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NO STRESS, NO RICOMPENSA
RICOMPENSA
CANDLE PROBLEM 7,41 minuti 11,08 minuti
SEMPLIFICATO 4,99 minuti 3,67 minuti
Tutto ciò ci dimostra quindi che il sistema del premio funziona solo nei casi in cui non
è richiesto pensiero laterale, cioè nei casi in cui non c’è bisogno di creatività ma di
esecuzione e linearità. Quando invece diamo ai nostri soggetti dei compiti più complessi
da svolgere, non li stiamo motivando, anzi, al contrario, stiamo distruggendo la loro
capacità creativa.
Effetto Tom Sawyer. Tom Sawyer deve svolgere il noioso compito di imbiancare la
staccionata della zia Polly. Ma proprio quando ha quasi perso la speranza, viene colto
niente meno che da una grande e magnifica ispirazione. Quando il suo amico Ben gli si
avvicina e lo prende in giro per la sua cattiva sorte, Tom si comporta in modo
imprevisto: gli dice che dipingere una staccionata non è un compito di poco conto ma è,
invece, un privilegio fantastico. Il lavoro è così affascinante che quando Ben gli chiede di
poter provare a fare qualche pennellata, Tom rifiuta e non cede finché Ben non gli offre
in cambio la sua mela. Presto arrivano molti ragazzi, i quali cadono tutti nella trappola di
Tom e finiscono per dipingere la staccionata al posto suo, dando persino più mani di
bianco. Da questo episodio, Mark Twain ricava un principio di base della motivazione:
“Il lavoro consiste in qualcosa che sei obbligato a fare… giocare consiste in qualcosa che
non sei obbligato a fare”.
Le ricompense possono produrre una sorta di strana alchimia comportamentale:
possono trasformare un compito interessante in uno noioso, possono trasformare il
divertimento in lavoro e, indebolendo la motivazione intrinseca, possono far cadere
come pedine del domino performance, creatività e persino un’azione nobile, proprio
come già dimostrato da Sam Glucksberg. Ma perché quindi i ragazzi hanno fatto quello
che hanno fatto? Perché sono stati disposti a pagare Tom? Semplicemente perché
hanno visto in questo “compito” un’occasione di gioco, o meglio, al contrario, proprio
perché hanno pagato per partecipare l’hanno percepita in questo modo. Se fossero
stati pagati, invece, l’avrebbero visto come un lavoro.
L’esperimento del Soma Puzzle. Qualcosa di simile accade nell’esperimento del soma
puzzle di Edward L. Deci, autore del libro Why We Do What We Do: Understanding
Self-Motivation (1996). L'esperimento di Deci esplora i meccanismi che stanno alla base
della nostra motivazione: perché agiamo in un certo modo e non in un altro?
L’esperimento è stato condotto per studiare il legame tra premi e motivazione
intrinseca (quella che non è associata al rinforzo esterno). In altre parole, quello che si
verifica quando una persona fa qualcosa perché si diverte e prova piacere nel farlo.
La domanda posta da Deci era: cosa succede se a una persona piace fare qualcosa e gli
viene data una ricompensa, ma poi gli viene tolta? Deci ha ipotizzato che le
ricompense materiali per aver fatto qualcosa che ami porterebbero a un cambiamento
nelle persone: in un modo o nell’altro, infatti,
esse arriverebbero a pensare di svolgere
quest’attività per il compenso che ricevono
e non perché gli piaccia.
Per realizzare l’esperimento, sono stati
reclutati ventiquattro studenti di psicologia
volontari, i quali sono stati divisi in due
gruppi: uno è stato testato, mentre l’altro è
servito come gruppo di controllo. Nella prima
sessione, a tutti i partecipanti è stato chiesto
di assemblare un cubo “soma”, un puzzle
colorato tridimensionale che aveva un
grande fascino tra gli studenti e con il quale
si intendeva misurare la motivazione dei
volontari verso questo tipo di attività. Poi è stato dato loro un altro puzzle simile e gli è
stato chiesto di assemblare le configurazioni rappresentate in alcuni disegni in un
tempo massimo di 13 minuti. A nessuno è stata offerta alcuna ricompensa per aver
svolto questa attività. Nella sessione successiva, è stato svolto un compito identico, ma
in questo caso ogni volontario del gruppo di prova ha ricevuto un dollaro ogni volta
che il compito è stato completato correttamente. Ai membri del gruppo di controllo non
è stato dato nulla. Nella seduta successiva, è stata fatta la stessa cosa, ma questa volta
la taglia è stata ritirata.
Nell’esperimento di Deci, la motivazione intrinseca è stata misurata in modo costante. A
questo scopo, a ogni sessione lo sperimentatore lasciava la stanza con qualsiasi scusa,
per otto minuti. Diceva ai partecipanti che doveva andarsene e che mentre lo stavano
aspettando potevano fare quello che volevano, senza necessariamente continuare con
l’attività: tutto questo permetteva di osservare coloro che continuavano a comporre il
puzzle di loro spontanea volontà.
Ciò che è emerso nell’esperimento è stato che i volontari più motivati nell’attività
hanno aumentato il loro interesse a svolgerla quando hanno ricevuto una ricompensa.
