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CAPITOLO VII – DE PRINCIPATIBUS NOVIS QUI ALIENIS ARMIS ET

FORTUNA ACQUIRUNTUR (I PRINCIPATI NUOVI CHE SI ACQUISTANO PER

MEZZO. DI ARMI ALTRUI E DELLA FORTUNA)

Quelli che diventano Principi di Stati acquistati con la sorte, lo diventano assai facilmente

ma difficilmente li mantengono.

Lo mantengono con difficoltà perché si basano sulla volontà e sulla sorte di chi ha

concesso loro questo privilegio, ma non sanno né possono mantenersi in quello stato: non

sanno perché essendo sempre vissuti alle spalle di altri, a meno che non siano uomini di

virtù straordinarie, non sono capaci per natura a comandare; non possono perché non

hanno le forze che possono esser loro fedeli.

Esempio di stato acquistato con la virtù: Francesco Sforza (e lo mantenne).

Esempio di stato acquistato con la fortuna: Cesare Borgia (e lo perse)

È presente la storia dei progressi egemonici del Valentino che conquistò la Romagna: una

volta conquistata la Romagna, egli la governò con braccio forte per tenerla legata a sé…

gli restava però di sconfiggere il pericolo del Re di Francia, suo nemico.

Lo fece e si assicurò che il successore di Papa Alessandro non gli togliesse i suoi

possedimenti e questo fece, in quattro modi:

1 spegnere le discendenze dei Signori che aveva spogliato;

2 guadagnarsi la nobiltà romana;

3 ridurre il Collegio dei Cardinali in suo potere;

4 acquistarsi tanta forza da resistere all'impeto futuro.;

Di queste cose ne fece solo tre, l'ultima non ci riuscì appieno e, accerchiato da potenti

eserciti, andò in rovina.

Secondo l'Autore tutto l'operato del Duca non è da biasimare, anzi piuttosto da imitare,

perché solo la morte di Alessandro e la sua malattia si opposero ai suoi piani e non c'è

esempio migliore per chi voglia assicurarsi uno stato nuovo che seguire le azioni del Duca.

L'unico suo errore fu l'elezione a Papa di Giulio perché, non potendo creare un Papa a suo

modo, poteva almeno sceglierlo e non doveva acconsentire che uno di quei Cardinali che

aveva offeso diventasse Pontefice.

Chi crede che nuovi benefici facciano dimenticare le offese ricevute, sbaglia.

CAPITOLO VIII – DE HIS QUI PER SCELERA AD PRINCIPATUM

PERVENERE (COLORO CHE GIUNSERO AL PRINCIPATO PER MEZZO DI ATROCITÀ)

Privatamente si diventa Principi in due modi:

• per crudeltà;

• con il favore dei propri concittadini;

Due esempi: uno antico, l'altro moderno.

1) Agatocle, tiranno di Siracusa, figlio di un vasaio, scellerato tutta la vita.

Divenne per gradi Pretore di Siracusa…messosi in testa di diventare Principe ed

accordatosi con il cartaginese Amilcare, una mattina radunò il senato e a un suo cenno

fece uccidere gli aristocratici e i senatori.

Così divenne Principe e, non solo resistette ai contrattacchi di Siracusa ma conquistò

anche una parte dell'Africa. Considerando la storia di Agatocle non si potrà attribuire al

Principato la fortuna, avendosi egli guadagnato i gradi della milizia con i suoi sacrifici, né si

può parlare di virtù trucidando i suoi stessi concittadini, tradendo gli amici, essendo senza

pietà.

2) Ai nostri tempi, Oliverotto da Fermo fu addestrato alla milizia da Paolo Vitelli e militò

sotto il fratello, Vitellozzo.

In breve tempo divenne il primo uomo del suo esercito ma poi, volendo egli porsi a capo di

una città, pensò di farlo della sua città natale; perciò, scrisse al suo tutore che vi voleva

ritornare in modo solenne.

Fattosi dunque ricevere, ordinò un banchetto con tutte le più alte personalità del paese.

Alla fine del pranzo le condusse tutte in un luogo segreto dove le fece uccidere e divenne

così Principe della sua città.

Si potrebbe dubitare su come Agatocle e simili fossero riusciti a mantenere il loro

Principato anche in cattiva sorte, mentre altri, attraverso la crudeltà, non ci sono riusciti.

Questo avviene secondo:

- la crudeltà bene usata: si può così chiamare quella che si fa una volta sola per necessità

e poi si converte in utilità per i sudditi;

- la crudeltà male usata: è quella che si prolunga costantemente nel tempo.

Bisogna dunque notare che l'occupatore, nell'occupare uno Stato, deve compiere tutte le

offese necessarie tutte insieme per potersi guadagnare gli uomini, chi fa diversamente

deve sempre avere il coltello in mano e perciò non può federarsi con i suoi sudditi, poichè

le ingiurie bisogna farle tutte insieme e i benefici poco alla volta per farli assaporare

meglio.

CAPITOLO IX – DE PRINCIPATU CIVILI (IL PRINCIPATO CIVILE)

Quando d'altra parte uno diviene Principe col favore degli altri concittadini (cosa che può

chiamarsi Principato civile) e che si acquista non tramite tutta fortuna o tutta virtù ma

piuttosto attraverso un'astuzia fortunata, si ascende a questo titolo col favore del popolo o

col favore dei grandi, perché in ogni città ci sono queste due tendenze diverse che

nascono da questa considerazione: il popolo non desidera né essere comandato, né

oppresso dai grandi, mentre i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo.

