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IL FANCIULLINO
Lo scritto in prosa Il fanciullino compare per la prima volta sulla rivista «Il Marzocco» nel 1897 e in
seguito viene pubblicato, in una versione più ampia, nel 1903 e poi nel 1907.
TEMATICHE - IL FANCIULLINO
L’autore delinea la sua poetica, ricorrendo all’immagine di un «fanciullino», che vive nell’animo di
ogni persona e guarda e interpreta il reale con l’entusiasmo, la sincerità e l’ingenuità tipici dell’età
infantile e non di quella adulta, cogliendo il senso vero che si cela dietro ogni aspetto del mondo.
Il poeta, per Pascoli, è «il fanciullino eterno, che vede tutto con meraviglia, tutto come la prima
ed è capace di cogliere «cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione» e di
volta…»
scoprire nella realtà che lo circonda «le somiglianze e relazioni più ingegnose».
La poesia appare dunque un atto prerazionale in grado di esplorare il mistero della vita e di scorgerne
i significati autentici. Essa risponde anche a un fine edificante: il fanciullino, infatti, nel suo candore
infantile, può infondere nel cuore degli uomini bontà e altruismo.
STILE - IL FANCIULLINO
Grande esempio di “prosa simbolista”, Il fanciullino si caratterizza per uno stile ricco di immagini e
analogie, basato su una sintassi frammentata e costruito con notevole attenzione agli aspetti fonici.
UNA DICHIARAZIONE DI POETICA - IL FANCIULLINO
Pascoli spiega subito il titolo dello scritto, che coincide con il nucleo della sua teoria. Dentro ciascuno
di noi esiste un bambino piccolo (un «fanciullino»). Finché siamo bambini anche noi, le due voci sono
indistinguibili: sono anzi un’unica voce. Quando cresciamo, il fanciullino rimane tale e continua a
parlare con una voce che mantiene «la sua antica serena maraviglia» ; noi però siamo impegnati
nella lotta per la vita e non la ascoltiamo più. Il fanciullino ha più timore del giovane e dell’uomo
adulto che non del vecchio, ormai ai margini della vita. La presenza del fanciullino in ciascuna
persona è il legame che le affratella: gli uomini si combattono, i fanciulli si abbracciano.
Il fanciullino ha la percezione «di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione»; vede cose a
cui di solito «non badiamo» perché ha ancora lo sguardo intatto di Adamo, che vede il mondo per la
prima volta e dà il nome agli oggetti; trova «somiglianze e relazioni» tra le parti della realtà, grazie
allo «stupore» e alla «curiosità» con cui le guarda. Di conseguenza, una sua parola riesce a esprimere
due pensieri. Quest’ultima osservazione conduce a un punto centrale per l’interpretazione della
poesia pascoliana, perché significa che la parola poetica ha una specie di doppiofondo simbolico. Un
significato è quello espresso dalla lettera del testo, l’altro è determinato da quelle «somiglianze e
relazioni» che il fanciullino ha saputo vedere nel mondo.
Pascoli cerca spesso di entrare in contatto con il fanciullo che porta dentro di sé, e qualche volta gli
riesce. Il fanciullo ha un modo tutto suo di ragionare, che lo porta alla verità profonda attraverso
intuizioni fulminee. Questa singolare capacità di ragionamento e le abilità retoriche meno sviluppate
di quelle di un adulto non costituiscono, dunque, un ostacolo alle sue capacità di comprensione del
‒ ‒
mondo e di comunicazione. Anzi, i ragionamenti logici e le abilità retoriche sostiene Pascoli
possono anche essere nocivi, perché possono distrarre da ciò che più importa, ovvero dal nucleo del
discorso.
Del resto, lo scopo del fanciullino non è la persuasione retorica, che Pascoli pare immaginare come
una sorta di forzatura della volontà dell’interlocutore. Il fanciullino esprime in modo schietto e
semplice ciò che sente in modo limpido e immediato: nei quattro aggettivi si racchiude il mondo
pascoliano, che detesta la complicazione e l’artificiosità. E il fanciullo si esprime con questo obiettivo:
che il suo interlocutore riconosca come già presente in sé ciò che gli viene detto. Le parole del
fanciullino hanno, dunque, un’azione chiarificatrice, non persuasiva.
L’uomo adulto acquisisce delle conoscenze scientifiche e le trasmette alle generazioni successive, che
ne fanno tesoro. Se risaliamo il corso della civilizzazione, arriviamo a un punto zero, cioè a quella fase
dello sviluppo umano in cui non esisteva una conoscenza scientifica del mondo. Ora, il fanciullo si
trova in quella medesima fase di sviluppo: ciascun uomo, di conseguenza, ha un momento della sua
vita che coincide con quello dell’infanzia dell’umanità. Potremmo dire che gli uomini primitivi
restavano fanciulli per tutto l’arco della loro esistenza, e che l’uomo moderno che sappia tenere in
vita il fanciullino conserva quello sguardo primitivo sul mondo.
Sono temi leopardiani, su cui Pascoli sente il bisogno di dire la sua: a differenza di Leopardi, Pascoli
non crede in un indebolimento della facoltà poetica tra l’uomo antico e quello moderno. Se conserva
la volontà di ascoltare il fanciullino, l’uomo adulto e moderno ha un sguardo simile pari a quello
dell’uomo primitivo.
