Riassunto esame sociologia dello sviluppo, prof Rovati, libro consigliato Avventure e disavventure della sociologia dello Sviluppo, Scidà
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crescere e moltiplicarsi ma anche alla flessione del ritmo dei decessi. Un’altra spiegazione è
legata al progresso tecnologico, non solo nel campo della medicina ma anche a quello dell’edilizia
pubblica.
Il dibattito sulla popolazione torna decisamente in auge nel secondo dopoguerra. E’ la nascita delle
Nazioni Unite e l’attività dei suoi uffici statistici a richiamare l’attenzione del mondo sui primi dati
relativamente completi e affidabili riferiti alla popolazione mondiale: il tasso di incremento annuo
della popolazione mondiale si collocava circa al 2%, il che implicava il raddoppio della popolazione
mondiale ogni 40 anni.
Negli anni ’60 le maggiori preoccupazioni sono determinate dalla crescita demografica dei Paesi
del Terzo Mondo ed in particolare dell’Asia. Le politiche demografiche poste in essere sono
incentrate sullo sviluppo del capitale umano.
Nei Paesi Europei fa la sua comparsa la fase di transizione demografica, fenomeno che segue la
fine di un conflitto, cioè una decisa flessione dei ritmi di crescita demografica spesso al di sotto
dei livelli di sostituzione della popolazione che si accompagna però ad una rapida flessione della
mortalità e ad un allungamento della vita media, il cui esito complessivo è generalmente una
crescita della popolazione a ritmi assai blandi. Negli anni successivi la flessione diventa quanto
mai preoccupante a causa di un mutamento culturale per cui si riconosce la procreazione come un
diritto e non un dovere verso la comunità.
I Paesi dell’Europa settentrionale all’indomani del secondo conflitto mondiale attirarono politiche di
richiamo della forza lavoro straniera in quanto un’abbondante disponibilità di forza lavoro era
ritenuta una delle condizioni essenziali per una crescita economica sostenuta. Al contrario la
carenza di offerta di lavoro avrebbe costretto gli imprenditori ad una continua lievitazione dei salari.
In un epoca di globalizzazione il processo immigratorio ha finito per coinvolgere anche l’Europa
meridionale.
Nel caso italiano l’evoluzione demografica porterà nei prossimi decenni una decisa contrazione
della popolazione in età lavorativa. E’ dunque necessario e prezioso il flusso netto d’immigrati
nel nostro Paese per rimpiazzare i buchi lasciti dagli autoctoni in numerosi e fondamentali settori
produttivi.
La dinamica demografica dei Paesi più poveri dell’Africa sub-sahariana è stata accompagnata ad
un processo di inurbamento estremamente rapido. Nel documento Obiettivi del Millennio del 2000
delle Nazioni Unite sono state incluse politiche correttive per ridurre l’entità della povertà urbana
in merito alla partecipazione sociale e politica alla vita della città, in particolare ci si riferisce al
diritto di proprietà dei suoli e alle condizioni di precarietà che inducono alla creazione di una città
nella città. La natalità resta nelle città molto elevata per la lentezza con cui vengono assimilati i
comportamenti e i valori culturali di tipo moderno in grado di influire sulla mentalità e sui modelli di
comportamento sessuale in contesti caratterizzati da gravi carenze sul piano dell’istruzione e
dell’educazione sessuale, particolarmente fra le donne.
Una flessione rapida della natalità nel mondo urbano nel breve periodo è tutt’altro che verosimile
anche perché si vive in società nelle quali le forme di assicurazione sociale sono largamente
assenti così che solo una prole numerosa può far sperare ai genitori di vivere una vecchiaia
serena. Contemporaneamente le moderne politiche di salute pubblica consentono di abbassare in
modo significativo i tassi di mortalità infantile.
Delle visioni lineari e di altre cose
Uno dei modi più semplici con i quali si è guardato allo sviluppo delle società occidentali è il
passaggio lineare della popolazione attiva dall’agricoltura verso l’industria e poi verso il terziario.
Questo modo parziale di vedere il processo di sviluppo delle società si deve agli studi di Colin
Clark. Tutte le società trapasserebbe dalla condizione di base agricola, alla condizione industriale,
settore verso il quale si sposterebbe la maggioranza degli attivi, per poi giungere a quella terziaria
ove i servizi assumerebbero fino al 70% degli attivi.
Gli studiosi della scuola storico-economica tedesca volevano minare la pretesa del pensiero
economico classico di potere dedurre leggi universali. L’economia afferma che ogni scelta è
determinata dalla necessità di dover conseguire degli obiettivi che ci si prefigge impiegando risorse
scarse e dall’interesse individuale.
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L’universo degli economisti abbraccia una vasta gamma di posizioni differenziate.
Polanyi sostiene che l’economia dell’uomo è immersa nei suoi rapporti sociali; l’uomo agisce in
modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali. Ogni società si dota di
strumenti specifici per redistribuire fra i suoi membri le risorse attraverso la reciprocità, la
redistribuzione e lo scambio. Le forme di integrazione non implicano nessuna sequenza temporale,
la stessa forma dominante può ricomparire dopo un periodo di eclissi. Il modello della
redistribuzione richiede l’esistenza di un centro politico. La modalità di redistribuzione dato dallo
scambio presuppone l’esistenza di un mercato, mentre quella della reciprocità presuppone
l’esistenza di gruppi comunitari.
Sombart afferma che la crescita va attribuita ad una molteplicità di fattori extra-economici e di
natura collettiva tali da richiedere all’economia il contributo di altre scienze sociali e l’abbandono
del concetto stesso di stadio. Per Sombart il sistema economico è costituito da tre elementi:
• Mentalità, ovvero l’orientamento spirituale che caratterizza l’azione degli attori economici
spingendoli ad una condotta incentrata sul guadagno, l’individualismo e il razionalismo;
• Forma, ovvero un’organizzazione basata sulla libera iniziativa privata e sulla preminenza
del mercato;
• Tecnica, ovvero gli strumenti che consentono il continuo miglioramento dei prodotti e il
progresso dei processi produttivi.
Tuttavia sarà Weber ad attribuire un ruolo di primo piano al fattore umano di carattere psico-
culturale, lo spirito del capitalismo. Con Weber si avrà un distacco netto rispetto alla logica degli
stadi dello sviluppo mentre il fuoco dell’analisi sarà incentrato sull’etica calvinista.
Shumpeter presenta il processo capitalistico come dotato di forze di crescita e di cambiamento
endogeno, è caratterizzato da incessanti modificazioni causate dalla realizzazione di sempre
nuove combinazioni produttive. Tuttavia è carente il tentativo di determinare cause, motivazioni e
condizioni che possano favorire la creatività tecnologica in una determinata società anziché in
un’altra. Inventore disponibili per tutti, innovatore custodisce gelosamente, le semplici invenzioni
modificano un solo settore dell’economia, invenzioni che fanno epoca influiscono su tutta
l’economia.
