LE VIE DELLA LIBERAZIONE DEL DOLORE
Schopenhauer afferma che l’esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa tale che si impara
poco per volta a non volerla. Il filosofo tuttavia condanna il suicidio in quanto:
- atto di forte affermazione della volontà stessa
- sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere (lascia intatta la cosa in
sé, la quale, pur morendo in un individuo, rinasce in mille altri)
Pertanto, secondo Schopenhauer, la vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione dalla stessa
volontà di vivere. Il filosofo intende dimostrare che, tramite la presa di coscienza del dolore e con il disinganno
di fronte alle illusioni dell’esistere, la voluntas tende a farsi noluntas, cioè negazione progressiva di se
medesima.
Schopenhauer articola l’iter salvifico dell’uomo in tre momenti essenziali:
1. L’arte
2. L’etica sgorga da un sentimento di “pietà” o “compassione” nei confronti del prossimo , attraverso cui
avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri → tramite la pietà sperimentiamo l’unità metafisica dell’unità
metafisica di tutti gli esseri
3. L’ascesi, che nasce dall’orrore dell’uomo per l’essere, è per il filosofo l’esperienza attraverso la quale
l’individuo, cessando di volere la vita, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere e di volere
= soppressione del desiderio e della stessa volontà. ↓
MA non è possibile la negazione della volontà in quanto quest’ultima costituisce l’essenza di tutte le cose,
l’assoluto.
KIERKEGAARD
● Il carattere paralizzante del possibile
La prima e fondamentale caratteristica dell’opera e della personalità del filosofo è il tentativo di ricondurre la
comprensione dell’intera esistenza umana al criterio della possibilità.
Kierkegaard scopre e mette in luce il carattere negativo di ogni possibile che entri a costituire l’esistenza umana:
per Kierkegaard, infatti, qualunque possibilità è “possibilità-che-sì” ma anche, al tempo stesso,
“possibilità-che-non”.
Con ciò il filosofo intende dire che ogni scelta, ogni opportunità che si presenta all’uomo, impone sempre che se
ne scartino altre → qualunque possibilità implica la minaccia del nulla.
C’è un rischio ineliminabile in ogni opportunità esistenziale che porterà lo stesso filosofo all’immobilismo: egli
stesso, infatti, incarna la figura del “discepolo dell’angoscia”, che sente gravare su di sé le possibilità che ogni
alternativa esistenziale prospetta.
● Il “punto zero”
Il punto zero è l’indecisione permanente, l’equilibrio instabile tra le opposte alternative che si aprono di fronte a
qualsiasi possibilità.
“scheggia nelle carni” → impossibilità di ridurre la propria vita a un compito preciso, di scegliere in maniera
definitiva tra le diverse alternative, di riconoscersi e attuarsi in una possibilità unica; nel filosofo permane
una condizione di indecisione e instabilità.
Elemento portante della pensiero di Kierkegaard è il tema della fede e, in particolare, del cristianesimo.
CRISTIANESIMO = unica religione in cui il filosofo intravede un’ancora di salvezza
● La critica all’hegelismo
La filosofia di Hegel risulta radicalmente opposta al punto di vista di K.
- La dialettica hegeliana et...et
Hegel sviluppa la sua filosofia intorno al rapporto dialettico tesi, antitesi e sintesi, intendendo la sintesi come un
superamento dell'antitesi in cui i primi due momenti vengono conciliati e portati alla migliore espressione (et...et
= sia...sia = sia antitesi che tesi). A ciò Kierkegaard oppone la dialettica dell'aut.. aut, ovvero della vita come
possibilità di scelta, in quanto l'individuo è libero di scegliere tra delle alternative che sono inconciliabili tra
loro. - L'esistenza come necessità
Nella concezione filosofica hegeliana trionfa la necessità, in quanto tutto avviene secondo un ordine razionale
stabilito dall'Assoluto e non può essere altrimenti. A questo Kierkegaard oppone l'esistenza come possibilità,
ovvero come possibilità di scelta tra quelle che inevitabilmente incontriamo nella vita: infatti l'individuo non
quel che è ma quel che sceglie di essere.
- Primato del Singolo
L’idealismo hegeliano abolisce l’individuo, in quanto lo priva della capacità di pensare, sostenendo piuttosto che
è il pensiero a pensare se stesso tramite l’individuo. Quando l’uomo pensa l’assoluto smarrisce la propria
identità e diventa egli stesso assoluto.
Kierkegaard restituisce al singolo la sua esistenza concreta: Kierkegaard, infatti, ritiene che prima di tutto venga
l’esistenza del Singolo, ovvero l’istanza dell’esistenza come tale, in opposizione all’universalità dello Spirito di
Hegel.
AUT-AUT
Aut-aut è una raccolta di scritti che presentano l’alternativa tra quelli che il filosofo considera come i due stadi
fondamentali dell’esistenza: la vita estetica e la vita morale. Ogni stadio si presenta all’uomo come
un’alternativa che esclude l’altra (lo stesso titolo, o - o, suggerisce una sorta di “abisso” posto tra i due).
