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Robert Cialdini è una delle personalità più importanti quando si parla di
persuasione. Nei suoi due testi più importanti (Le armi della persuasione, 1984 e
Pre-suasione, 2016) ha quindi analizzato: la forza delle associazioni, l'importanza
dell'attenzione e i metodi per attirarla, 8 principi e tecniche della persuasione.
Analizziamo nello specifico, il ruolo dell'attenzione. Possiamo infatti manipolare
l'attenzione del singolo individuo ed indirizzarla per ottenere ciò che vogliamo.
Nello specifico, possiamo:
Manipolare lo sfondo: lo sfondo ha un ruolo fondamentale nella
→ focalizzazione dell'attenzione; pensiamo, ad esempio, a una famosa
pubblicità di divani il cui punto forte era la comodità: sullo sfondo sono
state inserite delle nuvole per suggerire la seguente correlazione:
nuvole=morbide=comodità=divano;
Suggerire una valutazione positiva: possiamo far focalizzare l'attenzione
→ su aspetti positivi dell'argomento di cui stiamo parlando (chiedere sei
felice? o sei triste" è molto diverso perchè riporteremo alla mente idee e
pensieri diversi);
Cambiare le regole del gioco: possiamo rendere il contesto favorevole alla
→ visione che vogliamo suggerire.
In questo contesto, Sohlberg e Mateer avevano elaborato un modello gerarchico
attraverso cui era possibile distinguere tra varie tipologie di attenzione:
Attenzione focalizzata: si può focalizzare l'attenzione su un unico stimolo;
→ Attenzione sostenuta: si può focalizzare l'attenzione su un unico stimolo
→ per un periodo prolungato;
Attenzione selettiva: si può focalizzare l'attenzione su un unico stimolo
→ escludendo altri elementi di disturbo;
Attenzione alternata: si può focalizzare l'attenzione su due stimoli in
→ maniera alternata (in due momenti distinti);
Attenzione divisa: si può focalizzare l'attenzione su due stimoli
→ contemporaneamente. Non si tratta di multitasking, perché il multitasking
non esiste, anzi: in questo caso si parla addirittura di un attentional blink
ovvero di un mezzo secondo di distrazione in cui passiamo da uno stimolo
all'altro, perdendo appunto alcuni dettagli di entrambi gli stimoli. Erik
Erikson aveva sperimentato questo fatto durante le sue sedute
psicologiche: quando doveva comunicare qualcosa di importante ai suoi
pazienti, infatti, aspettava un contesto rumoroso e abbassava la voce. In
questo modo, il paziente sovrastimava l'importanza di ciò che lo psicologo
doveva dire e prestava maggiore attenzione.
Cialdini ha poi messo in evidenza il fatto che la nostra attenzione è attirata da:
Minacce o violenza: parliamo del principio di omologazione;
→ Attrazione personale: siamo più attenzionati quando abbiamo a che fare
→ con una persona che riteniamo attraente (parliamo dell'effetto
distinzione);
Cambiamento situazionale: Pavlov parlava di riflesso investigativo, noi
→ oggi parliamo di risposta di orientamento. Pavlov è lo studioso
comportamentista che è verificato scientificamente il meccanismo del
condizionamento classico. Mentre effettuava uno studio sulla digestione
dei cani, si è reso conto che alla presentazione del cibo (stimolo
incondizionato), il cane iniziava a sbavare (risposta incondizionata). Se a
tale stimolo era accompagnato uno stimolo neutro come il suono di un
campanello, tale risposta veniva ripetuta. Lo stimolo neutro è quindi stato
trasformato in uno stimolo condizionato, il quale, senza più l'aiuto dello
stimolo incondizionato, produceva una risposta condizionata (saliva in
risposta al suono del campanello senza la presentazione del cibo). tuttavia,
lo stimolo incondizionato serviva da rinforzo: se infatti, questo non veniva
ripetuto, dopo un po', la risposta condizionata spariva. Lo stessa accadeva
se, ad esempio, si verificava un cambiamento situazionale (es. entrava
qualcuno nella stanza).
Possiamo dire invece che l'attenzione è mantenuta da:
- Effetto sequenza: non siamo in grado di prestare attenzione a chi parla
prima o dopo di noi. Se vogliamo attirare l'attenzione di qualcuno è quindi
meglio non farlo in questo contesto e, soprattutto, è meglio posizionarsi
frontalmente;
- Non finito: i compiti non finiti attirano la nostra attenzione e ci spingono
a portarli a termine (per questo i gialli e i thriller sono così intriganti per
noi);
- Mistero: tutto ciò che non è così facile da risolvere è per noi molto
interessante (per questo le teorie complottiste hanno un così grande
seguito).
Tutto ciò ci dimostra che siamo esseri facilmente manipolabili tanto nelle scelte
razionali quanto nelle scelte non razionali. Daniel Kahneman aveva evidenziato
l'esistenza (concettuale ma non reale) di due parti distinte all'interno del nostro
cervello: sistema uno e sistema due. Il sistema uno è quello delle associazioni,
quello dei cosiddetti pensieri veloci, pensieri, associazioni e soluzioni elaborate
in rapida successione senza alcuna verifica; il sistema due è invece quello della
razionalità e del controllo, quello dei cosiddetti pensieri lenti perché valuta e
verifica le associazioni del sistema uno. Si tratta però di un sistema pigro che
tendiamo a non attivare perchè questo comporta un importante dispendio di
tempo ed energie. è questo un altro dei motivi principali per cui siamo così
facilmente manipolabili: non ragioniamo quindi non siamo in grado di prendere
decisioni coerenti e sensate e ci lasciamo influenzare o trarre in inganno.