Lo studio di Clark che introduceva nell’analisi dello sviluppo un approccio basato sulla
comparazione di tipi ideali, è stato rilanciato con una prospettiva più ampia, storico-economico-
sociale, da un gran numero di studiosi, tra cui Rostow.
Per Rostow tutte le società umane sono destinate ad attraversare cinque stadi fondamentali. Non
esiste diversità per le società ma semplicemente ritardo, distanza da recuperare.
1. Società tradizionale. E’ lo stadio di partenza, prossimo alla sussistenza. Si fonda sulla
produzione agricola, l’organizzazione sociale ruota interno alla famiglia o al clan. E’
caratterizzata da una vischiosa mobilità sociale.
2. Pre-condizioni per il decollo. Periodo di transizione, sovente il risultato di reazioni a
pressioni esterne. Si registrano trasformazioni nell’agricoltura (rivoluzione dei mezzi di
produzione necessaria per nutrire la popolazione crescente), nelle esportazioni, nel
capitale sociale (programmi per l’educazione), e nella leadership politica (emergono
nuove élite nazionali che favoriscono il sorgere di uno Stato centralizzato e efficiente).
3. Decollo o take-off. Vengono superati gli ostacoli che si frappongono ad una crescita
regolare: il progresso tecnologico, un incremento sensibile del tasso degli investimenti, la
creazione di banche industriali in grado di reinvestire profitti, la presenza di infrastrutture
amministrative e di un apparato politico, culturale, sociale e istituzionale in grado di
favorire e assicurare il progresso economico. Ne consegue una maggiore richiesta di
manodopera per l’industria, lo sviluppo di nuove aree urbane, l’incremento delle industrie.
4. Passaggio alla maturità. E’ il periodo durante il quale si tende ad applicare le conoscenze
tecnologiche moderne a tutti i cambi dell’attività economica, gli investimenti produttivi si
elevano, si sviluppano nuovi settori industriali e si riduce il numero degli occupati legati
alle attività agricole.
5. Era del consumo di massa. E’ l’ultimo stadio. I governi destinano le loro risposte al
benessere e alla sicurezza della società.
Il lavoro di Rostow è stato apprezzato per il riconoscimento circa il ruolo che svolgono i fattori
culturali e sociali nel complesso processo di sviluppo di una nazione. Questi fattori sociali,
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culturali e istituzionali entrano insieme a quelli economici a far parte delle variabili che
condizionano le dinamiche di sviluppo di un Paese. Ad oggi vengono proposti aggiornamenti
dell’opera di Rostow con riferimento in particolare al sesto stadio definito come società post-
industriale, società dei servizi o società dell’informazione. La principale critica alle visioni lineari è
che queste si basano sull’esperienza del mondo occidentale, cioè di un fenomeno recente e
territorialmente limitato. Ai dirigenti dei PVS è parso sfuggire che è stata la rivoluzione agricola la
condizione della rivoluzione industriale, mentre invece si è identificato lo sviluppo con la crescita,
cioè con la capacità di un’economia di conseguire per un lungo periodo elevati tassi di incremento
del PNL grazie agli apporti del settore industriale e terziario a detrimento della partecipazione al
generale processo di sviluppo del mondo rurale.
L’economia dello sviluppo
Una politica di sviluppo incentrata sulla funzionalizzazione del mondo rurale alla crescita di quello
urbano-industriale è in qualche misura l’esito della grande influenza che ebbe la scuola degli
economisti neoclassici, in particolare Lewis. Nel suo studio si pone come postulato iniziale
l’esistenza di un settore tradizionale della società fondato su un’agricoltura di sussistenza e
caratterizzato da una produttività marginale del lavoro prossima alla zero, tale per cui solo la
diffusa presenza di un sistema sociale fondato sulla famiglia allargata poteva consentire la
sussistenza della forza lavoro in eccesso. Lewis osserva come nelle società arretrate coesisteva,
insieme a un ambio settore tradizionale, un ristretto settore moderno, urbano-industriale, ad
elevata produttività e il cui sviluppo poteva essere accelerato dall’utilizzazione del surplus di
1
manodopera esistente nel mondo rurale . Lewis propose un modello di sviluppo per le società
dualistiche, fondato sul trasferimento dell’eccedenza di forza lavoro dall’agricoltura tradizionale al
settore industriale. Solo quando la forza lavoro in eccesso sarà assorbita dal settore industriale, i
salari industriali e i redditi degli agricoltori cominceranno a crescere rallentando il ritmo del
processo di industrializzazione. Per tutta la fase di esodo dei disoccupati si sarebbe avuto un
rapido processo di accumulazione, di risparmio e di nuovi investimenti. Tuttavia in pochi decenni il
modello mostrò la mancanza di realismo per aver trascurato la scarsità di risorse tecnologiche
per porre in primo piano il solo risparmio.
La maggior parte dei contributi teorici conversero sull’idea di una grande spinta, identificata con
aiuti esterni o un incremento del risparmio interno. In entrambi i casi il problema diventava
quello d individuare la dimensione minima degli investimenti tali da dare inizio ad un effettivo take-
off. Gli investimenti avrebbero dovuto essere massicci per una situazione in cui modesti ritmi di
cresci del reddito pro-capite sarebbero stati annullati dalla crescita demografica. Questa corrente
di studiosi riteneva inoltre necessario un’equilibrata allocazione degli investimenti sia con
riguardo al territorio nazionale sia soprattutto ai settori produttivi di modo che la ricchezza generata
da ciascuno di essi generasse un allargamento del mercato per tutti, così che fosse la stessa
offerta a creare domanda.
L’economista Hirschman insistette sul ruolo strategico dell’industria scostandosi dalla precedente
idea della necessità di uno sviluppo equilibrato. Il problema sta nel generare una grande spinta
solo in un certo numero di industrie, sbilanciando deliberatamente l’economia di modo che
attraverso l’investimento in certi settori-chiave vengano a crearsi eccessi di capacità in talune aree
e scarsità di offerta in altre col risultato che le pressioni così generate favoriscano reazioni capaci
di aprire opportunità per nuovi imprenditori. Occorre dunque individuare e scegliere di promuovere
innanzitutto i settori a forte concentrazione di investimenti capaci di generare settori produttivi
1 Con dualismo sociale ci si riferisce a società in cui coesiste un settore moderno, connesso all’economia
di mercato con un settore tradizionale, fondato sull’economia di sussistenza. Nel settore tradizionale i bisogni
individuali sono limitati, al contrario nel settore moderno i bisogni si sviluppano velocemente. Nella società
tradizionale la comunità è sottomessa all’ambiente esterno, mentre nelle società moderne l’uomo crede che
la natura debba essere dominata. Nelle società tradizionali l’uomo si preoccupa della sua sopravvivenza
immediata, nelle società moderne l’uomo agisce sul futuro. Infine nelle società tradizionali il cambiamento è
accettato solo nella misura in cui è funzionale al progresso della comunità, nel mondo moderno nessun
ostacolo si frappone dal cambiamento, grazie al diffuso prevalere di valori individualistici. Nei PVS se non si
tiene in considerazione il settore tradizionale della società non si riesce a comprendere ne il funzionamento
dell’economia ne quello della politica.
