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IL PIENO CONTROLLO SULLA VITA ECONOMICA, POLITICA E CULTURALE > Il

regime nazista fu

un regime totalitario nella misura in cui riuscì a organizzare e a dominare

l’intera

società tedesca: realizzando un pieno controllo della vita economica, politica e

culturale sia attraverso il ricorso pratiche di terrore, sia disciplina e sulla

propaganda. Fu creato un ministero apposito con l’obiettivo di manipolare

l’informazione, e in generale di gestire il consenso attraverso la stampa, la

radio e il cinema. Ogni aspetto e ogni momento

della vita dei cittadini tedeschi venne occupato dalla presenza dell’ideologia

nazista. Un ruolo di rilievo fu attribuito alle organizzazioni giovanili (la

principale delle

quali fu la Gioventù hitleriana) e alle manifestazioni di vigore fisico e atletico, in

linea

con una cultura che teorizzava il prevalere dell’individuo più forte sul più

debole. Pur avendo stipulato nel 1933 un concordato con la Chiesa cattolica, e

pur godendo dell’appoggio più o meno esplicito di gran parte delle Chiese

protestanti, il nazismo promosse una cultura neopagana contro il cristianesimo.

Quest’ultimo era considerato infatti nocivo, in quanto

portatore di “disvalori” quali la tolleranza verso i diversi da sé e la tutela dei più

deboli.

L’ALLEANZA CON L’ÉLITE INDUSTRIALE E LE FORZE ARMATE > Lo spettacolare

consenso ottenuto dal regime dipese anzitutto dalla crescita economica che

seguì l’ascesa di Hitler. Nel giro di pochi anni l’industria tedesca riprese slancio

e raggiunse i livelli precedenti alla crisi del 1929: anche

in virtù di una sospensione dei diritti dei lavoratori e di un rigido controllo dei

salari e della vita di fabbrica. Decisivo si rivelò il programma di massiccio

riarmo e di investimenti pubblici nel settore automobilistico e autostradale (si

parla in proposito di un «New Deal tedesco»), che permise alla Germania di

raggiungere una supremazia produttiva e militare in Europa e una piena

occupazione interna.

L’ELIMINAZIONE DELLE SA > La scelta del Führer di allearsi con l’élite

industriale e con le forze armate comportò il ridimensionamento dell’ala più

contraria al movimento nazista. Nel 1934 – nel corso di un allontanamento

iniziato con la «notte dei lunghi coltelli», tra il 29 e il 30 giugno – Hitler fece

sterminare i vertici delle SA di Ernst Röhm, divenuto ai suoi occhi un

personaggio politicamente troppo ingombrante. I contrasti tra Hitler e Röhm

(entrambi reduci di guerra e membri del Partito nazionalsocialista fin dalle

origini) risalivano alla metà degli anni

Venti, dopo il fallimento del Putsch di Monaco, quando il futuro Führer aveva

preso la guida del partito e adottato la tattica del doppio binario. Ottenuto il

potere, Hitler decise di sbarazzarsi di un corpo paramilitare che dopo il 1929

era cresciuto a dismisura, raggiungendo secondo alcune stime i 3 milioni di

aderenti. Il Führer guidò personalmente l’inizio del raid a Bad Wiessee, vicino

Monaco, dove era in corso una riunione dei vertici delle SA. Durante il

massacro, che si allargò a Berlino e ad altre città della Germania, vennero

uccisi circa 200 individui, e nei giorni seguenti si registrarono oltre mille arresti.

La politica razziale del Führer

LE LEGGI DI NORIMBERGA > Un elemento portante del totalitarismo nazista fu

la politica

razziale. Hitler aveva identificato come principale minaccia per la razza ariana

il popolo ebraico, al quale associava le peggiori degenerazioni della società

occidentale, tra cui il cosmopolitismo e il bolscevismo. Nei confronti degli ebrei

tedeschi il regime nazista praticò una sistematica discriminazione, con l’invito a

ostacolare i negozi e i prodotti di loro proprietà. Nel 1935, con l’emanazione

delle cosiddette «leggi di Norimberga», Hitler privò gli ebrei della cittadinanza,

e vietò ai tedeschi ogni rapporto di natura familiare o sessuale con loro, in

modo da evitare il rischio di una contaminazione della purezza del sangue

ariano. Allontanati dai posti di lavoro e respinti dai locali pubblici, segregati

anche sui mezzi di trasporto in carrozze e vetture riservate, dopo il 1935 gli

ebrei furono costretti a vivere ai margini della società. La loro esclusione dal

mondo lavorativo generò nuovi posti di lavoro, a tutto vantaggio dei tedeschi

che poterono anche arricchirsi. La generale indifferenza dei cittadini tedeschi

per la sorte degli ebrei si spiega con motivazioni di ordine materiale, oltreché

per l’influsso di una propaganda antisemita martellante. Si moltiplicarono i casi

di denunce nei confronti degli ebrei benestanti da parte di membri delle classi

popolari, spinti da invidia sociale e da bramosia di arricchimento.

DALLA SEGREGAZIONE ALLA VIOLENZA > Nei primi anni dopo la promulgazione

delle leggi

di Norimberga il regime nazista non valutò concretamente l’ipotesi di uno

sterminio

della popolazione di origine ebraica, piuttosto progettò una sua deportazione di

massa verso aree geografiche esterne ai territori del Reich. Tuttavia, l’ostilità

dei nazisti nei confronti degli ebrei si fece via via più intensa: dalla

discriminazione sociale si passò a vere e proprie aggressioni fisiche, come

avvenne durante la «notte dei cristalli». Tra il 9 e il 10 dicembre 1938,

l’assassinio di un diplomatico nazista a Parigi per mano di un giovane ebreo

polacco scatenò lo scoppio nelle strade di tutta la Germania di un pogrom

(persecuzione), organizzato dalle SS, contro i negozi ebraici rimasti ancora in

attività e contro le sinagoghe. Pochi anni più tardi verrà imposto agli ebrei di

portare sugli abiti, come segno distintivo e discriminatorio, una visibile stella

gialla.

