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Secondo Pirandello, il comico consiste nell' «avvertimento del contrario»,
l'umorismo nel «sentimento del contrario». Ebbene, Manzoni,
rappresentando don Abbondio, non si limita all'«avvertimento del
contrario» (non si limita cioè ad avvertire che il comportamento di don
Abbondio è il contrario di come dovrebbe essere), ma giunge al sentimento
del contrario»: e infatti sente pietà e commiserazione per il suo
personaggio e nello stesso tempo ne fa strazio. Un osservatore superficiale
terrà conto del riso che nasce dalla comicità degli atti, dei gesti, delle frasi
reticenti ecc. di don Abbondio, e lo chiamerà ridicolo senz’altro, o una
figura semplicemente comica. Ma chi non si contenta di queste
superficialità e sa veder più a fondo, sente che il riso qui scaturisce da ben
altro, e non è soltanto quello della comicità.
Don Abbondio è quel che si trova in luogo di quel che ci sarebbe voluto.
Ma il poeta non si sdegna di questa realtà che trova, perché, pur avendo,
come abbiamo detto, un ideale altissimo della missione del sacerdote sulla
terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quest'ideale non si
incarna se non per rarissima eccezione, e però lo obbliga a limitare
quell’ideale, come osserva il De Sanctis. Ma questa limitazione dell'ideale
che cos'è? è l'effetto appunto della riflessione che, esercitandosi su
quest'ideale, ha suggerito al poeta il sentimento del contrario. E don
Abbondio è appunto questo sentimento del contrario oggettivato e vivente,
e però non è comico soltanto, ma schiettamente e profondamente
umoristico.
Le avventure di Renzo tra favola e romanzo
In queste pagine Ezio Raimondi fa tre considerazioni principali. Anzitutto
sottolinea la differenza fra Lucia, personaggio che vive nel privato e
nell'intimità della casa, e Renzo, personaggio pubblico, che vive sulla
strada. Osserva poi che il narratore si serve di Renzo per raggiungere
«effetti di straniamento»: Renzo, infatti, non capisce quello che succede
intorno a lui a Milano e ciò permette al narratore di assumere un punto di
vista critico nei confronti delle scene a cui Renzo assiste nella prima parte
del suo vagabondaggio cittadino. Successivamente, adottando categorie di
tipo simbolico e antropologico, la figura di Renzo viene identificata in
quella dell'«eroe cercatore» delle favole e dell'epica romanza:
Renzo, infatti, cerca dapprima la via della fuga e l'Adda, poi, nel suo
secondo viaggio, Lucia. Ma cerca anche, sempre, giustizia.
Legate fra loro da un destino comune e da un interno contrappunto di
ricordi, di risonanze affettive, le due vicende di Renzo e di Lucia, dal
momento in cui si disgiungono procedono a linee alterne e determinano il
doppio asse lungo il quale il racconto si dilata per divenire un capitolo di
storia universale.
Ma solo Renzo si trova a compiere un'autentica esperienza pubblica, viene
a contatto coi meccanismi di un sistema sociale, ne sperimenta gli assurdi
al livello più basso e si sforza, come può, di capirne qualcosa. Egli è
l'antieroe della tradizione picaresca, un «pover'uomo» gettato in un mondo
imprevisto di insidie e costretto, nel suo viaggio fra il contado e Milano,
dove, sovente a sua insaputa, sembra quasi rivelarsi il mistero
dell'esistenza. E tocca a lui in fondo la parte di protagonista vittima e
cercatore nei confronti di quella realtà complessa, ma insieme cos
terribilmente semplice, che è la giustizia.
Perché anche Renzo prenda a riflettere a sua volta su quanto gli è successo,
occorre aspettare che egli entri a Milano e che i nuovi eventi di cui è
spettatore compartecipe lo portino ripetutamente a un confronto, a un
dialogo con i propri ricordi, che poi è forse anche, sul piano dell'arte, una
delle più grandi scoperte manzoniane. Comincia, ora, la sua avventura
pubblica, il suo viaggio di contadino déraciné tra i mostri di una città in
disordine, nel labirinto di una folla che lo prende come in un «vortice».
Insieme con la curiosità che gli viene dalla certezza di trovarsi in un
«giorno di conquista», ciò che lo spinge avanti, senza sapere bene di che
cosa vada in cerca, è uno sdegno segreto, quasi una protesta, si direbbe,
contro la morale di don Abbondio: e a poco a poco si trasforma in speranza
di giustizia per sé, per gli altri. In mezzo al tumulto i discorsi più generosi,
in fondo, sono i suoi. Il buon senso, la saggezza contadina di Renzo, sene
al narratore per ottenere straordinari effetti di straniamento.
Il personaggio riemerge soltanto, raccogliendo intorno a sé la trama
primaria del racconto, allorquando la peste gli offre finalmente l'occasione
di rimettersi in cammino, immunizzato com'è dal contagio, alla ricerca di
Agnese o della propria casa. Il ruolo di Renzo coincide allora con quello di
un «eroe cercatore» in un universo dominato dalla morte, insidiato dalla
corruzione, dalla grande paura del disordine metafisico: e il suo viaggio
assume nel contempo il carattere di una prova, di una iniziazione al livello
di un'umanità spoglia, quasi elementare.