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indotti. La crescita economica attraverso l’industrializzazione avrebbe poi diffuso i suoi effetti
benefici verso gli strati più bassi della società, eliminando gradualmente la povertà. All’interno di
questa ottica, la strategia prioritaria consisteva nel massimizzare il tasso di crescita delle economie
più deboli per superare il dislivello esistente nel prodotto nazionale lordo pro-capite fra Paesi ricchi
e poveri, ritenendo quest’ultimo l’indicatore più eloquente in merito allo sviluppo e al benessere
sociale di un Paese. Alcuni studi dimostrano come la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi
tendesse ad aumentare nel corso delle prime tappe della crescita economica per stabilizzarsi in
seguite e infine declinare nelle fasi successive. La crescita del prodotto nazionale lordo pro-capite
non si traduceva in una diffusione del benessere fra tutti gli strati sociali ma al contrario tendeva a
far aumentare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi almeno nel breve e medio periodo.
Tuttavia i risultati furono intesi nel senso che redditi molto elevati concentrati in un numero
modesto di individui dessero luogo a un elevato tasso di risparmio e quindi a una forte
propensione all’investimento produttivo. Al contrario, una più equa distribuzione anche negli strati
sociali bisognosi avrebbe dato luogo a maggiori consumi e quindi a un minore risparmio globale
da destinare agli investimenti. All’epoca della decolonizzazione alla guida dei Paesi del Terzo
Mondo andarono delle leadership giovani e inesperte che si trovarono a dover edificare una
struttura istituzionale e statuale dove prima vigeva per lo più un’organizzazione tribale e
contemporaneamente a guidare il Paese verso una crescita economica durevole in ambienti
caratterizzati in gran parte da un’economia di sussistenza.
Per gli economisti bastava operare trasferimenti di conoscenze tecnologiche e di capitali dai
Paesi industrializzati a PVS per innescare un processo che avrebbe portato questi paesi a
ripercorrere le stesse tappe già superate dai primi. Essi presero a modello il Piano Marshall
dimenticando che il successo del rilancio post-bellico europeo era sì l’esisto degli aiuti americani
ma si inseriva in un contesto formato da capitale umano già educato ed esperto.
Dal Tiers Monde ai Tiers Mondes
3.
Miserie e nobiltà di un attore collettivo
L’espansione Tiers Monde è stata coniata dal demografo francese Sauvy e utilizzata da un gruppo
di 29 Paesi per identificarsi su una scena politica polarizzata in due blocchi contrapposti.
E’ popolare l’idea di un Terzo Mondo inteso come un tutto omogeneo, caratterizzato da
sottoalimentazione, carestie, analfabetismo, sovrappopolazione, basso livello di redditi e risparmi e
dipendenza dall’estero.
Myrdal introdusse un modello interpretativo dell’arretratezza di questi Paesi che non si limitava a
considerare l’idea di circolo vizioso della povertà bensì proponeva anche l’idea di causazione
circolare e cumulativa come costellazione di forze fra loro interagenti potenzialmente portatrici di
trasformazioni sociali. Si trattava di un meccanismo riguardante non solo le situazioni di equilibrio
nel ristagno (il permanere nella povertà) ma anche tutte le situazioni suscettibili di rapidi
cambiamenti sia in senso ascendente che discendente.
La metafora del circolo vizioso della povertà ha conosciuto la sua maggiore notorietà nella
formulazione di Nurkse che riteneva necessario un intervento esterno per poter rompere il
circolo vizioso. Un uomo povero è probabilmente debole e la sua capacità di lavorare sarà scarsa,
il che significa che egli è povero e a sua volta non avrà abbastanza da mangiare e così via. Il più
importante circolo chiuso è quello che impedisce la formazione del capitale nei Paesi. Dal lato
dell’offerta vi è la limitata capacità di risparmio, risultante dal basso livello dei redditi. Questo è un
riflesso della bassa produttività che a sua volta è dovuta in gran parte alla mancanza di capitale.
Quest’ultima infine è il risultato della limitata capacità di risparmio.
Dal lato della domanda lo stimolo ad operare può essere minimo a causa del ristretto potere di
acquisto della popolazione, dovuto al suo limitato reddito reale che dipende dalla bassa
produttività.
Questa metafora riscuote ambio credito determinando in modo significativo molte politiche di
cooperazione e aiuti allo sviluppo.
Naturalmente non mancarono critiche, fra cui quella di Myrdal che sottolineò la fallacia delle
conclusioni cui perveniva la teoria economica applicando il modello del circolo vizioso ed
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escludendo di considerare i fattori non economici, come le relazioni economiche internazionali, la
dimensione politica e soprattutto quella dello sviluppo umano, sociale e culturale. Considerare
una molteplicità di anelli della costellazione consente di operare pressioni per un mutamento in
diverse direzioni.
Nella metafora di Nurkse è implicito il fatto che la formazione del capitale gioca il ruolo di variabile
indipendente mentre la crescita economica quella di variabile dipendente. In realtà oggi si dubita
dell’esistenza di un rigido rapporto di causa effetto fra questi due elementi in quanto
l’investimento non diventa automaticamente produttivo.
Nella lotta alla povertà, i risultati ottenuti sono ancora insoddisfacenti. I successi dei NIC asiatici
non devono far dimenticare che i consistenti investimenti internazionali ricevuti, la rapida creazione
di zone industriali, il graduale formarsi di quote di risparmio sono state rese possibili da fattori non
economici, come il ruolo giocato dallo Stato (fattore istituzionale) e la qualità elevata delle risorse
umane disponibili localmente sia in termini di forza lavoro che di capacità imprenditoriale (fattore
socio-culturale), e fattori economici, ovvero l’andamento favorevole del mercato internazionale
determinante per il successo di paesi export-oriented.
Negli ultimi anni la priorità è lo sviluppo umano: i costi richiesti dal capitale fisso sociale, come la
spesa nell’istruzione, assistenza medica, sostegno agli strati più bisognosi, non possono essere
concepiti solo come spesa pubblica ma rappresentano anche un investimento strategico di
fondamentale rilievo.
