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S.U., nn. 26242 e 26243/2014). Ma, nel caso di nullità di protezione, il giudice, rilevata la nullità (e, dunque,
comunicato alla parti che ritiene la clausola o il contratto nullo) non può pronunciarla se la parte nel cui
interesse la nullità è posta si oppone.
• L’azione di nullità, essendo meramente dichiarativa, non è soggetta a prescrizione mentre l’azione di
annullamento si prescrive in cinque anni.
L’inefficacia (originaria) del contratto nullo e l’efficacia del contratto annullabile
• L’affermazione che il contratto nullo è, sin dall’origine, inefficace va, comunque, ridimensionata. A volte, infatti,
la nullità non ha effetti retroattivi (es., contratto di lavoro nullo, ex art. 2126 c.c.), mentre altre volte il contratto
nullo è parte costitutiva di una fattispecie complessa dalla quale conseguono effetti contrattuali (conferma
della donazione nulla ex art. 799 c.c.; eliminazione della causa di nullità del contratto costitutivo di società di cui
all’art. 2332, comma 5, c.c.; trascrizione c.d. sanante prevista dagli artt. 2652, n. 6, e 2690, n. 3, c.c. ecc.).
• Talvolta al contratto nullo sono ricollegati degli effetti diversi da quelli contrattuali (es., art. 1338 c.c.: dal
silenzio della parte che sia a conoscenza della nullità deriva l’obbligo di risarcire il danno che l’altra parte abbia
subito “per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”).
• Il contratto nullo produce, inoltre, all’origine i suoi effetti, senza richiedere elementi integrativi della
fattispecie, quando la nullità non è originaria ma sopravvenuta, come è a dirsi per la nullità della donazione
fatta in riguardo al matrimonio nell’ipotesi di successivo annullamento del matrimonio stesso (art. 785,
comma 2).
• L’efficacia provvisoria, tipica del negozio annullabile, non è, comunque, totale se non nel contratto ad effetti
reali.
• Nel caso del contratto ad effetti obbligatori, infatti, l’annullamento può essere opposto come eccezione, anche
quando si sia verificata la prescrizione dell’azione (art. 1442, comma 4), sì che non si può ritenere che la parte
legittimata a sollevare l’eccezione, a differenza dell’altra, sia tenuta all’adempimento (inefficacia relativa).
Rilevabilità d’ufficio della nullità
• Le Sezioni unite, con due sentenze pressoché identiche, pronunciate una dopo l’altra (nn. 26242 e 26243, entrambe del 12.12.2014),
hanno espresso i seguenti principi:
• 1) la rilevabilità ex officio della nullità va estesa a tutte le ipotesi di azioni di impugnativa negoziale, senza per ciò solo negarne le
diversità strutturali, che le distinguono sul piano sostanziale (adempimento e risoluzione postulano l’esistenza di un atto
morfologicamente valido, di cui si discute soltanto quoad effecta, rescissione e annullamento presuppongono una invalidità
strutturale dell’atto, pur tuttavia temporaneamente efficace);
• 2) è legittimo il rilievo officioso del giudice di una causa diversa di nullità rispetto a quella sottoposta al suo esame dalla parte;
• 3) il giudice ha l’obbligo di rilevare sempre una causa di nullità negoziale;
• 4) il giudice, dopo averla rilevata, ha la facoltà di dichiarare nel provvedimento decisorio sul merito la nullità del negozio (salvo i
casi di nullità speciali o di protezione rilevati e indicati alla parte interessata senza che questa manifesti interesse alla
dichiarazione), e rigettare la domanda – di adempimento, risoluzione, annullamento, rescissione -, specificando in motivazione
che la ratio decidendi della pronuncia di rigetto è costituita dalla nullità del negozio, con una decisione che ha attitudine a
divenire cosa giudicata in ordine alla nullità negoziale;
• 5) il giudice deve rigettare la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento senza rilevare – né dichiarare –
l’eventuale nullità, se fonda la decisione sulla base della individuata ragione più liquida: non essendo stato esaminato, neanche
incidenter tantum, il tema della validità del negozio, non vi è alcuna questione circa (e non si forma alcun giudicato sul)la nullità;
• 6) il giudice dichiara la nullità del negozio nel dispositivo della sentenza, dopo aver indicato come tema di prova la relativa
questione, all’esito della eventuale domanda di accertamento (principale o incidentale) proposta da una delle parti, con effetto di
giudicato in assenza di impugnazione;
• 7) il giudice dichiara la nullità del negozio nella motivazione della sentenza, dopo aver indicato come tema di prova la relativa
questione, in mancanza di domanda di accertamento (principale o incidentale) proposta da una delle parti, con effetto di
giudicato in assenza di impugnazione;
• 8) in appello e in Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo grado, il giudice ha sempre facoltà di
rilevare d’ufficio la nullità.
La mancata rilevazione ex officio della nullità da parte del giudice
• 1) Il giudice accoglie la domanda principale (di adempimento, risoluzione, rescissione,
annullamento): la pronuncia è idonea alla formazione di un giudicato implicito sulla non
nullità del negozio (salva rilevazione officiosa in appello).