LA POLITICA EUGENETICA > La politica razziale del Reich non si limitò agli

ebrei: si estese anche ad altri «profili umani» considerati nocivi per un sano

sviluppo della razza ariana. Si imposero la sterilizzazione degli individui con

malattie ereditarie e l’internamento di malati mentali, handicappati, e di chi

veniva considerato «asociale» (come gli zingari, gli alcolisti e gli omosessuali).

La propaganda nazista insistette sul diritto dei sani a disporre di condizioni

economiche migliori, sacrificando gli «elementi impuri» della razza. Nell’ombra,

le autorità

misero in atto un vasto programma di uccisioni di massa: si calcola che oltre

5000 bambini e

oltre 70.000 adulti «indegni di vivere» siano stati uccisi, anche ricorrendo a

iniezioni letali e a camere a gas.

L’Unione Sovietica da Lenin a Stalin

IL DISSIDIO FRA TROCKIJ E STALIN > In Europa, nel periodo tra la Prima e la

Seconda guerra

mondiale, l’alternativa ai regimi democratici fu rappresentata dal comunismo

sovietico. La morte di Lenin, nel gennaio 1924, aveva scatenato una corsa alla

successione tra i dirigenti del Partito bolscevico dell’Unione Sovietica. In

particolare tra i due principali collaboratori del leader defunto: Lev Trockij,

l’eroe della guerra civile e capo dell’Armata rossa; e Josif Vissarionovič

Džugašvili, detto Stalin («uomo di ferro»). Quest’ultimo era un efficiente

burocrate, poco amato dall’esercito per il carattere autoritario e i metodi

brutali; abile, nel costruirsi una rete di fedelissimi all’interno del partito

attraverso la distribuzione di cariche e promozioni.

Il dissidio tra i due uomini (nei confronti dei quali Lenin aveva nutrito una

diffidenza crescente, come emerge dal suo testamento dopo la sua morte)

verteva su questioni di fondo. In politica estera, Trockij era convinto della

necessità di esportare gli ideali bolscevichi al di fuori dei confini dell’Urss,

promuovendo una «rivoluzione permanente». Stalin, più prudente, si limitava a

constatare il fallimento di quella prospettiva negli anni successivi alla Prima

guerra mondiale: e

ribadiva l’esigenza, già teorizzata da Lenin, di consolidare il «socialismo in un

paese

solo» – l’Unione Sovietica – in attesa di tempi più maturi. Sul piano economico

le loro

linee divergevano intorno all’eventualità di proseguire la Nep, sposata da

Stalin, o al

contrario di porvi fine, come auspicato dal suo rivale. Quanto alle modalità di

gestione

del dissenso, Trockij rivendicava l’esigenza di una maggiore democrazia nel

processo decisionale, in contrapposizione alla linea di Stalin, legato a

un’impostazione autoritaria delle relazioni interne alle gerarchie di partito.

IL TRIONFO DI STALIN > A partire dal 1927 il dualismo si risolse con la vittoria

di Stalin, il qua-

le riuscì a imporsi, emarginando Trockij e gli altri due principali dissidenti della

nomenklatura bolscevica. Nel 1928 Trockij fu deportato in Kazakistan, e nel

1929 venne espulso dall’Unione Sovietica. Eliminato il suo più temuto

concorrente, Stalin instaurò un ferreo dominio sul partito e sulla società

sovietica, concentrando i propri sforzi politici nel ridimensionamento dell’ala di

destra del bolscevismo, rappresentata da Bucharin. A tal fine Stalin rinunciò

alla sua precedente impostazione economica e sposò la tesi di Trockij di una

sospensione necessaria della Nep, rivelatasi deludente nell’accelerare lo

sviluppo agricolo e industriale dell’Urss. Le terre vennero interamente

nazionalizzate e sottoposte al controllo dello Stato, che le organizzò affidandole

in parte alla gestione collettiva di fattorie cooperative (i kolchoz) e in parte al

diretto sfruttamento di rappresentanti dello Stato, che impiegarono milioni di

contadini in aziende agricole

statali (i sovchoz).

L’ECONOMIA DEI PIANI QUINQUENNALI > La politica economica di Stalin ebbe

come obiettivo l’industrializzazione dell’Unione Sovietica, perseguita attraverso

la drastica politica dei «piani quinquennali». Lo Stato fissava gli obiettivi di

produzione da raggiungere anno per anno nel

quinquennio; indirizzava in tal senso la distribuzione delle risorse e

l’organizzazione

industriale; e stabiliva i prezzi delle merci. Il primo piano quinquennale, dal

1928 al

1932, diede risultati entusiasmanti, con una crescita complessiva del settore

industria-

le quattro volte superiore rispetto al risultato conseguito a suo tempo dalla

Russia

zarista. Tra i suoi effetti tragici fu invece la grande carestia del 1932-33 in

Ucraina, che fu un a conseguenza delle requisizioni forzate, spesso

accompagnate da soprusi e violenze ai danni dei contadini. Collettivizzazione

forzata e requisizioni pro

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
23 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Leryaa_ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Martucci Isabella.