Dagli anni sessanta sono insorti dei fenomeni di aggregazione politica ed economica tra i PVS,
quasi a costituire una sorta di attore collettivo nell’arena internazionale. Il movimento dei Paesi
non allineati era una pretesa di equidistanza fra le due super potenze allora dominanti e
contrapposte. Tuttavia il movimento ha finito per legittimare politiche internazionali dei suoi membri
facendole apparire come vocate alla pace, alla neutralità, ecc.
Qualche risultato più concreto è venuto dal Gruppo dei 77 la cui principale funzione è quella di
negoziare con il gruppo dei Paesi capitalisti e quello che una volta raccoglieva i Paesi socialisti la
ristrutturazione dei meccanismi del commercio internazionale per rendere più equa la
redistribuzione dei suoi benefici. Col tempo tuttavia diventa sempre più difficile per questo gruppo
di Paesi presentarsi ai negoziati con una posizione comune.
Dal dopoguerra la percezione che il Nord ha avuto del Terzo Mondo è stata generalmente quella di
un’area residuale, scarsamente integrata nel mercato internazionale e quindi ininfluente sui
meccanismi dell’economia mondiale.
Frantumazione e differenziazione del Terzo Mondo
Non mancano coloro che pongono l’accento sulle enormi e incontestabili differenze esistenti
all’interno del Terzo Mondo. La suddivisione del globale in sviluppato/in via di sviluppo viene
screditandosi da un lato per l’emergere dei processi di rivalutazione di alcune materie prime e delle
risorse energetiche fossili che influiscono sull’andamento dei mercati internazionali, dall’altro per il
diffondersi di processi di industrializzazione che investono i settori manifatturieri dei PVS.
A differenza del passato, si tende a sottolineare gli aspetti di disomogeneità e di frantumazione del
Terzo Mondo sul piano del reddito pro-capite e sul piano delle risorse territoriale ed umane
disponibili. Naturalmente i soli squilibri nella distribuzione delle risorse naturali e umane non
spiegano le divergenze nei ritmi di sviluppo registrati negli ultimi anni nei Paesi del Terzo Mondo.
Si insiste sulla centralità del capitale fisico, sulla fertilità del suolo, sull’abbondanza di materie
prime, sull’adeguato rapporto fra popolazioni e risorse ma il Giappone è un Paese ricco ma è
montagnoso, soggetto alla sismicità, con poca terra fertile, pochi minerali, niente petrolio e una
popolazione numerosa. La stessa osservazione si può riproporre riguardo agli elevati ritmi di
crescita di Corea, Taiwan, Singapore e Hong Kong. Importanti responsabilità ricadono quindi sulle
politiche di sviluppo e sulla qualità delle istituzioni di un Paese ma anche l’integrazione
dell’economie singole nell’economia internazionale.
L’immagine del Terzo Mondo appare oggi profondamente contraddittoria: per alcuni aspetti come la
diffusione della povertà sembra essere rimasta immutata, per altri aspetti come quelli riguardanti i
ritmi di modernizzazione e crescita economica pare attraversata da rapidi e diversificati processi di
trasformazione. Ciò che rimane è una realtà composita attraversata da dinamiche di crescita
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disomogenea nei ritmi e nei caratteri e i cui interessi con i Paesi industrializzati non sempre
risultano comuni. Agli occhi dell’opinione pubblica del mondo industrializzato il Terzo Mondo, con le
sue guerre civili, movimenti separatisti, classi politiche corrotte e poco sensibili ai bisogni della
popolazione ma anche processi di inquinamento ambientale, lavoro minorile, ha finito per perdere
il fascino esotico da paradiso perduto che si accompagnava con l’ammirazione dei popoli che
venivano identificati con la mitica purezza incontaminata del buon selvaggio.
Questi mutamenti hanno costretto gli scienziati sociali ad abbandonare la formula Terzo Mondo,
non più in grado di rappresentare una realtà troppo composita rispetto al passato. Perciò oggi si è
propensi ad parlare di Tiers Mondes.
Dopo il primo shock petrolifero (1973) buona parte dei PVS innescano un processo di mutamento
e differenziazione. Ciò è l’esito dell’interazione tra fattori esterni (la divisione internazionale del
lavoro) e fattori interni (differenti condizioni di partenza, valori religiosi e culturali) a condurre
dunque i Paesi del Terzo Mondo ad una crescente differenziazione che dipende poi dalle capacità
delle leadership politiche di sviluppare adeguatamente il dinamismo tecnologico/industriale.
Il tipo prevalente di partizione fra gli analisti riguardo alla frantumazione e differenziazione del
Terzo Mondo, con particolare riferimento allo sviluppo industriale e alla divisione internazionale del
lavoro, individua quatto gruppi di Paesi che spesso coincidono con altrettante aree regionali:
1. Nel primo gruppo sono raccolti un numero consistente di Paesi africani e del Sud Asia che
risultano i più poveri e industrialmente arretrati del mondo, lasciati ai margini del
processo di sviluppo economico per la carenza di vantaggi. Il mondo rurale, afflitto da gravi
ritardi nel progresso tecnico, ingloba la maggioranza della popolazione restando il settore
economico dominante. Riguardo allo sviluppo industriale la situazione è quella di deboli,
frammentarie iniziative di limitata industrializzazione, orientata alla sostituzione delle
importazioni di alcune semplici produzioni base.
2. Una secondo gruppo comprende i paesi dell’America Latina, notevolmente dotato di
risorse naturali, il che ha consentito loro di attivare, anche grazie ad un’importante
presenza di multinazionali, un medio sistema industriale. Queste società hanno conosciuto
periodi di notevoli investimenti esteri diretti, volti alla valorizzazione delle materie prime,
agevolazioni creditizie o creazione di imprese pubbliche in settori produttivi strategici.
Queste iniziative economiche hanno col tempo fatto insorgere in modo drammatico il
problema del debito. Nel tempo è venuto formandosi in America Latina un ceto
imprenditoriale locale che grazie al sostegno pubblico, ha costituito industrie a carattere
nazionale orientate all’import substitution. L’intervento dello Stato nell’economia alla lungo
si è rivelato incapace di rendere le imprese nazionali competitive sul mercato
internazionale.
