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In queste pagine Ezio Raimondi fa tre considerazioni principali. Anzitutto
sottolinea la differenza fra Lucia, personaggio che vive nel privato e
nell'intimità della casa, e Renzo, personaggio pubblico, che vive sulla strada.
Osserva poi che il narratore si serve di Renzo per raggiungere «effetti di
straniamento»: Renzo, infatti, non capisce quello che succede intorno a lui
a Milano e ciò permette al narratore di assumere un punto di vista critico nei
confronti delle scene a cui Renzo assiste nella prima parte del suo
vagabondaggio cittadino. Successivamente, adottando categorie di tipo
simbolico e antropologico, la figura di Renzo viene identificata in quella
dell'«eroe cercatore» delle favole e dell'epica romanza:
Renzo, infatti, cerca dapprima la via della fuga e l'Adda, poi, nel suo
secondo viaggio, Lucia. Ma cerca anche, sempre, giustizia.
Legate fra loro da un destino comune e da un interno contrappunto di ricordi,
di risonanze affettive, le due vicende di Renzo e di Lucia, dal momento in
cui si disgiungono procedono a linee alterne e determinano il doppio asse
lungo il quale il racconto si dilata per divenire un capitolo di storia
universale.
Ma solo Renzo si trova a compiere un'autentica esperienza pubblica, viene
a contatto coi meccanismi di un sistema sociale, ne sperimenta gli assurdi al
livello più basso e si sforza, come può, di capirne qualcosa. Egli è l'antieroe
della tradizione picaresca, un «pover'uomo» gettato in un mondo imprevisto
di insidie e costretto, nel suo viaggio fra il contado e Milano, dove, sovente
a sua insaputa, sembra quasi rivelarsi il mistero dell'esistenza. E tocca a lui
in fondo la parte di protagonista vittima e cercatore nei confronti di quella
realtà complessa, ma insieme cos terribilmente semplice, che è la giustizia.
Perché anche Renzo prenda a riflettere a sua volta su quanto gli è successo,
occorre aspettare che egli entri a Milano e che i nuovi eventi di cui è
spettatore compartecipe lo portino ripetutamente a un confronto, a un
dialogo con i propri ricordi, che poi è forse anche, sul piano dell'arte, una
delle più grandi scoperte manzoniane. Comincia, ora, la sua avventura
pubblica, il suo viaggio di contadino déraciné tra i mostri di una città in
disordine, nel labirinto di una folla che lo prende come in un «vortice».
Insieme con la curiosità che gli viene dalla certezza di trovarsi in un «giorno
di conquista», ciò che lo spinge avanti, senza sapere bene di che cosa vada
in cerca, è uno sdegno segreto, quasi una protesta, si direbbe, contro la
morale di don Abbondio: e a poco a poco si trasforma in speranza di giustizia
per sé, per gli altri. In mezzo al tumulto i discorsi più generosi, in fondo,
sono i suoi. Il buon senso, la saggezza contadina di Renzo, sene al narratore
per ottenere straordinari effetti di straniamento.
Il personaggio riemerge soltanto, raccogliendo intorno a sé la trama primaria
del racconto, allorquando la peste gli offre finalmente l'occasione di
rimettersi in cammino, immunizzato com'è dal contagio, alla ricerca di
Agnese o della propria casa. Il ruolo di Renzo coincide allora con quello di
un «eroe cercatore» in un universo dominato dalla morte, insidiato dalla
corruzione, dalla grande paura del disordine metafisico: e il suo viaggio
assume nel contempo il carattere di una prova, di una iniziazione al livello
di un'umanità spoglia, quasi elementare.
Renzo: un moderno personaggio di romanzo secondo Coletti
Come Raimondi, Coletti analizza le differenze tra Renzo e Lucia: il primo è
un personaggio loquace, impulsivo, sempre in movimento; viceversa, Lucia
è una figura statica e silenziosa. A differenza di Raimondi, però, Coletti parte
da questo confronto per mettere in luce la modernità di Renzo che ha tutte
le caratteristiche del «vero personaggio» del romanzo ottocentesco:
1) la sua storia privata s'intreccia con la grande Storia;
2) esplora ambienti diversi, passando dalla campagna alla città:
3) sa destreggiarsi nelle difficoltà e modifica i propri atteggiamenti a
seconda delle circostanze;
4) non accetta supinamente la realtà, ma cerca di volgere i fatti a proprio
favore;
5) è un personaggio in trasformazione ed e «l'unico davvero cambiato
(innominato a parte) dalla storia che ha vissuto».
Lucia è un personaggio immobile, definito fin da subito, lieve e statico per
tutto il libro: «alle volte un po' fissa nelle sue idee», deve convenire anche
il suo promesso (sposo]. Sono pochissimi e brevi i momenti in cui cambia,
rari i gesti che non siano composti (quando Renzo minaccia sfracelli,
durante il rapimento), quasi assenti quelli non funzionali a una pratica utile
e ammessa cucire, ecc.), giusto, a rapimento concluso, il rapido
rassetto di abiti e acconciatura o il gettarsi ai piedi di Renzo per calmare l'ira
e i propositi di vendetta. Gli altri personaggi principali del romanzo invece
si muovono, gesticolano, cambiano o, come fra Cristoforo e l'innominato,
hanno addirittura due vite.
Renzo, tra i protagonisti, è sicuramente il più movimentato. Quieto, lo
«assicurava e attestava» Lucia e, che lo sia di fondo, lo sa anche il lettore.
Ma questi poi le rende più spesso agitato e generoso, collerico e dolce,
intontito («come un materialone») mentre l'Azzecca-garbugli squaderna
equivoche gride' e ironico («tra burlevole e rispettoso») davanti all'ultimo
don Abbondio, ancora luttante a compiere il suo dovere sin che non è ben
sicuro della morte di don Rodrigo («signor curato, - gli disse: - le è poi
passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare?»). A
nessuno capitano nel romanzo tante avventure quante a Renzo che arriva
sempre là dove c'è qualche trambusto (forni, monatti, untori) e nessuno parla
tanto come lui, sì che il narratore lo lascia alla fine che ancora vorrebbe
continuare e ripetere dall'inizio il racconto dell'accaduto. Renzo è un vero
personaggio romanzesco. I suoi percorsi (casa-Mi-lano-Bergamo-casa-
bergamasco) disegnano la geografia più estesa del libro. Lui è al centro della
storia grande (le giornate di san Martino) ed è l'unico tra i protagonisti a
uscire davvero dal paesaggio ristretto di campagna per entrare in quello
cittadino, incrociandovi i destini generali del tempo (‹il poveraccio, senza
volerlo, e senza saperlo né allora né mai, si trovò, con un sottilissimo e
invisibile filo, attaccato a quelle troppe e troppo gran cose»).