Renzo: un moderno personaggio di romanzo secondo Coletti
Come Raimondi, Coletti analizza le differenze tra Renzo e Lucia: il primo
è un personaggio loquace, impulsivo, sempre in movimento; viceversa,
Lucia è una figura statica e silenziosa. A differenza di Raimondi, però,
Coletti parte da questo confronto per mettere in luce la modernità di Renzo
che ha tutte le caratteristiche del «vero personaggio» del romanzo
ottocentesco:
1) la sua storia privata s'intreccia con la grande Storia;
2) esplora ambienti diversi, passando dalla campagna alla città:
3) sa destreggiarsi nelle difficoltà e modifica i propri atteggiamenti a
seconda delle circostanze;
4) non accetta supinamente la realtà, ma cerca di volgere i fatti a proprio
favore;
5) è un personaggio in trasformazione ed e «l'unico davvero cambiato
(innominato a parte) dalla storia che ha vissuto».
Lucia è un personaggio immobile, definito fin da subito, lieve e statico per
tutto il libro: «alle volte un po' fissa nelle sue idee», deve convenire anche
il suo promesso (sposo]. Sono pochissimi e brevi i momenti in cui cambia,
rari i gesti che non siano composti (quando Renzo minaccia sfracelli,
durante il rapimento), quasi assenti quelli non funzionali a una pratica utile
e ammessa cucire, ecc.), giusto, a rapimento concluso, il rapido
rassetto di abiti e acconciatura o il gettarsi ai piedi di Renzo per calmare
l'ira e i propositi di vendetta. Gli altri personaggi principali del romanzo
invece si muovono, gesticolano, cambiano o, come fra Cristoforo e
l'innominato, hanno addirittura due vite.
Renzo, tra i protagonisti, è sicuramente il più movimentato. Quieto, lo
«assicurava e attestava» Lucia e, che lo sia di fondo, lo sa anche il lettore.
Ma questi poi le rende più spesso agitato e generoso, collerico e dolce,
intontito («come un materialone») mentre l'Azzecca-garbugli squaderna
equivoche gride' e ironico («tra burlevole e rispettoso») davanti all'ultimo
don Abbondio, ancora luttante a compiere il suo dovere sin che non è ben
sicuro della morte di don Rodrigo («signor curato, - gli disse: - le è poi
passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare?»). A
nessuno capitano nel romanzo tante avventure quante a Renzo che arriva
sempre là dove c'è qualche trambusto (forni, monatti, untori) e nessuno
parla tanto come lui, sì che il narratore lo lascia alla fine che ancora
vorrebbe continuare e ripetere dall'inizio il racconto dell'accaduto. Renzo è
un vero personaggio romanzesco. I suoi percorsi (casa-Mi-lano-Bergamo-
casa-bergamasco) disegnano la geografia più estesa del libro. Lui è al
centro della storia grande (le giornate di san Martino) ed è l'unico tra i
protagonisti a uscire davvero dal paesaggio ristretto di campagna per
entrare in quello cittadino, incrociandovi i destini generali del tempo (‹il
poveraccio, senza volerlo, e senza saperlo né allora né mai, si trovò, con
un sottilissimo e invisibile filo, attaccato a quelle troppe e troppo gran
cose»).
Renzo ha il minimo di istruzione compatibile con un artigiano ventenne
del XVII secolo e necessario a definire un personaggio sveglio, che ce la fa
sempre e cade in trappola solo per generosità e non per stoltezza e che
soltanto l'astuzia cattiva e l'abbaglio macroscopico di una spia rischiano
davvero di perdere. Il lettore simpatizza con Renzo, il cui comportamento
gli sembra sempre plausibile, condivisibile [...]. Se commette degli errori,
già si capisce che vi porrà pronto rimedio. Sa modificare il proprio
atteggiamento a seconda degli interlocutori e delle situazioni. Lucia scopre
con terrore il suo lato violento, di uomo offeso e umiliato da un prepotente
e perciò ansioso di vendetta (forse, dice Manzoni, c'è anche un po' di recita
nel Renzo spiritato che si ripromette di sbudellare don Rodrigo quanto
basta perché Lucia si decida al matrimonio clandestino), ma deve fare i
conti anche con le sue capacità di argomentazione, quando si impegna a
smontare le ragioni che la giovane adduce a difesa del voto di castità. [...]
Renzo non è mai lo stesso e, soprattutto, se si adatta alla realtà, non la
accetta interamente né supinamente.
Per lui, la dolcezza del matrimonio con Lucia o la vendetta violenta su don
Rodrigo sono figure e momenti di un lucido sogno di vita diversa, più lieta
o più giusta, attese trepidanti o angosciate di futuro. I modi «gioviali e
risoluti» iscrivono Renzo alla categoria dei personaggi attivi e positivi dei
romanzi. Il narratore ha un bel prenderne qua e là le distanze, ironizzando
sulla sua faciloneria, calcando la mano sui suoi eccessi di eccitazione (i
poveri polli in mano sua, quando torna dalla visita all'Azzecca-garbugli),
sugli errori di valutazione del prossimo (persino nel paese dove la coppia,
finalmente sposata, va, in un primo momento, ad abitare), sulle sue
ombrosità. Ma il lettore riceve un’immagine di uomo che costruisce il
proprio futuro, che non si arrende al presente, che non smette di desiderare
qualcosa, magari, ormai maturo, retrospettivamente fantasticando di
trasformare in acquisti di esperienza le terribili avventure capitategli.
Renzo è un personaggio da romanz