3. Un terzo gruppo è costituito da Paesi produttori di greggio in particolare quelli arabi. Il
petrolio si configura come un vero bene strategico: da un lato perché la maggior parte dei
Paesi sviluppati ne sono drasticamente dipendenti, dall’altro perché questi Paesi
monopolizzano oltre il 60% delle riserve petrolifere conosciute nel pianta. L’imprevista
lievitazione dei prezzi della loro materia prima induce i governanti ad intraprendere un
accelerato sforzo di industrializzazione che risulta di fatto dipendente dall’importazione di
tecnologie dai Paesi occidentali. Il modello scelto di industrializzazione è assai concentrato
sia territorialmente che con riferimento ai settori produttivi più inquinanti. Dopo la caduta
del prezzo del petrolio i membri dell’OPEC hanno dovuto gestire spesso situazioni socio-
politiche assai difficili nelle quali interagiscono tre fattori: la rigidità dei sistemi industriali di
questi paesi, una crescente domanda di spesa pubblica della popolazione lievitata
drasticamente negli ultimi 20 anni, la sempre più dura concorrenza del fondamentalismo
islamico nella corsa alla conquista del consenso dell’opinione pubblica in particolare nelle
frange più giovani.
4. Un quarto gruppo comprende i paesi dell’Asia Orientale caratterizzati da
un’industrializzazione con ritmi elevati di crescita e decisamente orientata alle
esportazioni. I ritmi di sviluppo economico registrati da questi Paesi sono risultati
nettamente superiori anche a quelli dei Paesi occidentali industrializzati tanto che è stato
loro attribuito l’appellativo NIC. Anche oggi, nonostante la crisi, rappresentano un polo
nevralgico dello scacchiere economico internazionale. Il modello di industrializzazione dei
NIC è venuto formandosi con la presenza di diversi settori produttivi: quelli tradizionali ma
10 anche settori nuovi legati a multinazionali straniere. Non mancano nell’esperienza dei NIC
aspetti assai problematici fra cui gli elevati rischi ecologici causati da uno sviluppo troppo
rapido e il diffuso lassismo nel rispetto della legislazione del lavoro e della salute dei
lavoratori. Troppo frequente l’attenzione per i diritti umani è stata tutt’altro che la
preoccupazione prevalente, tanto da sollevare nei paesi concorrenti l’accusa di costi di
produzione più bassi della media internazionale sfruttando le lacune della propria
legislazione sociale in termini di minori garanzie nel diritto dei lavoratori. Va rilevato inoltre il
rischio interno alla stessa mentalità asiatica per cui esiste una forte compatibilità con
paternalismo e clientelismo, facili vie per fenomeni di corruzione.
Dobbiamo osservare che se l’essenza dello sviluppo è il miglioramento della qualità della vita delle
persone, il bilancio da trarre dall’evoluzione delle diverse regioni di quello che chiamavamo Terzo
Mondo non può che essere articolato e differenziato sia per le diverse strategie di sviluppo
perseguite sia per i diversi risultati ottenuti.
Il faticoso affinamento dei metri di misura
4.
La resistibile ascesa del PNL
Nel dibattito fra gli scienziati sociali restava irrisolto il problema dell’identificazione dello strumento
di misura adeguato dello sviluppo. Una spinta decisiva venne dalla costruzione di un’imponente
struttura dell’amministrazione internazionale. Andranno diffondendosi pubblicazioni infarcite di
indicatori economici, fra i quali il PNL pro-capite avrà un ruolo centrale. Un numero crescente di
OI renderanno pubblici con regolarità una grande massa di dati ufficiali tendenti a presentare una
qualche graduatoria dei Paesi in funzione del loro sviluppo economico. Tali graduatorie non
risulteranno particolarmente attendibili o comparabili (per la difficoltà di equiparare unità monetarie
diverse). Molto presto verranno sollevate critiche al PNL. Robert Kennedy affermava che il
prodotto nazionale lordo misura tutto salvo ciò che dà valore alla vita. Presto anche gli economisti
hanno incominciato a criticare l’indicatore come insoddisfacente anche per misurare il mero
sviluppo economico. Il PIL pro-capite non può dirci come la disponibilità media di risorse sia poi
effettivamente distribuita. Qualsiasi tipo di produzione di beni viene computata nel PIL sempre
come attivo anche se questa eventualmente procura passivi rilevanti: ad esempio un’attività
industriale con conseguenze inquinanti sulle risorse idriche è un contributo alla crescita del PIL,
ma anche combattere l’inquinamento lo fa lievitare mentre la salubrità delle acqua così conseguita,
nel momento in cui si dovesse tradurre nell’interruzione della lotta all’inquinamento produce una
negativa flessione del PIL. Inoltre una fiorente economia sommersa non consente un’agevole
determinazione del PIL. Quest’ultimo risulta così tanto più sottostimando in una determinata
società quanto maggiore è la sua quota di economia non contabilizzata, il che corrisponde non di
rado a percentuali significative soprattutto nelle economie più povere. Si richiede quindi una
coscienza critica riguardo all’analisi dei dati che si traduce in conclusioni diagnostiche
accompagnate dalla somministrazione di medicine che spesso determinano sofferenze umane.
Non pochi sociologi affermano che lo strumento del PNL pro-capite censura totalmente non solo la
dimensione relativa alla struttura sociale ma anche i moventi psicologici e valoriali. E’ errato
separare la dimensione socio-culturale da quella economica in quanto sono due realtà
strettamente connesse. Il modello economico consente una drastica semplificazione della
complessità sociale e quindi facilita l’analisi esplicativa e predittiva. L’applicazione di questo
strumento lascia tuttavia scoperti ampi spazi di vita che hanno una forte influenza sull’agire umano.
I sociologi privilegiano le aree trascurate dagli economisti come il contesto sociale nel quale si
operano le scelte economiche. Se l’analisi sociologica ha consentito una maggiore comprensione
della complessità sociale, ha reso altrettanto problematiche le analisi predittive e la prescrizione di
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ricette per superare le eventuali crisi future. Perciò gli studi sociologici perdono rilevanza agli
occhi dei policy makers.
Inoltre va sottolineato il controverso fenomeno della manipolazione a fini politici di statistiche
ufficiali allo scopo di conservare un ampio consenso dell’opinione pubblica in caso di pesanti scelte
governative. Ad esempio una sopravvalutazione dei risultati economici conseguiti da un Paese può
comportare per un governo in difficoltà con carenti basi democratiche un maggior consenso
popolare; viceversa un’intenzionale svalutazione dei risultati conseguiti da un Paese nel suo
cammino verso lo sviluppo economico può tradursi in attribuzione di una maggiore quota di aiuti
allo sviluppo. Tali operazioni in diversi PVS non risultano difficili se si pensa che dati di base
fondamentali, come l’entità della popolazione sono spesso incerti in quanto non si effettuano
censimenti ma semplici proiezioni basate su indagini campionarie.
Alla ricerca di altri metri
La creazione dell’United Nations Research Institute for Social Development (UNRISD) è una
risposta all’insoddisfazione al modo di misurare lo sviluppo. Grazie alla sua autonomia riuscì a
dare un notevole impulso agli studi di base sullo sviluppo, orientati verso i metodi di misurazione
dello sviluppo sociale, verso le correlazioni esistenti fra sviluppo economico e sviluppo sociale.
