La rappresentazione
«Il mondo è la mia rappresentazione». Delle forme a priori di Kant, Schopenhauer ne ammette solo tre: lo spazio, il tempo e la causalità. Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole, traendo la conclusione che la vita è un sogno, cioè un tessuto di apparenze o una sorta di “incantesimo” che fa di essa qualcosa di simile agli stati onirici. Noi non facciamo esperienza di un mondo oggettivo in sé, ma facciamo esperienza sempre e solo del mondo per come ce lo rappresentiamo.
Abbiamo sempre a che fare non con il mondo dato, oggettivo, ma con il mondo mediato dalle nostre forme pure a priori dello spazio-tempo e dai nostri quadri concettuali. «Il mondo circostante non esiste se non come rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo». Il mondo fenomenico è un mondo contrassegnato da spazio, tempo e nessi causali, cioè da leggi necessarie. Il mondo in cui io vivo mi appare dunque un mondo ordinato e regolato da leggi necessarie: ma questo tipo di mondo è una mia rappresentazione, è una visione ingannevole della realtà. Significa quindi che in realtà il mondo non è per nulla ordinato come appare a me. La verità è che il mondo è caos→ ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo, o meglio il filosofo che è nell’uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti, sostiene Schopenhauer, l’uomo è un animale metafisico che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull’esistenza ultima della vita.
La scoperta della via d’accesso alla cosa in sé
Schopenhauer si vanta di aver individuato quella via d’accesso al noumeno che Kant aveva precluso: ma se la nostra mente è chiusa nell’orizzonte della rappresentazione, com’è possibile lacerare il “velo di Maya”? Se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione, non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico, ossia dalla rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo dati a noi stessi non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a “vederci” dal di fuori, bensì ci viviamo anche dal di dentro. Ed è questa esperienza che permette all’uomo di “squarciare” il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé.
Infatti, ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che l’essenza profonda del nostro io, o meglio la cosa in sé del nostro essere, è la brama o la volontà di vivere. La ragione o l’intelletto non possono fungere da strumenti per squarciare il velo. Il corpo invece può permettermi un accesso noumenico alla realtà perché il corpo sente e, sentendo, va al di là di come lo si percepisce attraverso le forme spazio/tempo e il principio di causalità. Il nostro stesso corpo non è che la manifestazione esteriore dell’insieme delle nostre brame interiori: l’apparato digerente non è che l’aspetto fenomenico della volontà di nutrirsi, l’apparato sessuale non è che l’aspetto oggettivato della volontà di riprodursi e così via. L’intero mondo fenomenico non è altro che la maniera attraverso cui la volontà si manifesta o si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spazio-temporale: da ciò il titolo al suo capolavoro: Il mondo come volontà e rappresentazione.
Caratteri e manifestazioni della volontà di vivere
- Inconscia: Poiché la consapevolezza e l’intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Di conseguenza non è da intendersi come volontà cosciente ma con il concetto più generale di energia o impulso.
- Unica: Poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, che hanno la prerogativa di dividere e moltiplicare gli enti, si sottrae costituzionalmente a ciò che i filosofi del Medioevo chiamavano il principio di individuazione. Infatti la Volontà non è qui più di quanto non sia là, più oggi di quanto non sia stata ieri.
- Eterna: Essendo oltre la forma del tempo, la Volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un Principio senza inizio né fine.
- Libera e cieca: Si configura come un’energia incausata, senza un perché e senza uno scopo. Infatti, noi possiamo cercare la ragione di questa o di quella manifestazione fenomenica della volontà, ma non della Volontà in se stessa, esattamente come possiamo chieder ad un uomo perché voglia questo o quello, ma non perché voglia in generale.
La crudele verità sul mondo: miliardi di esseri (vegetali, animali, umani) non vivono che per vivere e continuare a vivere. È questa, secondo Schopenhauer, l’unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato di mascherarla postulando un Dio in cui troverebbe senso la loro vita, mentre questa non ce l’ha. Ma Dio nell’universo doloroso di Schopenhauer non può esistere e l’unico Assoluto è la Volontà stessa. Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica dell’uomo, ma anche l’essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell’universo.
