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La resistibile ascesa del PNL
Nel dibattito fra gli scienziati sociali restava irrisolto il problema dell’identificazione dello strumento
di misura adeguato dello sviluppo. Una spinta decisiva venne dalla costruzione di un’imponente
struttura dell’amministrazione internazionale. Andranno diffondendosi pubblicazioni infarcite di
indicatori economici, fra i quali il PNL pro-capite avrà un ruolo centrale. Un numero crescente di
OI renderanno pubblici con regolarità una grande massa di dati ufficiali tendenti a presentare una
qualche graduatoria dei Paesi in funzione del loro sviluppo economico. Tali graduatorie non
risulteranno particolarmente attendibili o comparabili (per la difficoltà di equiparare unità monetarie
diverse). Molto presto verranno sollevate critiche al PNL. Robert Kennedy affermava che il
prodotto nazionale lordo misura tutto salvo ciò che dà valore alla vita. Presto anche gli economisti
hanno incominciato a criticare l’indicatore come insoddisfacente anche per misurare il mero
sviluppo economico. Il PIL pro-capite non può dirci come la disponibilità media di risorse sia poi
effettivamente distribuita. Qualsiasi tipo di produzione di beni viene computata nel PIL sempre
come attivo anche se questa eventualmente procura passivi rilevanti: ad esempio un’attività
industriale con conseguenze inquinanti sulle risorse idriche è un contributo alla crescita del PIL,
ma anche combattere l’inquinamento lo fa lievitare mentre la salubrità delle acqua così conseguita,
nel momento in cui si dovesse tradurre nell’interruzione della lotta all’inquinamento produce una
negativa flessione del PIL. Inoltre una fiorente economia sommersa non consente un’agevole
determinazione del PIL. Quest’ultimo risulta così tanto più sottostimando in una determinata
società quanto maggiore è la sua quota di economia non contabilizzata, il che corrisponde non di
rado a percentuali significative soprattutto nelle economie più povere. Si richiede quindi una
coscienza critica riguardo all’analisi dei dati che si traduce in conclusioni diagnostiche
accompagnate dalla somministrazione di medicine che spesso determinano sofferenze umane.
Non pochi sociologi affermano che lo strumento del PNL pro-capite censura totalmente non solo la
dimensione relativa alla struttura sociale ma anche i moventi psicologici e valoriali. E’ errato
separare la dimensione socio-culturale da quella economica in quanto sono due realtà
strettamente connesse. Il modello economico consente una drastica semplificazione della
complessità sociale e quindi facilita l’analisi esplicativa e predittiva. L’applicazione di questo
strumento lascia tuttavia scoperti ampi spazi di vita che hanno una forte influenza sull’agire umano.
I sociologi privilegiano le aree trascurate dagli economisti come il contesto sociale nel quale si
operano le scelte economiche. Se l’analisi sociologica ha consentito una maggiore comprensione
della complessità sociale, ha reso altrettanto problematiche le analisi predittive e la prescrizione di
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ricette per superare le eventuali crisi future. Perciò gli studi sociologici perdono rilevanza agli
occhi dei policy makers.
Inoltre va sottolineato il controverso fenomeno della manipolazione a fini politici di statistiche
ufficiali allo scopo di conservare un ampio consenso dell’opinione pubblica in caso di pesanti scelte
governative. Ad esempio una sopravvalutazione dei risultati economici conseguiti da un Paese può
comportare per un governo in difficoltà con carenti basi democratiche un maggior consenso
popolare; viceversa un’intenzionale svalutazione dei risultati conseguiti da un Paese nel suo
cammino verso lo sviluppo economico può tradursi in attribuzione di una maggiore quota di aiuti
allo sviluppo. Tali operazioni in diversi PVS non risultano difficili se si pensa che dati di base
fondamentali, come l’entità della popolazione sono spesso incerti in quanto non si effettuano
censimenti ma semplici proiezioni basate su indagini campionarie.
Alla ricerca di altri metri
La creazione dell’United Nations Research Institute for Social Development (UNRISD) è una
risposta all’insoddisfazione al modo di misurare lo sviluppo. Grazie alla sua autonomia riuscì a
dare un notevole impulso agli studi di base sullo sviluppo, orientati verso i metodi di misurazione
dello sviluppo sociale, verso le correlazioni esistenti fra sviluppo economico e sviluppo sociale.
L’UNRISD costruì un sofisticato indice, composto da 9 indicatori fisici e 9 indicatori culturali,
atto a misurare il livello di vita, ma sostanzialmente inapplicabile per l’assenza di molti dati
necessari in buona parte dei PVS. A tale indicatore furono avanzate numerose critiche in quanto lo
sviluppo appariva esaurirsi in mutamenti strutturali senza tuttavia che il concreto benessere della
gente fosse sufficientemente tematizzato.
Il contributo delle Nazioni Unite in merito ai metri di misura fu la messa a punto di un sistema di
tre indicatori funzionali all’identificazione dei Paesi più arretrati e bisognosi di assistenza, definiti
Paesi Meno Avanzati (PMA). Si tratta di un metro che deve certificare l’arretratezza, la povertà, lo
stato di bisogno di un Paese.