L’UNRISD costruì un sofisticato indice, composto da 9 indicatori fisici e 9 indicatori culturali,
atto a misurare il livello di vita, ma sostanzialmente inapplicabile per l’assenza di molti dati
necessari in buona parte dei PVS. A tale indicatore furono avanzate numerose critiche in quanto lo
sviluppo appariva esaurirsi in mutamenti strutturali senza tuttavia che il concreto benessere della
gente fosse sufficientemente tematizzato.
Il contributo delle Nazioni Unite in merito ai metri di misura fu la messa a punto di un sistema di
tre indicatori funzionali all’identificazione dei Paesi più arretrati e bisognosi di assistenza, definiti
Paesi Meno Avanzati (PMA). Si tratta di un metro che deve certificare l’arretratezza, la povertà, lo
stato di bisogno di un Paese.
1. PIL pro-capite inferiore a 100$;
2. Contributo della produzione industriale alla formazione del PIL inferiore al 10%;
3. Tasso di alfabetizzazione inferiore al 20% della popolazione adulta.
Indicatori che furono aggiornati successivamente a 600$ pro-capite; concentrazione delle
esportazioni, percentuale di forza lavoro attiva nell’industria e la capacità di potenza elettrica del
Paese; consumo di calorie pro-capite giornaliero, speranza di vita alla nascita, tasso di
scolarizzazione dei bambini al livello primario e secondario.
Nuovi stimoli vennero dalla comparsa di due influenti pronunciamenti: la Cocoyoc Declaration e
What Now? Another development. Emerse così nella comunità internazionale un nuovo approccio
allo sviluppo incentrato sulla risposta ai basic needs. Il nuovo approccio rendeva necessario
disporre di un metro di misura dello sviluppo in grado di misurare i progressi conseguiti o meno dai
diversi Paesi con riferimento alla specifica scala di priorità e di valori considerati in questo
approccio. Questa strategia dello sviluppo non puntava prioritariamente sui ritmi di crescita
economica. Preferiva una crescita moderata ma accompagnata da una più equa ripartizione così
da far fronte ai bisogni umani fondamentali.
E’ questa la filosofia della sviluppo dalla quale nasce il Physical Quality of Life Index (PQLI). Si
tratta di un nuovo indice composto soltanto di tre indicatori di base: la mortalità infantile, la
speranza di vita alla nascita e il livello di istruzione. La graduatoria attribuì ai Paesi un rango
diverso da quello determinato dal PNL pro-capite. Negli anni successivi anche il PQLI uscì
gradualmente di scena per non essere in grado di acquisire il necessario consenso scientifico e
politico internazionale e conseguentemente la definitiva sponsorizzazione di qualche OI.
Presto subentrò un indicatore ancora più semplice: il tasso di mortalità infantile sotti i cinque
anni, già da tempo utilizzato dall’UNICEF. L’indice presenta alcuni significativi meriti che lo
rendono concorrenziale rispetto a d’altri in quanto è un indicatore di risultato e non di mezzi
come ad esempio il livello di scolarizzazione o il numero di medici per mille abitanti. Il dato
numerico è la conseguenza di un vasto ventaglio di fattori che comprendono lo stato nutrizionale e
le conoscenze sanitarie delle madri, il livello di vaccinazioni, la disponibilità di acqua potabile e di
servizi igienici.
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Negli anni vanno guadagnando crescente presenza e gradimento le surveys, solitamente a
scadenza annuale, tese a costruire graduatorie dei Paesi nei quali si vive meglio. Queste sono
realizzate prendendo in considerazione la dimensione economica, sociale, politica e culturale. Si
assiste all’emergere di Rapporti annuali prodotti da Enti pubblici e privati come Amnesty
International, World Watch Institute, Social Watch specializzati rispettivamente su rispetto dei diritti
umani da parte dei governi, sviluppo sostenibile del pianeta, sviluppo sociale.
Resta il fatto che questi enti non sono riusciti ad intaccare il prestigio del World Development
Report della World Bank, che resta saldamente ancorato alla prospettiva economicista orientata al
PIL pro-capite.
Fino ad oggi la produzione di Rapporti annuali a diverso titolo convergenti su tematiche connesse
con lo sviluppo ha continuato a lievitare. Tali rapporti diffondono regolarmente dati aggiornati riferiti
a qualche settore particolare. Le OI accompagnano la pubblicazione di questi dati con una parte
politica che tende a spaziare da una interpretazione dei dati alle raccomandazioni ai governi.
Misurare lo sviluppo: l’approccio dello sviluppo umano
L’ United Nations Development Programme decide nel 1990 di produrre un Rapporto
internazionale in cui il reddito fosse solo uno degli elementi, pur estremamente importante, che
non esaurisce la gamma dei fattori che definiscono la qualità della vita umana. Salute, educazione,
ambiente e libertà possono essere importati quanto il reddito. Questo rapporto si propone di
misurare lo sviluppo umano e non qualcos’altro riconducibile alla crescita economica. L’UNDP
vuole offrire una visione diversa e più aderente ai fatti nel rispecchiare le condizioni della qualità
della vita nel pianeta misurandola con un ventaglio di interrogativi selezionati.
Anche l’approccio dello sviluppo umano ha dovuto adottate un metro di misura promosso dall’
UNDP: l’indice di sviluppo umano (ISU). L’immagine dello sviluppo umano che ne emerge risulta
assai più realistica. L’indice è definito da tre indicatori:
1. Longevità. Speranza di vita alla nascita. Rimane una misura quantitativa per cui il
problema della qualità della vita resta ancora aperto.
2. Progresso educativo. Percentuale di alfabetizzazione degli individui e media degli anni di
scolarità degli individui di età superiore ai 25 anni.
3. Standard di vita. Si utilizza il PIL pro-capite trasformato in dollari secondo la parità del
potere d’acquisto.
Il rapporto su Lo sviluppo umano si presenta annualmente proponendo continue novità. Ad
esempio è stato calcolato differenziando però i risultati conseguita dagli uomini da quelli delle
donne. Oppure è stata calcolato, oltre che su base nazionale anche in modo da tenere conto degli
squilibri regionali di un Paese, di quelli fra aree rurali ed aree urbane o per etnie diverse.
L’ISU ci pare ancora lontano dall’aver assunto un profilo definitivo se solo si considera che la
libertà è ancora del tutto assente nella costruzione di questo indicatore. L’indicatore di libertà
umana (ILU) costruito da Humana si basa su 40 variabili desunte da tre fondamentali documenti
delle Nazioni Unite, Universal Declaration of Human Rights, International Covenant on Economic,
Social and Cultural Rights, International Covenant on Civil and Political Right. I 40 items sono
singolarmente valutati in quattro posizioni: rispetto assoluto, infrazione occasionale, frequenti
violazioni, costante violazione. Un maggiore peso è stato riconosciuto alle sofferenze fisiche inflitte
direttamente all’individuo dalla non concessione di diritti politici e sociali.