- Lo stadio estetico
Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell’attimo, fuggevolissimo e irripetibile. L’esteta è colui che
vive attimo per attimo, alla ricerca incessante del piacere e delle sensazioni più nuove, sfuggenti e irripetibili;
colui che bandisce tutto ciò che banale, insignificante e meschino.
La vita estetica non tollera la ripetizione che contraddistingue la quotidianità di una vita regolare.
↓ MA
La vita estetica rivela tuttavia la propria inadeguatezza, conducendo necessariamente alla noia e, in ultimo, alla
disperazione: chiunque viva esteticamente è infatti disperato e tale disperazione è il sintomo dell'ansia dell'esteta
per una vita diversa, per la possibilità di un'alternativa esistenziale differente.
Analisi del capolavoro di Mozart, Don Giovanni
★
Kierkegaard spiega che il numero eccezionalmente alto delle conquiste del protagonista si spiega con la sua
insoddisfazione per ogni relazione. Ciò però non dipende dall'inadeguatezza delle varie amanti, ma
dall'incapacità di Don Giovanni di trovare nella donna, in una donna, quell'infinità di piacere e di realizzazione
che sta cercando.
(DIVERTISSEMENT PASCAL)
- Lo stadio etico
La vita etica implica una stabilità e una continuità che la vita estetica esclude. Nella vita etica l’uomo si
sottopone a una forma, si adegua all’universale e rinuncia ad essere l’eccezione.
↓
La vita etica è rappresentata dalla figura del MARITO
La persona etica, inoltre, vive del proprio lavoro: esso costituisce la sua vocazione, e l'individuo che sceglie la
vita etica lavora con piacere, poiché adempiendo al proprio compito egli adempie a tutto ciò che può desiderare
al mondo.
In questo senso, la caratteristica della vita etica è costituita dalla scelta che l'uomo fa di se stesso.
Una volta effettuata questa scelta, l'individuo scopre di possedere una storia in cui riconoscere la propria identità
con se stesso.
In virtù della scelta, l'individuo non può rinunciare ad alcunché della propria storia, neanche agli aspetti di essa
più dolorosi e crudeli; e nel riconoscersi in questi aspetti, egli si pente.
Pentimento → Il pentimento costituisce lo scacco finale della vita etica, lo scacco per cui lo stadio etico rivela la
propria insufficienza e la necessità di passare al dominio della religione (spiegazione prof: parte
dell'individualità non rientra nella forma, intesa nella sua totalità: questo determina un senso di pentimento,
sentimento che conduce alla disperazione).
TIMORE E TREMORE
In Timore e tremore Kierkegaard raffigura la vita religiosa rifacendosi al personaggio biblico di Abramo e alla
sua vicenda: vissuto fino a settant'anni nel rispetto della legge morale, Abramo riceve da Dio l'ordine di uccidere
il figlio Isacco, infrangendo così la legge per la quale è vissuto.
Il significato di tutto ciò sta nel fatto che il sacrificio di Isacco non è suggerito ad Abramo da una qualche
esigenza morale, ma da un comando divino che, anzi, contrasta con la legge morale e con gli affetti naturali.
↓
In altri termini, l'affermazione del principio religioso sospende interamente l'azione del principio morale.
Optando per il principio religioso, l'uomo di fede sceglie di seguire i comandi divini anche a costo di infrangere
le norme morali e giungere così a una rottura totale con tutti gli altri uomini. Del resto, la fede non è un principio
generale, ma un rapporto privato tra l'uomo e Dio, un rapporto assoluto con l'assoluto.
Da tutto ciò deriva il carattere incerto e rischioso della vita religiosa: Come può l'uomo esser certo di
costituire, rispetto alle regole morali, un'eccezione giustificata?
L'angoscia dell'incertezza è la sola assicurazione possibile.
ANGOSCIA
L’angoscia è la condizione generata nell’uomo dal possibile → Non è che un niente; ma è proprio questo niente
a generare l’angoscia. L’angoscia non si riferisce a nulla di preciso.
Il passato genera angoscia solo nel caso in cui si presenti come possibile futuro, cioè come possibilità di
ripetizione.
Kierkegaard collega l'angoscia al principio dell'infinità, o onnipotenza, del possibile, che esprime spesso così:
«nel possibile, tutto è possibile», anche e soprattutto il negativo. Per questo ogni possibilità è spesso annientata
dall’infinito numero delle possibilità sfavorevoli.
È quindi l’infinità delle possibilità a rendere l’angoscia insuperabile, e a farne la condizione fondamentale
dell’uomo nel mondo.
DISPERAZIONE e FEDE
La disperazione è la condizione in cui il possibile pone l’uomo rispetto alla sua interiorità → la disperazione è
strettamente legata alla natura dell’io.
Nel rapporto con se stesso:
- se l'io non vuole essere se stesso, urta evidentemente contro un'impossibilità di fondo, in quanto
elude un aspetto che gli è costitutivo;
- se vuole essere se stesso, non può giungere all'equilibrio e al riposo, dal momento che è finito