1. PIL pro-capite inferiore a 100$;
2. Contributo della produzione industriale alla formazione del PIL inferiore al 10%;
3. Tasso di alfabetizzazione inferiore al 20% della popolazione adulta.
Indicatori che furono aggiornati successivamente a 600$ pro-capite; concentrazione delle
esportazioni, percentuale di forza lavoro attiva nell’industria e la capacità di potenza elettrica del
Paese; consumo di calorie pro-capite giornaliero, speranza di vita alla nascita, tasso di
scolarizzazione dei bambini al livello primario e secondario.
Nuovi stimoli vennero dalla comparsa di due influenti pronunciamenti: la Cocoyoc Declaration e
What Now? Another development. Emerse così nella comunità internazionale un nuovo approccio
allo sviluppo incentrato sulla risposta ai basic needs. Il nuovo approccio rendeva necessario
disporre di un metro di misura dello sviluppo in grado di misurare i progressi conseguiti o meno dai
diversi Paesi con riferimento alla specifica scala di priorità e di valori considerati in questo
approccio. Questa strategia dello sviluppo non puntava prioritariamente sui ritmi di crescita
economica. Preferiva una crescita moderata ma accompagnata da una più equa ripartizione così
da far fronte ai bisogni umani fondamentali.
E’ questa la filosofia della sviluppo dalla quale nasce il Physical Quality of Life Index (PQLI). Si
tratta di un nuovo indice composto soltanto di tre indicatori di base: la mortalità infantile, la
speranza di vita alla nascita e il livello di istruzione. La graduatoria attribuì ai Paesi un rango
diverso da quello determinato dal PNL pro-capite. Negli anni successivi anche il PQLI uscì
gradualmente di scena per non essere in grado di acquisire il necessario consenso scientifico e
politico internazionale e conseguentemente la definitiva sponsorizzazione di qualche OI.
Presto subentrò un indicatore ancora più semplice: il tasso di mortalità infantile sotti i cinque
anni, già da tempo utilizzato dall’UNICEF. L’indice presenta alcuni significativi meriti che lo
rendono concorrenziale rispetto a d’altri in quanto è un indicatore di risultato e non di mezzi
come ad esempio il livello di scolarizzazione o il numero di medici per mille abitanti. Il dato
numerico è la conseguenza di un vasto ventaglio di fattori che comprendono lo stato nutrizionale e
le conoscenze sanitarie delle madri, il livello di vaccinazioni, la disponibilità di acqua potabile e di
servizi igienici.
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Negli anni vanno guadagnando crescente presenza e gradimento le surveys, solitamente a
scadenza annuale, tese a costruire graduatorie dei Paesi nei quali si vive meglio. Queste sono
realizzate prendendo in considerazione la dimensione economica, sociale, politica e culturale. Si
assiste all’emergere di Rapporti annuali prodotti da Enti pubblici e privati come Amnesty
International, World Watch Institute, Social Watch specializzati rispettivamente su rispetto dei diritti
umani da parte dei governi, sviluppo sostenibile del pianeta, sviluppo sociale.
Resta il fatto che questi enti non sono riusciti ad intaccare il prestigio del World Development
Report della World Bank, che resta saldamente ancorato alla prospettiva economicista orientata al
PIL pro-capite.
Fino ad oggi la produzione di Rapporti annuali a diverso titolo convergenti su tematiche connesse
con lo sviluppo ha continuato a lievitare. Tali rapporti diffondono regolarmente dati aggiornati riferiti
a qualche settore particolare. Le OI accompagnano la pubblicazione di questi dati con una parte
politica che tende a spaziare da una interpretazione dei dati alle raccomandazioni ai governi.
Misurare lo sviluppo: l’approccio dello sviluppo umano
L’ United Nations Development Programme decide nel 1990 di produrre un Rapporto
internazionale in cui il reddito fosse solo uno degli elementi, pur estremamente importante, che
non esaurisce la gamma dei fattori che definiscono la qualità della vita umana. Salute, educazione,
ambiente e libertà possono essere importati quanto il reddito. Questo rapporto si propone di
misurare lo sviluppo umano e non qualcos’altro riconducibile alla crescita economica. L’UNDP
vuole offrire una visione diversa e più aderente ai fatti nel rispecchiare le condizioni della qualità
della vita nel pianeta misurandola con un ventaglio di interrogativi selezionati.
Anche l’approccio dello sviluppo umano ha dovuto adottate un metro di misura promosso dall’
UNDP: l’indice di sviluppo umano (ISU). L’immagine dello sviluppo umano che ne emerge risulta
assai più realistica. L’indice è definito da tre indicatori:
1. Longevità. Speranza di vita alla nascita. Rimane una misura quantitativa per cui il
problema della qualità della vita resta ancora aperto.
2. Progresso educativo. Percentuale di alfabetizzazione degli individui e media degli anni di
scolarità degli individui di età superiore ai 25 anni.
3. Standard di vita. Si utilizza il PIL pro-capite trasformato in dollari secondo la parità del
potere d’acquisto.
Il rapporto su Lo sviluppo umano si presenta annualmente proponendo continue novità. Ad
esempio è stato calcolato differenziando però i risultati conseguita dagli uomini da quelli delle
donne. Oppure è stata calcolato, oltre che su base nazionale anche in modo da tenere conto degli
squilibri regionali di un Paese, di quelli fra aree rurali ed aree urbane o per etnie diverse.
L’ISU ci pare ancora lontano dall’aver assunto un profilo definitivo se solo si considera