Maggiore impegno dovrà essere dedicato dall’UNDP alla predisposizione di un indicatore in grado
di valutare progressi e regressi della condizione ambientale. La salvaguardia ambientale pare
ora rinviata presumibilmente per evitare gli enormi conflitti di interessi economici soggiacenti la
questione ambientale.
Resta ancora aperto il problema della carenza della qualità non sempre affidabile dei dati su cui è
costruito l’ISU. Non solo mancano per diversi Paesi i dati di base relativi ad indicatori fondamentali
nazionale ma nella maggioranza dei casi i dati disponibili sono solo parziali, finendo per
mascherare gravi disparità distributive che possono presentarsi fra i sessi o fra le diverse regioni.
Nella ricerca di un metro di misura onnicomprensivo delle dimensioni dello sviluppo umano si
rischia di dimenticare che nessun metro può essere migliore della qualità dei dati che utilizza.
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Parte seconda: L’epoca d’oro della sociologia dello sviluppo
5.La Modernizzazione
La modernizzazione: un processo diffuso e convergente
Gli studiosi delle scienze sociali, in particolare gli economisti, sulla base dell’esperienza
occidentale, associavano lo sviluppo all’industrializzazione e all’urbanizzazione. Nella prospettiva
sociologica il termine sviluppo va ben oltre associandosi invece ai cambiamenti culturali e
psicologici, ai mutamenti delle istituzioni politiche ed economiche e ai cambiamenti socio-culturali
che investono le nazioni. Questo processo è chiamato dai sociologi modernizzazione. La
distinzione fra modernità e modernizzazione si deve a Habermas: la prima si traduce nei simboli e
valori fondanti la modernità occidentale come la democrazia, la libertà individuale, mentre la
seconda si riferisce alla diffusione planetaria delle innovazioni adottate con il progresso
tecnico, lo sviluppo economico e i cambiamenti sociali e demografici. Il concetto di
modernizzazione si riferisce ad un fascio di processi cumulativi, separa la modernità dalle sue
origini europee moderne prescindendo dalle determinazioni spaziali e temporali.
Nella nascente sociologia dello sviluppo la scuola della modernizzazione va formandosi in America
ed è il prodotto storico del secondo dopoguerra. Gli Stati Uniti acquistano il ruolo di Paese leader
nell’arena internazionale. I sociologi americani sono chiamati a sviluppare un programma che porti
alla modernizzazione i Paesi del cosiddetto Terzo Mondo che avevano appena conseguito
l’indipendenza. La funzione più o meno latente era quella di frenare la diffusione e la crescita dei
movimenti comunisti. Il Terzo Mondo era visto come la posta in gioco fra le due superpotenze.
La nascente sociologia dello sviluppo pose l’accento su campi trascurati, i cosiddetti fattori non
economici: i sistemi di valori, i costumi sociali, le tradizioni culturali, le religioni locali, le rigidità
della stratificazione sociali, l’apparente assenza di spirito di self-affirmation. Su questi elementi
sembrava essere necessario un intervento dall’esterno, semplici ostacoli da rimuovere sulla via
verso la modernità. Per Lerner la medicina era costituita da urbanizzazione, alfabetizzazione,
diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, ampia e pluralistica partecipazione politica.
Tuttavia era necessaria la presenza di una componente attitudinale della personalità, l’empatia,
propense ad immaginare se stessi nella situazione degli altri già in transizione verso la modernità
così da agire efficientemente in un mondo in cambiamento.
Secondo Levy la modernizzazione è definita dal grado di utilizzo degli strumenti e delle risorse
inanimate del potere. Essa avviene a seguito di un meccanismo imitativo innescato dal contatto
con società modernizzate. Per questo molti Paesi sono passati da un sistema politico autoritario a
uno democratico.
Lerner definisce modernizzazione come il processo di cambiamento sociale per cui società meno
sviluppate acquisiscono caratteristiche comuni a quelle più sviluppate.
Secondo Smelser la modernizzazione è l’esito di una differenziazione strutturale attraverso cui la
struttura si divide in strutture specializzate che si occupano di una funzione sola.
La modernizzazione include ovviamente lo sviluppo economico ma anche molto altro.
In una nazione emergente ci si devono aspettare profondi cambiamenti:
• I sistemi tribali o di villaggio cedono il passo ai sistemi del suffragio, dei partiti politici, delle
burocrazie di servizio civile;
• Le società si sforzano di ridurre l’analfabetismo e incrementare le abilità economicamente
produttive;
• Avviene la secolarizzazione, ovvero un declino dell’influenza della religiosità sia nella sfera
pubblica ma anche nella mentalità degli individui a causa del crescente ruolo della scienza
e della tecnica.
Altamente influenzati dalla teoria evoluzionistica, i sociologi americani concepiscono la
modernizzazione come un processo irreversibile e progressivo che muove in direzione della
società guida, cioè il modello americano. La modernizzazione rende le società più simili e
omogenee. Vi è un modello da emulare, che non solo è inevitabile ma anche desiderabile.
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Molti sono i meriti che possono essere attribuiti alla modernizzazione: l’ampia affermazione
dell’uguaglianza politica dei cittadini e la sconfitta di malattie endemiche.
Il meccanismo che innesca il mutamento sociale che porta alla modernità si ispira alle idee di de
Tarde, sociologo francese dell’Ottocento, che legge il cambiamento della società come esito di due
fattori: l’imitazione e l’invenzione. Il mutamento, quindi, è generato o dal prevalere dell’imitazione
che provoca la diffusione degli stessi comportamenti o dall’adattamento inventivo che consente
l’innovazione o da conflitti diversi tra questi due elementi. Questo processo di mutamento sociale
ha plasmato tre delle principali componenti del processo di trasformazione nella direzione di un
modello unico di società:
1. caratteristiche della forza-lavoro → aumento di istruzione, tecnica, qualificazione,
specializzazione, stratificazione
2. forma dell’organizzazione sociale → ruolo guida dello Stato con creazione di una rete
normativa complessa a dominanza politico-amministrativa (burocratizzazione)
3. valori orientati verso la scienza, la tecnologia e il progresso (secolarizzazione)
In pratica, secondo la maggior parte dei sociologi, la modernizzazione si volge principalmente
verso l’occidentalizzazione delle società.
L’Achievement Motivation
Nell’ambito della teoria della modernizzazione si svilupperanno differenti punti di vista:
diffusionistico di Lerner, psicologico di McClelland, Inkeles e Horton, struttural-funzionalista di
Parsons, Smelser e Levy, e infine storico-comparativo.