Tuttavia, quando il premio veniva ritirato, la loro motivazione diminuiva in modo
significativo. Intanto, negli altri volontari, la motivazione cresceva poco a poco,
durante le sessioni, in maniera graduale. Pertanto, si è visto che il denaro ha avuto un
impatto negativo sulla motivazione: ha infatti portato a mettere in secondo piano il
piacere di fare quel lavoro. Pertanto, offrire ricompense materiali non è sempre una
buona idea.
In realtà, questo esperimento è stato condotto più volte in condizioni differenti.
Ricordiamo, ad esempio, il caso in cui è stato chiesto a tre gruppi di bambini in età
prescolare di fare dei disegni: al primo gruppo è stato promesso un “diploma del buon
disegnatore”, al secondo è stato detto di disegnare ma non hanno ricevuto alcun premio,
mentre al terzo non è stato detto nulla ma a coloro che hanno disegnato è stato
consegnato lo stesso diploma del primo gruppo. La parte entusiasmante
dell’esperimento, ovviamente, riguarda i risultati a lungo termine. Dopo qualche mese,
infatti, si è osservato che i bambini del primo gruppo hanno iniziato a disegnare molto
meno di prima, in quanto la ricompensa era stata rimossa; per gli altri due gruppi, il
desiderio di disegnare è rimasto completamente invariato.
Motivazione estrinseca e intrinseca. Emerge dunque la distinzione tra motivazione
estrinseca e motivazione intrinseca:
Motivazione estrinseca È data dalle punizioni, dai soldi, dai voti, dai
→ →
complimenti. Si tratta della motivazione che ci spinge ad agire con l’obiettivo di
avere qualcosa in cambio (non per forza in senso fisico e materiale);
Motivazione intrinseca Ci spinge a fare qualcosa semplicemente per il gusto
→ →
di farla, perché ci piace, perché ci inorgoglisce, perché stimola la nostra curiosità
oppure perchè ci interessa raggiungere uno specifico risultato.
In questo contesto, quindi, il sistema bastone-carota non funziona perché:
Distrugge la motivazione intrinseca, aumentando lo stress e la pressione
→ psicologica sull’individuo;
Alimenta una visione di breve periodo, perché non dà alle persone un obiettivo
→ di miglioramento continuo;
Alimenta comportamenti non etici, in quanto l’obiettivo viene raggiunto
→ indipendentemente dalle modalità e dalle tempistiche necessarie per farlo;
Riduce la performance e la creatività (principio che vale solo per i compiti
→ creativi, non per quelli razionale e lineari);
Gli incentivi creano assuefazione e, di conseguenza, devono essere aumentati
→ con il passare del tempo.
Dimensioni della motivazione intrinseca. Secondo Daniel Pink, autore del testo Drive:
The Surprising Truth About What Motivate Us (2009), la motivazione intrinseca dipende
fondamentalmente da tre grandi dinamiche:
Autonomia Il fatto di poter lavorare senza basarsi su regole già date,
→ →
regolando i propri tempi e le proprie modalità;
Crescita delle capacità (mastery) Es. il giocatore di videogiochi è autonomo
→ →
ma è motivato a continuare la sua attività anche dall’abilità acquisita nel corso del
gioco;
Visione del mondo La motivazione intrinseca è stabile se c’è una finalità, un
→ →
purpose, se ci sentiamo parte di qualcosa (ci inserisce nel mondo che vogliamo).
Il flow. Lo psicologo ungherese, Mihaly Csikszentmihalyi, autore del testo Flow: The
psychology of optimal experience (1990), ha elaborato un modello, uno schema, che è
particolarmente significativo quando parliamo di motivazione, di gioia di vivere, di
soddisfazione della e per la vita. Nello specifico, in questo contesto, per lui conta molto
la percezione che abbiamo di quello che
stiamo facendo. Per questa ragione, ha
condotto un’indagine analizzando le attività
svolte da alcuni individui per valutare la felicità
e la soddisfazione degli stessi quando stanno
vivendo un’esperienza per loro proficua e/o
ottimale. In questo senso, prende in
considerazione due dimensioni: le skills e la
challenge, cioè quanto quell’esperienza è
sfidante o impegnativa. Il centro di questo
modello è un centro del tutto soggettivo,
corrispondente al valore medio dell’attività
svolta: analizzando le attività svolte da alcuni
individui, le relative sensazioni provate, le competenze messe in campo e l’impegno
richiesto da quella specifica sfida, si può ricavare questo valore centrale dal quale può
iniziare la classificazione di un certo numero di stati del mondo che sono più o meno
funzionali allo svolgimento di alcune attività (in particolare, quelle che hanno a che fare
con la creatività). La più potente, quella migliore perché ciò che stiamo facendo ci
assorbe completamente, facendoci perdere la percezione del tempo e dello spazio
(riferimento al mastery del modello precedente), è il flow, il flusso. Si tratta di svolgere
attività molto sfidanti e molto particolari, in quanto siamo nell’area della creatività,
dell’estro, che ci fa vivere un’esperienza unica e ottimale. Nella parte alta di questo
schema, troviamo poi l’eccitazione, l’arousal. Si tratta dell’area dell’apprendimento e,
dunque, di qualcosa che avviene step by step: non applichiamo troppe competenze
nuove perché le stiamo apprendendo ma la sfida che abbiamo di fronte è
particolarmente complessa, forse più di prima