Da queste due tendenze opposte nasce uno tra i seguenti effetti:

• Principato

• Libertà

• Licenzia (Anarchia)

Il Principato è realizzato o dal popolo o dai grandi secondo l'occasione perché, vedendo i

grandi che non possono resistere al popolo, eleggono uno di loro Principe per poter

mettere in atto il proprio dominio sul popolo; al contrario vedendo il popolo che non può

resistere ai grandi, attribuendo tutta la reputazione a uno di loro, l'elegge Principe per

difendersi sotto la sua autorità.

Il Principato concretizzato dai grandi si mantiene con più difficoltà dell'altro, perché il

Principe si ritrova con molti che sembrano essergli pari, e per questo non li può comandare

o maneggiare a suo modo; il secondo Principe, invece, si trova solo con intorno pochissimi

non disposti ad ubbidirgli.

Inoltre, non si può dar soddisfazione ai grandi senza offendere gli altri ma lo si può fare al

popolo, perché l'essere popolare è un fine più onesto di quello dei grandi, siccome i grandi

vogliono opprimere e il popolo non vuole essere oppresso.

Per di più, un Principe non può mai star sicuro di un popolo a lui nemico perché questo è

troppo numeroso, ma può farlo dei grandi essendo questi pochi.

Il peggio che si può aspettare un Principe è essere abbandonato dal popolo che diviene a

lui nemico, ma dai grandi nemici non solo deve temere di essere abbandonato ma anche

che gli si rivoltino contro perché, essendo più furbi, fanno le cose più accortamente.

Al Principe è necessario vivere sempre con quello stesso popolo, ma non necessariamente

con gli stessi grandi, perché li può creare e dimettere a suo piacimento.

I grandi devono essere considerati in due modi principalmente: o si comportano in modo

da obbligarsi in tutto alla sorte del Principe o no.

I primi si devono onorare e lodare, i secondi devono essere esaminati in due modi:

-o lo fanno per pusillanimità e difetto naturale, in questo caso nelle condizioni favorevoli

bisogna farsene onore e nelle avversità non temerli;

-o lo fanno per maliziosa ambizione, e allora è segno che pensano più a loro stessi che al

Principe: sono questi che il Principe deve temere e di cui deve guardarsi, perché nelle

avversità sicuramente si adopereranno per spodestarlo.

Insomma, il Principe divenuto tale con l'aiuto del popolo deve mantenerselo amico, cosa

facile se il popolo non fa altro che chiedere di non essere oppresso.

Un Principe divenuto tale con l'aiuto dei grandi, invece, deve prima di tutto guadagnarsi il

popolo, cosa facile se prende le sue precauzioni e, siccome gli uomini quando ricevono

bene da uno creduto un malfattore, più si obbligano a lui, il popolo diventa subito più

benevolo nei suoi confronti che se fosse stato lui stesso a porlo sul trono.

Il Principe può guadagnare il popolo in molti modi, dei quali, siccome variano da caso a

caso, non se ne può dare una regola precisa.

La conclusione è che la necessità di un Principe è avere amico il popolo, piuttosto che

avere rimedi alle sue avversità.

Ma non ci sia chi obietti secondo il proverbio comune: Chi fonda sul popolo, fonda sul

fango; perché questo è vero solo quando un cittadino vi pone su le fondamenta e pensa

poi che il popolo lo liberi quando è oppresso dai nemici; ci si trova in tal caso ingannati, si

prenda come esempio la vicenda di Tiberio e Caio Gracco nell'antica Roma.

Ma quando è un Principe saggio che vi ci fondi, non temendo le avversità, non si troverà

mai abbandonato dal popolo, anzi il contrario.

Questo tipo di Principati si disgregano, però, quando tentano di passare dall'ordine civile

all'ordine assoluto, perché questi Principi comandano o mediante loro stessi o per mezzo di

magistrati; questi ultimi, specialmente nelle avversità, gli possono togliere con grande

facilità lo Stato ribellandosi o non ubbidendogli.

E allora il Principe non è sollecitato a diventare Monarca Assoluto, perché i cittadini sono

abituati a ricevere ordini dai magistrati e in quella circostanza non sono pronti ad ubbidire

ai suoi.

Inoltre, avrà sempre scarsezza di amici dei quali fidarsi perché tale Principe non può fidarsi

delle situazioni presenti nei tempi di pace, quando ognuno promette ed è disposto perfino

a morire.

Nelle avversità invece, quando ci sono veri pericoli, di amici se ne trovano pochi; perciò,

un Principe giudizioso deve fare in modo di tenersi stretto il popolo in pace e in guerra, e

poi lo avrà sempre fedele.

CAPITOLO X – QUOMODO OMNIUM PRINCIPATUUM VIRES

PERPENDI DEBEAT (COME VALUTARE LE FORZE DI TUTTI I PRINCIPATI)

Nell'esaminare le qualità dei Principati si distingue:

- il Principe che è indipendente nella milizia da altri;

- il Principe che invece ha sempre bisogno dell'aiuto di altri;

I Principi appartenenti al tipo (1) possono radunare un esercito adeguato e sostenere una

battaglia campale con chiunque.

I Principi appartenenti al tipo (2) non possono sostenere battaglie campali, ma hanno

necessità di rifugiarsi dentro le mura e farsi difendere da esse.

L'Autore esorta questi Principi a fortificare le loro città e non preoccuparsi della campagna

circostante.

Inoltre, questi Principi saranno assolti sempre con grande rispetto perché g

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Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher asia.onedirectioner di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana 1 e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Alfano Vincenzo.
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