McClelland nella sua opera The Achieving Society tenta un’interpretazione psicologica in merito al
sorgere e all’eventuale decadere delle nazioni con particolare riferimento alla potenza economica.
L’essere umano agisce sotto lo stimolo combinato di tre diversi obiettivi/incentivi: il successo (need
of achievement), il potere e l’affetto. Quando in una società prevale il need of achievement si ha
sviluppo nella nazione mentre con il prevalere del potere o dell’affetto si determinerebbe facilmente
regimi dittatoriali.
McClelland ha selezionato per ciascuno dei Paesi indagati i racconti e fiabe per fanciulli per la
grande influenza che tali letture hanno sulla formazione del carattere e del sistema di valori delle
giovani generazioni. Egli conclude che gli USA, insieme all’Unione Sovietica, sono i Paesi che
sembrano preparare nuove generazioni con il maggior need of achievement mentre ne sono privi
ad esempio l’Italia e i paesi neolatini. Ad esempio in Collodi trionfano valori come la fantasia,
l’irresponsabilità, la curiosità, l’accondiscendere della vita facile, l’inevitabile punizione e infine la
salvezza dall’esterno.
In conclusione indica come sia fondamentale promuovere il fattore della motivazione alla
realizzazione-risultato tra le persone perché conseguano risultati significativi nello sviluppo
economico nei loro Paesi. Suggerisce che laddove i contatti tra gruppi dei Paesi in via di sviluppo
e del mondo occidentale saranno maggiori, più facile e naturale sarà per le popolazioni del Terzo
Mondo assumere comportamenti derivanti dalle caratteristiche dell’achievement motivation.
Inkeles e Horton realizzarono una delle ultime grandi ricerche empiriche comparate sulla
transizione dalla tradizione alla modernità. Verificano se emerge dal campione scelto un insieme di
tratti tipici e comuni del divenire moderni, cioè un mutamento di mentalità rilevante per il
mutamento sociale. Possono essere individuati una serie di significativi orientamenti degli individui
appartenenti a società ritenute largamente premoderne che corrispondono ad atteggiamenti e
propensioni tipiche dell’individuo moderno come l’apertura fiduciosa al nuovo, alla scienza,
l’ispirazione ad una migliore collocazione.
La scuola storico-comparativa
Tutti i diversi filoni della modernizzazione ritengono che tale processo conduca le diverse società
ad assomigliarsi sempre di più ed in particolare a diventare sempre più simili al modello
industriale occidentale. La sola eccezione è rappresentata dall’approccio storico-comparativo che
ritiene che la modernizzazione possa avere inizio partendo da condizioni sociali diverse e porti ad
esiti che possono essere eterogenei in quanto influenzati dalle specifiche strutture sociali,
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politiche e culturali. Tradizione e società non sempre sono in conflitto. Si dimentica il ruolo
fondamentale svolto dai legami parentali ampi nella fase iniziale dell’industrializzazione in
Occidente: i nuovi e complessi impegni richiesti dall’industrializzazione potevano essere agevolati
dalla famiglia estesa che consentiva di evitare i rischi e le complicazioni connesse all’assunzione di
manodopera estranea e alla conseguente tenuta di una precisa contabilità e contemporaneamente
si poteva contare sui risparmi di ciascuno dei membri della famiglia allargata. I cosiddetti freni
socio-culturali allo sviluppo delle società tradizionali in alcuni casi potevano essere facilmente
superabili o tramutarsi in vantaggi.
La sociologia ha coltivato più di ogni altra scienza sociali l’idea che la modernità consista
eminentemente nella cancellazione del passato e nello sviluppo di forme sociali e culturali
alternative. Il risultato è così che la sociologia appare poco attrezzata per spiegare e fornire gli
strumenti concettuali per governare in qualche modo non solo il permanere ma il continuo
irrompere della tradizione nel mezzo della modernità. L’evidenza empirica corrobora l’ipotesi
interpretativa di un processo di modernizzazione che in ogni società è il risultato di una
combinazione di fattori generali e fattori eccezionali e unici al singolo Paese.
L’attacco più radicale alla teoria della modernizzazione risulterà quello incentrato sulla critica
all’enfasi sempre posta dai teorici della modernizzazione sul ruolo fondamentale giocato dalle forze
endogene nel processo di sviluppo.
Gerschenkron afferma che il processo di industrializzazione che ha interessato l’Europa
rappresenta un caso di “unità nella diversità”, dal momento che i suoi esiti sono molto differenti.
Spesso elementi tradizionali ed elementi moderni coesistono in un data società: infatti, all’interno di
una comunità che si sviluppa in una comunità moderna si mantengono o si sviluppano molti
orientamenti particolaristici, ascrittivi e diffusi.
L’approccio struttural-funzionalista e la globalizzazione
Questa corrente si sforza di superare le influenza economicistiche ponendo a tema proprio i fattori
e le variabili sociali, culturali e politiche della crescita economica.
Secondo Parsons la società umana si presenta con i caratteri di un organismo biologico con tutte
le sue parti interdipendente e correlate. Qualora una delle parti della società dovesse cambiare
anche le altri parti muterebbero allo scopo di restaurare un nuovo equilibrio.
Il sistema sociale ha una struttura formata da quattro elementi e svolge quattro funzioni vitali per
la sua sopravvivenza:
1. Le risorse sono gli inputs sia materiali che psicologici senza i quali il sistema sociale non
può sopravvivere, vengono collegate all’adattamento del sistema alle condizioni
ambientali, sulle quali presiede la scienza economica.
2. I ruoli rappresentano l’insieme delle prescrizioni nel comportamento e delle aspettative
reciproche inerenti la posizioni che ogni individuo occupa nel sistema sociale. Convergono
nel conseguimento degli scopi o obiettivi su cui preside la scienza politica.
3. Le norme sono prescrizioni di comportamento che si riferiscono alla collettività. Sono
collegate all’integrazione che tenda ad assicurare il coordinamento interno su cui
presiede la sociologia.
4. I valori costituiscono la base su cui poggiano le altre categorie e corrispondono al
mantenimento del modello o latenza. Una crisi di questa funzione mette necessariamente
in crisi tutto il sistema.
Il mutamento sociale strutturale-evolutivo avviene mediante quattro processi legati fra loro secondo
le due direzioni della gerarchia di condizionamento (AGIL) e della gerarchia di controllo (LIGA).
Due sono i criteri per classificare le società:
• Il primo criterio si basa sul grado di differenziazione per cui è possibile individuare almeno
tre livelli evolutivi. Il primitivo, l’intermedio e il moderno. La transizione dalla società
primitiva alla società intermedia è contrassegnata dall’emergenza del linguaggio scritto,
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