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Estratto del documento

Tra il 23 e il 29 marzo il luogotenente rimane comunque attivo, quasi a

testimoniare che la luogotenenza garantisce continuità alla Corona e non al

singolo capo dello Stato. La sua natura si rivela quindi istituzionale. Nel 1859 si

ritorna alla luogotenenza con il conflitto con l'Austria ed è ancora Eugenio di

Carignano ad essere il luogotenente: questa volta si precisa esplicitamente il

grado di discrezionalità del luogotenente, al re spetteranno ugualmente gli

affari di grave importanza. Questo non vuol dire che il luogotenente si riduca a

operare in campi di scarsa rilevanza, ma si finisce per rafforzare il carattere

discrezionale, mettendolo in condizione di valutare l'eccezionalità delle

situazioni. Non bisogna pensare al luogotenente come a una figura minore,

poiché i provvedimenti che adotta sono di notevole rilevanza (proclamazione

della leva di massa, limitazione della libertà di stampa, convocazione dei

collegi elettorali, …). Eugenio di Carignano nel 1848 assegna

temporaneamente a Ottavio Thaon di Revel il dicastero dei lavori pubblici,

nomina Gioberti ministro senza portafoglio e accoglie le dimissioni del governo

Cavour tracce del fatto che il luogotenente presiede il Consiglio dei ministri.

Il momento topico dell'azione luogotenenziale è individuato l’8 maggio 1848,

quando Eugenio di Carignano sostituisce Carlo Alberto all'apertura della prima

sessione della prima legislatura del Parlamento subalpino e legge in luogo del

re il primo discorso della Corona: il regime rappresentativo piemontese è

inaugurato quindi dal luogotenente.

4. Il “grido di dolore”

Quando il capo dello Stato si reca in persona di fronte alle due Camere riunite

per aprire ufficialmente la sessione legislativa e leggere il discorso della

Corona, si assiste a un evento di notevole valore istituzionale e simbolico. Si

tratta dell'unico momento comunicativo tra re e Parlamento che non prevede

formalmente intermediari.

Il discorso della corona ha origine in Inghilterra, nasce con lo scopo di illustrare

i motivi della convocazione del Parlamento. Questa tendenza si converte poi in

esposizione del programma di governo (verso il regime parlamentare) o si

riduce ad intervento di circostanza priva di contenuti politici sostanziali (questa

prevalerà). Si vede è uno schema retorico praticamente fisso: il discorso prende

avvio con espressioni di riconoscenza e di augurio, si espongono

sommariamente ai provvedimenti o le riforme a cui si aspira e sono descritte la

situazione militare, finanziaria e internazionale; si pronunciano poi auspici per il

futuro.

L'assenza di picchi di polemica politica rappresenta la strategia tesa a

salvaguardare la figura del Re costituzionale e a lasciare ampio spazio di

manovra al governo.

Si individuano tra le parole del re passaggi di notevole rilevanza politica, nei

quali lo svolgersi della storia istituzionale italiana si riflette e si coglie il legame

che unisce la triade di Casa Savoia allo Statuto e il rinvio agli ordini

costituzionali.

L’Inaugurazione del regime rappresentativo è sancita dall'ingresso in

Parlamento della Corona nella persona del principe di Carignano,

rappresentante del monarca. All'apertura della sezione successiva (l'unica che

verrà effettuata da Carlo Alberto in persona) questi si preoccupa di ribadire che

il governo costituzionale si aggira sopra due cardini, il re e il popolo, legando

dichiaratamente i propri destini a quelli statutari. Il discorso della corona si

spinge fino a un esplicito accenno alla possibilità di riunire un'assemblea

costituente che decida degli sviluppi costituzionali futuri per le regioni che si

pensa di dover a breve annettere.

Il discorso della corona più famoso si centra su una promessa di cambiamento

il 10 gennaio, dove Vittorio Emanuele fa sentire il grido di dolore che aprirà la

strada alla seconda guerra d'indipendenza, l'avanzamento verso l'unificazione.

Il valore politico è elevato e maggiore è quello simbolico: l'immagine del re che

si dichiara sensibile ai destini delle popolazioni ancora oppresse diventerà una

vera e propria bandiera del Risorgimento.

Il discorso si tiene nel corso di una seduta congiunta di Camera e Senato, alla

presenza dell'intera regia famiglia, i compiti direttivi di polizia dell'adunanza

sono eccezionalmente affidati al ministro dell'Interno. Un trono è

appositamente eretto e sostituisce il banco della Presidenza.

La presenza della famiglia reale richiama l'attenzione sul durevole carattere

istituzionale della Corona e le parole servono a confermare i miti personali con i

quali si circonda la figura di ogni singolo regnante (“Padre della patria” per

Vittorio Emanuele III, “Re borghese” e “Re Buono” per Umberto I, “Re soldato”

per Vittorio Emanuele III). L'allestimento momentaneo del trono all'interno

lit de

dell'aula parlamentare evoca poi l'antica cerimonia del justice. Il legame

tra re e ministri è infine marcato dalla prassi che vuole che il foglio con il testo

del discorso venga passato al re in modo visibile dal Presidente del Consiglio

(significato istituzionale di carattere simbolico il re non esprime proprie

opinioni personali ma riveste il valore degli ordinamenti ministeriali).

È naturale la neutralizzazione dei contenuti del discorso, che quanto più è

privo di messaggi politici forti tantomeno espone il re.