3. Spiegare quando e perché la motivazione estrinseca non porta a performance
migliori (quando cioè il modello "bastone e carota" non funziona).
Possiamo distinguere tra motivazione estrinseca e motivazione intrinseca. La
motivazione estrinseca è quella che viene dall'esterno, quella che viene da premi,
ricompense, punizioni; si tratta della motivazione che ci spinge a fare qualcosa
unicamente perché vogliamo ottenere qualcosa in cambio (non per forza di fisico
e materiale). Per contro, invece, la motivazione intrinseca è quella interiore:
siamo motivati ad agire unicamente per il raggiungimento di un obiettivo che è
per noi interessante o piacevole, non per condizionamenti esterni.
L'esperimento di Duncker del 1945, il candle problem, poi ripreso
successivamente anche da Glucksberg, ha evidenziato, ad esempio, che la
motivazione estrinseca, il premio, la ricompensa, in un contesto creativo non
serve a nulla, anzi, in alcuni contesti fa addirittura peggiorare le performance: il
compito consisteva nel posizionare una candela accesa di modo che la cera non
colasse sul tavolo, avendo a disposizione una candela, dei fiammiferi e una
scatola di puntine. Chi non ha ottenuto alcuna ricompensa ha impiegato circa 7
minuti; chi l'ha ricevuta, 11. Questo ci dimostra appunto che non sempre la
ricompensa è un incentivo funzionante. Quando invece il compito è stato reso
più facile (separando puntine e scatola), la ricompensa ha funzionato: i tempi per
entrambi si sono notevolmente ridotti con una "vittoria" da parte di chi ha
ottenuto tale ricompensa. Questo ci dimostra quindi che solo in contesti creativi
la ricompensa non è funzionale.
La situazione peggiora ulteriormente quando all'inizio viene promessa e
concessa una ricompensa e poi tale ricompensa viene rimossa: ci riferiamo
all'esperimento del soma puzzle di Edward L. Deci e ad alcuni esperimenti
successivi condotti, ad esempio, su un gruppo di bambini. Se, infatti, viene data
una motivazione estrinseca e poi questa viene rimossa, il soggetto sperimentale
crede di aver condotto quell'esperimento unicamente per ottenere tale
ricompensa e interrompe completamente la sua attività, con un conseguente
esaurimento totale e completo di qualsivoglia tipo di motivazione. In questo
contesto, quindi, il sistema bastone e carota non funziona perchè:
Distrugge la motivazione intrinseca, provocando solo stress e pressione
→ psicologica;
Alimenta comportamenti non etici, in quanto l'obiettivo viene raggiunto a
→ prescindere dalle tempistiche e dalle modalità;
Alimenta una visione di breve periodo, senza una prospettiva di
→ miglioramento continuo;
Riduce la creatività e la performance;
→ Gli incentivi creano assuefazione, quindi ogni volta devono essere
→ costantemente aumentati.
In questo senso, tale sistema funziona solo con i compiti routinari cioè con quei
compiti che fanno ormai parte della nostra quotidianità e che non possono
essere resi più complessi, più sfidanti o semplicemente più interessanti. In questi
casi, il sistema può funzionare se però prima: si ammette che il compito è
effettivamente noioso, si spiega per quale motivo il compito deve essere portato
a termine e si lascia una certa libertà al soggetto, di modo che la sua motivazione
intrinseca riesca, anche solo in parte, a realizzarsi.
4. Descrivere il rapporto tra innovazione e vantaggio competitivo, secondo sia la
prospettiva interna che quella esterna all'organizzazione.
Innovazione, competitività e crescita sono fattori strettamente correlati.
Innovazione significa avere la capacità di generare conoscenza, di generare
soluzioni dalla combinazione di fatti noti e di invenzioni; competitività significa
rendere la crescita stabile nel tempo mentre, quando parliamo di crescita,
intendiamo, banalmente, la crescita del PIL, del mercato. La correlazione tra
competitività e crescita è quindi abbastanza evidente; l'innovazione è invece una
delle leve fondamentali della competitività, una delle leve che alimentano dunque
la crescita.
La competitività, all'interno di un'organizzazione, è spiegata in termini di
redditività: si parla quindi di vantaggio competitivo, cioè della capacità di
un'impresa di svolgere meglio un compito di un competitor. Tale aspetto può
essere valutato in ottica interna, esterna e sistemica. In ottica esterna, possiamo
dire che avere un certo vantaggio competitivo significa anche essere in grado di
proporre un prodotto sul mercato ottenendo una certa redditività. Il vantaggio
competitivo si realizza nella cosiddetta catena del valore, uno schema elaborato
da Porter per spiegare come le imprese sono in grado di ottenere un margine, un
valore che ritorna all'azienda in termini di redditività e che, al contempo, viene
fornito ai clienti. Tale catena del valore, presenta due attività: le attività prim