• 2) Il giudice rigetta la domanda (di adempimento, risoluzione rescissione, annullamento):
si forma il giudicato implicito sulla non nullità del negozio, salvo il caso in cui la decisione
non risulti fondata sulla ragione c.d. “più liquida” (es., prescrizione del diritto,
adempimento, compensazione legale ecc.). In tal caso, infatti, la questione della nullità del
contratto non è esaminata dal giudice.
• 3) Il giudice rigetta la domanda (di adempimento, risoluzione rescissione, annullamento): il
giudicato implicito sulla non nullità del negozio si forma se, nella motivazione, egli accerti
e si pronunci non equivocamente nel senso della validità del negozio.
• 4) Il giudice rigetta la domanda, essendo stato sin dall’origine investito di una domanda di
nullità negoziale, senza aver rilevato alcuna altra causa di nullità negoziale:
l’accertamento della non nullità del contratto è idoneo al passaggio in giudicato, di talché,
in altro giudizio, non potrà essere ulteriormente addotta dalle parti, a fondamento
dell’azione, una diversa causa di nullità.
Decadenza e prescrizione dell’azione di annullamento
• L'azione di annullamento è a volte subordinata ad una reazione da parte del legittimato da esercitare entro
termini di decadenza (es., art. 1892, comma 2, c.c.)
• Nell’ambito dei rapporti di lavoro l’art. 2113 c.c. dichiara invalide le rinunzie e transazioni che hanno per
oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi
collettivi.
• L’impugnazione da parte del lavoratore delle rinunce e transazioni è, tuttavia, soggetta al termine di decadenza
di 6 mesi dal momento della rinuncia ovvero, se successivo, dal momento dello scioglimento del rapporto di
lavoro.
• Una tale invalidità, benché derivante dalla violazione di norme imperative, appare inconciliabile con quella
propria della nullità, poiché: a) rinunce e transazioni sono immediatamente efficaci; b) l’invalidità è sanata
qualora non vi sia stata tempestiva impugnativa; c) l’invalidità può essere fatta valere soltanto dal
lavoratore.
• Va, dunque, considerata una ipotesi di annullabilità, non discendendo necessariamente la nullità dalla
violazione di norma imperative. L’art. 1418, comma 1, fa, infatti, salva la possibilità che la legge disponga
diversamente.
• La decadenza prevista dall’art. 2113 non si sostituisce alla prescrizione dell’azione di annullamento di cui
all’art. 1442, ma si affianca ad essa. La circostanza si apprezza qualora l’impugnativa sia proposta in via
stragiudiziale: l’atto evita la decadenza e fa decorrere il termine di prescrizione dell’azione.
Legittimazione all’azione di nullità e di annullabilità
• L’azione di nullità, alla luce dell’art. 1421 c.c. che ne sancisce l’assolutezza, può essere fatta valere da chiunque
vi abbia interesse ed è, altresì, rilevabile d’ufficio, ovvero senza necessità della domanda di parte, in qualsiasi
stato e grado del giudizio.
• L’annullamento, invece, può essere pronunciato, di norma, solo su istanza della parte legittimata, in quanto è
una forma di invalidità che tutela essenzialmente l’interesse del soggetto che si trovi in una posizione
menomata a causa delle sue condizioni o della sua posizione individuale.
• La nullità, comunque, non può essere fatta valere da chiunque ma solo da chi abbia interesse a farla
dichiarare. Si deve trattare, in particolare, non di un mero interesse di fatto ma di un interesse qualificato.
Interesse che si configura solo quando chi agisce è titolare di una posizione giuridicamente tutelata
minacciata, in qualche modo, dall’incertezza provocata dalla presenza di un contratto la cui nullità non sia
stata giudizialmente accertata e dichiarata.
• Caratteri comuni alle due patologie negoziali presenta la figura della nullità relativa (c.d. di protezione), vale a
dire di nullità che possono essere fatte valere solo da soggetti predeterminati (es., art. 36 del cod. cons., che
consente al consumatore, e non al professionista, di far valere la nullità delle clausole vessatorie).
• Ad ulteriore avvicinamento delle due invalidità contribuisce la presenza di ipotesi in cui la legittimazione
all’azione di annullabilità anziché essere relativa è assoluta (es., art. 1441, comma 2, c.c., a proposito
dell’annullabilità del contratto concluso dal condannato in stato di interdizione legale).
Insanabilità della nullità
• Si afferma che il contratto nullo, a differenza del contratto annullabile, non può essere convalidato.
• l'art. 1423 c.c. prevede, tuttavia, che il contratto nullo non può essere convalidato, a meno che la legge
non disponga diversamente.
• Va ricordato al riguardo che secondo un orientamento giurisprudenziale, effetti analoghi a quelli di
una convalida potrebbero essere prodotti da una rinunzia della parte all'azione di nullità o
addirittura al giudicato formatosi sulla nullità (Cass., n. 3925/1977; n. 6845/2017). Tesi, peraltro,
decisamente contrastata da Cass