per esempio, è la sua scelta di percorrere fino in fondo il proprio destino di morte piuttosto che continuare ad accettare un’esistenza invivibile.
Linguaggio
Il linguaggio adottato da Verga nella novella rispecchia un canone a cui l’autore vincolerà tutta la produzione verista. Si tratta di una forma mista di italiano colto ed espressioni dialettali.
Diverse letture della novella
- Lettura storica: Condizioni di lavoro nel Sud-Italia, abisso economico-sociale tra lavoratori e padroni. Verga individua i vinti nei poveri e le colpe dei poveri (no condizione contadina ideale), nella lotta per la vita l’uomo si abbruttisce.
- Lettura delle caratteristiche veriste: Punto di vista del narratore corale, risente di tutta la cultura popolare pregiudiziale e ignorante.
La lupa (1880, Vita dei campi)
Ambientata in un piccolo paese siciliano, La lupa racconta di una donna, gnà Pina, soprannominata "lupa" dalla gente del luogo per il suo comportamento e il suo aspetto: è una donna non più giovane, “randagia”, conturbante e sensuale, che “per fortuna” non va mai in chiesa e seduce (“spolpa”) gli uomini del villaggio. Ha una figlia di nome Maricchia “buona e brava” che non può che piangere di nascosto della sua condizione infelice: con una madre del genere nessuno la prenderà mai in moglie.
La storia di Nanni e Maricchia
Un giorno la Lupa si innamora di Nanni, un giovane appena rientrato dal servizio militare, con cui lavora nei campi, ma il ragazzo, che ridendo rifiuta la donna, dichiara di desiderare invece la figlia di questa. Così, dopo qualche mese, la Lupa costringe Maricchia a sposarlo e accetta il matrimonio ad una condizione: che i due vadano a vivere a casa di lei, lasciandole un angolo per dormire. Con questo stratagemma la donna ancora innamorata può restare a contatto con il genero e portare avanti la sua opera di seduzione.
Il dramma finale
Maricchia arriva disperata a denunciare la madre in commissariato. Nanni confessa l’adulterio ma la denuncia non ha alcun risultato: le forze dell’ordine chiedono alla donna di lasciare la casa ma questa rifiuta. Le cose non cambiano nemmeno quando Nanni, poco dopo, viene colpito al petto dal calcio di un mulo e, ritenuto in punto di morte, confessa ancora i suoi peccati e si pente. Ma una volta guarito “il diavolo torna a tentarlo” e non ha intenzione di smettere. La lupa dice allora a Nanni “ammazzami”, “ma senza di te non voglio starci”. L’unica soluzione per liberarsi del diavolo che continuava a tentarlo è prendere alla lettera le parole della donna e ucciderla.
La roba (1880, Novelle rusticane)
La tecnica narrativa che apre la novella è quella della narrazione indiretta per presentare la ricchezza del personaggio principale: un viandante che attraversa la pianura di Catania, lungo una strada che costeggia il Lago Lentini, contempla stupito la vastità delle proprietà di Mazzarò. Poi lo stesso Mazzarò ci viene descritto seguendo sia un profilo fisico (basso e con una grossa pancia) che psicologico, e questo viene davvero ben delineato grazie al racconto di come l’uomo abbia accumulato tanta “roba”.
Ascesa e declino di Mazzarò
Mazzarò è un uomo che ha sacrificato tutto nella sua vita, con fatica, perseveranza e ostinazione per accumulare più beni materiali possibili, ma è incapace di godere dei benefici che possono scaturire da tanta ricchezza.
Non ha famiglia, vive in condizioni di povertà per non sprecare le sue ricchezze, lavora come un mulo nei campi. Non ha vizi, non ha amici. Ha allontanato tutti nella sua vita, per paura che potessero sottrargli la sua roba. La sua ascesa sociale è sterile. La sua scalata riesce grazie al sacrificio e alla furbizia, ma una volta guadagnata una posizione migliore l’uomo sembra mandare in fumo ogni possibilità di crescita personale.
Il finale tragico
Mazzarò è sleale nei confronti di chi lavora per lui ed è ossessionato dall’accumulo della ricchezza. Vive nel terrore della morte: che fine faranno i sacrifici e i traguardi di una vita intera quando lui non ci sarà più? Durante la vecchiaia Mazzarò si rende conto di quanto vuota e povera sia la sua vita, e il suo attaccamento ai beni materiali se possibile diventa ancora più accentuato.
Non avendo eredi né conoscenti, va in fumo anche la possibilità di trasferire i suoi beni a qualcuno. Il pensiero di non poter portare con sé i propri beni nella vita ultraterrena lo fa addirittura impazzire e il testo si conclude con una scena pietosa e indimenticabile: lui che vaga nei campi, accecato dalla follia, distruggendo i raccolti e colpendo gli animali gridando “Roba mia, vientene con me!”
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Giovanni Verga
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Verga: preparazione per esame