Si apre però un dilemma: la consegna del testo del discorso ci autorizza a

ritenere che il monarca sia completamente estraneo alla sua stesura, ma

esistono chiare tracce del fatto che i re intervengano ripetutamente sulle bozze

di discorsi. Sappiamo comunque con certezza che le parole vengono

regolarmente valutate in Consiglio dei ministri e che quasi sempre siano il

frutto dell'azione di più persone: del capo del governo, dei singoli ministri più

importanti o dei funzionari della Real casa.

Quasi mai è possibile valutare il peso preciso dell'influenza ministeriale su un

atto della Corona: è importante che in corrispondenza dell'evoluzione del

sistema sabaudo verso la forma di governo parlamentare, si cerchi di

individuare una via per aprire un dibattito assembleare sul programma

ministeriale (passaggio decisivo per affermare l'idea che l'esecutivo deve

godere della preventiva fiducia dei rappresentanti per poter operare).

L'intervento presso le camere da parte del re capo dell'esecutivo sembra allora

l'occasione più opportuna e quella in cui il discorso della corona si presterebbe

a diventare programma del Gabinetto (non si affermerà mai definitivamente) e

la ragione sta soprattutto nella logica costituzionale che vuole un responsabile

e non sottoponibile ad alcuna forma di sindacato politico. Il discorso rimane pur

sempre della corona e per tentare di aggirare questo ostacolo l'attenzione si

sposta sul cosiddetto indirizzo di risposta, vale a dire sulla replica di cortesia

che, per prassi, deputati senatori preparano nei giorni seguenti.

Quando si tratta di decidere le forme contenute nell’indirizzo sembra ad alcuni

possibile sviluppare un dibattito sui programmi esposti negli interventi regi (ciò

che verrebbe sarebbe la replica parlamentare, non le parole del monarca). La

Storia costituzionale italiana non coglie questa opportunità. Si sviluppa un

originale sistema dove si adotta inizialmente la prassi che il testo degli indirizzi

di replica sia preparato da una Commissione o dagli stessi uffici di Presidenza

delle camere e nei primi tempi di via statutaria venga stampato, distribuito ai

deputati che lo discutono e lo votano. L'indirizzo viene trattato come un

programma politico, si fa strada l'idea che l'indirizzo di risposta da costituire sia

un atto di compimento contenente una perifrasi del discorso della corona, con

l'aggiunta di qualche di qualche scontata dichiarazione. Non esistono quindi più

motivi seri per discuterlo, ma anche a volerlo fare, portare in discussione le

parole del re non è costituzionalmente concesso.

Periodicamente si fa sentire la voce di chi sollecita una discussione politica sui

contenuti del discorso Corona, nel 1866 Francesco Crispi e Alessandro Fortis.

Questo sistema continua a valere fino al 1901, quando il Regio decreto n.466

sull'attribuzione del Consiglio dei ministri, stabilirà che il Presidente del

Consiglio cura l'adempimento degli impegni presi dal governo del discorso della

corona nelle sue relazionali relazioni con il Parlamento o nelle manifestazioni

fatte al paese.

Si trovano poi tracce più forti e frequenti della volontà di aprire una discussione

generale sull'indirizzo del governo. Tale questione viene allegarsi

esplicitamente a quella del voto di fiducia che il Parlamento dovrebbe attribuire

a governi di nuova formazione. Studi sostengono che a partire dal marzo 1909

le discussioni sull'indirizzo di risposta tendono a confluire proprio in qualcosa di

simile a un voto di fiducia. Possiamo concludere la necessità di un terreno di

incontro di verifica tra maggioranza governativa e opposizione, che compare

all'avvio dell'esperienza statutaria e non sparisce mai completamente. Si può

supporre che il regime statutario fosse a quel punto vicino a un passaggio

decisivo verso la forma di governo parlamentare ma tale passaggio viene

annullato dalla svolta fascista.

L'assenza di una maggioranza e opposizione sta in stretta relazione con il

sistema piemontese adottato dalle camere verso il discorso della corona e da lì

discenderebbe la quasi totale assenza di un costante, programmato confronto

tra maggioranza e opposizione sugli indirizzi di governo (il che spiega nel

parlamentarismo italiano la difficoltà di distinguere la maggioranza

dall'opposizione ma anche il trasformismo ad essa collegato: caratteristiche

che renderanno quasi perennemente instabili e incerte le coalizioni di governo).

Capitolo 3: Governare l’Italia unita

1. La Real Casa romana

La Casa Reale assume nella prima fase del suo Regno un aspetto

marcatamente militare, mentre in una seconda fase, a partire dall'Unificazione

e quindi con le annessioni di diversi Stati italiani, la Real Casa Sabauda si vede

costretta ad inglobare i possedimenti delle famiglie reali spodestate e la sua

dotazione si dilata a dismisura. Parallelamente troviamo un aumento delle

funzioni e l'importanza delle cariche di Corte; vengono anche create

intendenze delle nuove province. I primi anni successivi al 1860 segnano un

momento di visibile politicizzazione della Casa del re.

Nell'organizzazione interna si assiste all’ emarginazione del prefetto di palazzo

e la scelta della diarchia ministro della Real Casa-aiuta

Dettagli
A.A. 2023-2024
27 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martinacasteelli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle Istituzioni politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Colombo Paolo.