Come si oggettiva e si manifesta la volontà
La volontà di vivere pervade ogni essere della natura, sia pure in forme distinte e secondo gradi di consapevolezza diversi, che vanno dalla materia organica, in cui appare in modo inconscio, sino all’uomo in cui essa risulta pienamente consapevole. Ritiene che l’unica ed infinita volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi logicamente distinguibili:
- Nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, aspaziali ed atemporali, che egli chiama platonicamente idee e che considera alla stregua di archetipi del mondo.
- Nella seconda si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono nient’altro che la moltiplicazione delle idee.
Il mondo delle realtà naturali si struttura attraverso una serie di gradi disposti in ordine ascendente:
- Il grado più basso di oggettivazione della volontà è costituito dalle forze generali della natura.
- I gradi superiori sono le piante e gli animali.
- Il grado più alto è costituito dall’uomo, nel quale la Volontà diviene pienamente consapevole: ciò guadagna con la ragione ma l’istinto diventa meno efficace e ciò fa sì che l’uomo risulti sempre un animale malaticcio.
Il pessimismo. Il dolore, il piacere e la noia
Il dolore
Affermare che l’essere è la manifestazione di una Volontà infinita equivale a dire, secondo Schopenhauer, che la vita è dolore per essenza: infatti volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere. Il desiderio risulta dunque per definizione, assenza, vuoto, indigenza: ossia dolore e sofferenza. Poiché nell’uomo la Volontà è più cosciente e quindi più affamata, egli risulta il più bisognoso e mancante degli esseri e destinato a non trovare mai un appagamento perché per definizione il desiderio una volta soddisfatto si rimanifesta. Il desiderio si rinnova continuamente e quindi si rinnovano continuamente le sofferenze.
Il piacere
Per di più ciò che gli uomini chiamano godimento (fisico) e gioia (psichico) è nient’altro che una cessazione del dolore. Mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è un dato permanente, il piacere è solo una funzione derivata del dolore. Il piacere, cioè, si identifica con il godimento del bisogno, del desiderio soddisfatto, ma questo presuppone il dolore e la sofferenza precedente. Infatti non appena viene meno lo stato di tensione del desiderio, cessa anche il godimento. Non può esserci piacere indipendentemente dal dolore.
La noia
Accanto al dolore, che è una realtà durevole, e al piacere, che è qualcosa di momentaneo, Schopenhauer pone, come terza situazione esistenziale di base, la noia, la quale subentra quando viene meno il tormento del desiderio, o il frastuono delle attività o il pungolo delle preoccupazioni: una sorta di vuoto dovuto all’assenza dell’oggetto del desiderio. La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
La sofferenza universale
Poiché la volontà di vivere, che è un desiderio perennemente inappagato e sempre rinnovantesi, si manifesta in tutte le cose sotto forma di una vera e propria Sensucht (desiderio inappagato) cosmica, il dolore non riguarda soltanto l’uomo, ma investe ogni creatura. Tutto soffre: dal fiore che appassisce per mancanza d’acqua all’animale ferito dal bimbo che nasce al vecchio che muore. E se l’uomo, in cui si riassume e potenzia il male del mondo, soffre di più rispetto alle altre creature, è semplicemente perché egli, avendo maggiore consapevolezza, è destinato a sentire in modo più accentuato la spinta della volontà. Per la stessa ragione, il genio, avendo maggiore sensibilità rispetto agli uomini comuni, è votato ad una maggiore sofferenza. In tal modo, Schopenhauer perviene ad una delle più radicali forme di pessimismo cosmico di tutta la storia del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nel mondo, ma nel Principio stesso da cui esso dipende: dietro le celebrate meraviglie del creato, si cela in realtà secondo il filosofo, un’arena di esseri tormentati e angosciati, i quali esistono solo a patto di divorarsi l’uno all’altro. E in questa vicenda irrazionale della vita cosmica, l’individuo appare soltanto uno strumento per la specie, fuori della quale egli non ha valore. L’unico fine della vita sembra essere quello di perpetuare la vita e, con la vita, il dolore.
Le vie di liberazione dal dolore
Nonostante la sua visione pessimista, Schopenhauer rifiuta il...
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