Qual è l’essenza di quello sguardo? La meraviglia, cioè la capacità di stupirsi e di provare sentimenti
di fronte alla natura, considerata non per i suoi aspetti grandiosi (oceani in tempesta, deserti, luoghi
esotici), ma per le piccole cose consuete, come il canto degli uccelli, i fiori, le api.
I CANTI DI CASTELVECCHIO
La raccolta esce per la prima volta nel 1903 e si arricchisce nel tempo fino all’edizione definitiva del
1912.
TEMATICHE - C.D.C.V
Posti dallo stesso Pascoli idealmente sulla linea di Myricae, i Canti di Castelvecchio propongono al
lettore un’immersione tutta lirica ed emozionale nel mondo della campagna, che rivive con i suoi
colori e i suoi suoni. In tal modo, ha ampio spazio quella “poetica delle piccole cose”.
Ritornano dunque i grandi temi della lirica pascoliana: i paesaggi di Castelvecchio si caricano di
significati simbolici e si animano degli stati d’animo, delle ansie e delle memorie del poeta.
Particolare valenza simbolica hanno immagini come il nido e la siepe, talmente frequenti nei versi di
Pascoli da assumere ciascuna il valore di vero e proprio topos. Tra i componimenti di questa raccolta
si ricordino La mia sera, Nebbia, La cavalla storna e Il gelsomino notturno.
STILE - C.D.C.V
Nei Canti di Castelvecchio giunge a piena maturazione il linguaggio sperimentale e simbolico
pascoliano, caratterizzato da un tessuto fonetico ricchissimo, da una sintassi piana e frammentata e
da numerose analogie.
IL GELSOMINO NOTTURNO - C.D.C.V
Il gelsomino notturno fu composto e pubblicato in occasione del matrimonio di un amico di Pascoli,
Raffaele Briganti, un bibliotecario e poeta lucchese, e affronta con delicatezza simbolica, il tema
dell'unione di due persone e il conseguente possibile concepimento di una nuova vita. Nel Gelsomino
notturno, ritroviamo tutto il respiro simbolista pascoliano, che trova nel mondo naturale il termine di
confronto per la propria acutissima sensibilità e per l’inquietudine esistenziale che attraversa la sua
poesia. La poesia fu poi ripubblicata nella raccolta dei Canti di Castelvecchio (1903).
A partire dal titolo stesso, Il gelsomino notturno si presenta come una sfumata metafora erotica. La
dedica all’amico, che si appresta a consumare la prima notte di nozze, introduce la tematica sessuale,
da cui il poeta si sente drammaticamente escluso. Pascoli si serve così di una serie di immagini e
referenti dal mondo naturale per sviluppare questo tema.
Nella prima quartina troviamo quindi i “fiori notturni” (metafora della donna) (v. 1), ovvero quei
gelsomini che hanno appunto la caratteristica di aprirsi con il calare delle tenebre per richiudersi poi
con l'avvento del mattino, e in seguito le “farfalle crepuscolari” (metafora dell'uomo) (v. 4), che
anticipano il momento della giornata - la sera - in cui è ambientata la poesia. Nella seconda e terza
quartina prevale l’atmosfera di pace della fine del giorno, attraversata però dall’attesa di qualcosa di
misterioso che sta per giungere. “L’odore di fragole rosse” (v. 10) è appunto la sinestesia che Pascoli
usa per alludere ellitticamente all’esperienza sessuale che gli sembra preclusa. Egli si trasfigura nella
“ape tardiva” (v. 13) che trova tutto il suo alveare occupato da chi è arrivata prima di lei; e la scena
ha subito un parallelo in una dimensione “cosmica”, sullo sfondo del cielo attraversato dalle Pleiadi
sfavillanti (la “Chioccetta” del v. 15 è nome popolare per la nota costellazione). Anche lo sguardo del
poeta, che sembra osservare la scena dall’esterno della casa, è un indizio della sua sofferenza
silenziosa; egli non può che vedere il lume in mano allo sposo salire “su per la scala” (v. 19), dove
però poi si spegne. Il passaggio all’ultima quartina del testo è mediato da un’ellissi, attraverso la
quale si passa all’alba successiva; la “felicità nuova” (v. 24), che allude alla futura gravidanza della
moglie dell’amico, è la causa per cui i petali del gelsomino sono “un poco gualciti” (v. 22). La
conclusione del Gelsomino raggiunge così il vertice dell’allusività erotica e il punto più alto della
metafora dell’esclusione che caratterizza il testo: il poeta è infatti estraneo al ciclo della vita
simboleggiato da “l’urna molle e segreta” (v. 23) del gelsomino. Da un lato c’è l’atmosfera sfumata ed
allusiva della situazione descritta dal poeta (il paesaggio serale e poi notturno, la sensibilità
raffinatissima nel cogliere il profumo dei fiori, il ronzio dell’ape solitaria, il gioco delle luci); dall’altro
un uso precisissimo sia della metrica sia di alcune figure retoriche, come sinestesie (v. 10: “l’odore di
fragole rosse”) e metonimie (v. 7: “Sotto l’ali dormono i nidi”), in un generale clima dominato
dall’analogia, che istituisce legami misteriosi ed oscuri - noti solo al poetafanciullino - tra le cose.
Molto curato anche l’aspetto fonosimbolico e percettivo del testo, grazie ad un’attenta alternanza tra
vocali aperte e chiuse, e tra verbi e sostantivi che rimandano all’ambito uditivo (“si tacquero i gridi”,
“una casa bisbiglia”, “un’ape tardiva sussurra”, “col suo pigolìo di stelle”) e visivo (“s’aprono i fiori”,
“son